mercoledì 7 maggio 2014

Jobs act, prima e dopo



Jobs act e decreto lavoro. Il primo, annunciato da Matteo Renzi, prometteva una piccola rivoluzione; dare priorità al lavoro, riconoscerne la dignità, semplificare norme e leggi per favorire l’impiego, investire sulla qualità del lavoro.

Il decreto lavoro invece, si limita a intervenire sui contratti a termine e apprendistato. Anziché semplificare, lo fa in modo minuzioso e dettagliato, tanto da incanalare il dibattito parlamentare esclusivamente su aspetti come la durata dei contratti a termine o il numero delle proroghe, sulla forma scritta o orale dei piani formativi per l’apprendistato e le quote di assunzioni vincolanti. Nel decreto si ripete così, ancora una volta, lo stesso errore che hanno compiuto per anni i governi di centro-destra, nell'idea che abolire le tutele giuridiche previste a difesa dei lavoratori accresca la competitività delle imprese sul mercato.

In questo modo si snatura la proposta originaria. Con la disoccupazione che supera il 12% e quella giovanile che è addirittura doppia, non si può aver paura della flessibilità, ma, se non bastasse l'esperienza degli ultimi anni nel nostro Paese, ci sono Spagna e Grecia a dimostrarci che l’apertura generalizzata al lavoro precario e senza vincoli conduce a percentuali insopportabili di disoccupazione che non accennano a diminuire. Noi vogliamo stare in Europa e non farci confinare in un Europa di serie B. 

I quattro emendamenti al decreto Poletti, sottoscritti dai senatori Ricchiuti, Albano, Casson, Lo Giudice, Mineo e Tocci e illustrati oggi in Aula dalla senatrice Lucrezia Ricchiuti tendono a recuperare, per quanto consentito, l’ispirazione originaria del jobs act. Essi vogliono muovere un passo verso la semplificazione normativa e, contemporaneamente, verso la costruzione di un sistema di convenienze a favore del lavoro stabile, con maggiore flessibilità nelle fasi iniziali di un rapporto di lavoro, ma nel quadro di un contratto di inserimento “a tutele crescenti”. 

Gli emendamenti portano da 6 mesi a tre anni “il patto di prova” tra lavoratore e imprenditore, superando così il contratto a termine senza causale, che in questo modo non ha più ragione di esistere. Per compensare la maggiore flessibilità concessa alle imprese, gli emendamenti tendono a stabilire più che un sistema di vincoli e procedure, un diverso quadro di convenienze per l'impresa, per invogliare il datore di lavoro ad assumere in pianta stabile. Viene così reso un po’ più costoso il tempo determinato dopo i primi sei mesi (il 4 % in più della retribuzione lorda) per finanziare programmi di formazione e benefici assistenziali per i lavoratori a tempo, lasciando spazio alla contrattazione. 

Siamo ancora lontani dal differenziale del 10 % tra lavoro precario e lavoro stabile previsto dal ministro del lavoro, e tuttavia, con gli emendamenti, ci si muove pur senza alcuna invadenza normativa, verso la costruzione di un rapporto di fiducia tra azienda e neo lavoratore che ne favorisca l’assunzione a tempo indeterminato, cioè quel rapporto di lavoro che l’Unione Europea considera “normale”.

I senatori: Lucrezia Ricchiuti, Donatella Albano, Felice Casson, Corradino Mineo, Sergio Lo Giudice e Walter Tocci.

Roma 6 maggio 2014

2 commenti:

  1. Solo 6 senatori del PD che hanno davvero a cuore il lavoro e i diritti dei lavoratori, mi sembra pochino... in ogni caso fortuna che ci siete e avete il coraggio di dissentire, di essere voci fuori da questo "coro" asfissiante.
    Vania Pederzoli - Novi di Modena

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  2. Che tristezza questo Renzi e questo PD ...

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