martedì 7 ottobre 2014

Sui diritti del lavoro


Mio intervento in Senato del 7 Ottobre nel dibattito sulla legge delega per il lavoro.


La richiesta del voto di fiducia sembra una prova di forza ma è un segno di debolezza. Il governo chiede al Parlamento una delega a legiferare mentre impedisce al Parlamento di precisare i contenuti di quella stessa delega. Il potere esecutivo si impadronisce del potere legislativo per disporne a suo piacimento, senza alcun contrappeso istituzionale. Il Senato delega per sentito dire nelle televisioni, senza quei “principi e criteri direttivi” prescritti dalla Costituzione. È l’anticipazione di un metodo che diventerà normale con la revisione costituzionale in atto

Si forzano le regole per paura di un libero dibattito parlamentare. Il Presidente del Consiglio non è in grado di presentare gli emendamenti che ha proposto come segretario del suo partito. In questo modo, la legge delega sarà priva non soltanto di alcune garanzie ampiamente condivise, ma perfino della famosa questione della cancellazione dell’articolo 18. Se ne parla sui media, ma non risulta nei testi. D’altronde, a quanto pare, non conta più cosa decide il Parlamento - sarà poi il governo tra qualche mese a scrivere i veri decreti - l’importante è ora creare l’apparenza di una grande riforma.

L’argomento è stato scelto ad arte per inscenare una contrapposizione simbolica. Ce la potevamo risparmiare questa guerra di religione sul diritto del lavoro. Non solo perché il Paese avrebbe bisogno di ritrovare coesione sociale intorno a un chiaro progetto di cambiamento. Non solo perché si dovrebbe evitare di lacerare la ferita già dolorosa della disoccupazione che segna la vita di milioni di italiani. Ma soprattutto perché non c’è alcun motivo pratico per ingaggiare l’ennesimo duello giuslavorista. E il primo ad esserne convinto sembrava proprio Matteo Renzi. Solo qualche mese fa riteneva che ridiscutere dell’articolo 18 fosse una fesseria. Si era addirittura impegnato di fronte al popolo delle primarie ad archiviare la questione. Come mai ha cambiato idea? Sarebbe doverosa una spiegazione. Altrimenti potrebbe alimentare il dubbio che la guerra di religione è ingaggiata per distrarre l’opinione pubblica, per coprire le evidenti difficoltà dell’azione di governo, per occultare gli scarsi risultati ottenuti nella trattativa europea.

Temo che si vada consolidando un metodo di governo basato sulla ricerca continua di un nemico. Può servire a creare un consenso effimero, ma non aiuta il paese a trovare una rotta; asseconda il rancore sociale ma non coagula le passioni civili per il cambiamento.
La furia distruttiva stavolta è indirizzata verso un bersaglio inesistente, un altro ceffone alle mosche. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non esiste più nella legislazione italiana, è stato cancellato da Monti due anni fa.

Si racconta ancora la bufala secondo cui nell’Italia di oggi un’impresa non può licenziare per motivi economici e disciplinari. Eppure, lo scorso anno ci sono stati circa 800 mila licenziamenti individuali, il 10% portati in tribunale e solo 0.3% annullati. Infatti,Il governo tecnico ha eliminato tutti i vincoli degli anni settanta, venendo incontro alle pressanti richieste degli imprenditori. Il reintegro è rimasto solo nel caso più estremo, quando cioè il magistrato constata la falsità della “giusta causa”. Se ora si cancella questa ultima garanzia un lavoratore potrà essere licenziato con l’accusa di aver rubato oppure con la giustificazione di una crisi aziendale, perfino se un processo dimostrasse che si tratta di falsità. In altre parole, per licenziare una persona diventa legittimo dichiarare il falso in tribunale. Non è flessibilità economica, ma barbarie giuridica che nega un principio generale del diritto: “Quod nullum est nullum effectum producit”. Una soglia mai varcata dal ministro Fornero - o forse dovrei dire dalla “compagna” Fornero, riconoscendo amaramente che il governo tecnico ha certo sbagliato sugli esodati ma ha difeso i diritti dei lavoratori meglio del governo a guida Pd. 

In seguito alle nostre critiche è stato riproposto il reintegro nei casi disciplinari fasulli, ma non per le false cause economiche. Questo diventerà il canale privilegiato per ottenere i licenziamenti ingiustificati. D’altronde, per svuotare un secchio d’acqua basta un solo buco, non ne servono due. 
In apparenza Renzi attacca la Camusso, ma nella realtà contesta la Fornero. Ed è curioso che l’ex-presidente del Consiglio, Mario Monti, presente in quest’aula come senatore a vita, non senta il bisogno di difendere la sua legge, che pure presentò in tutti i consessi internazionali come strumento per la crescita del Pil. 

Solo in Italia può accadere che dopo due anni si scriva un’altra legge sul lavoro, senza neppure analizzare gli effetti della precedente. È un film già visto, da venti anni la legislazione è in continua mutazione senza risolvere alcun problema, aumentando solo la burocrazia. Si attacca la magistratura per la varietà di giudizi su casi similari, a volte davvero troppo ampia, dimenticando che proprio l’eccesso di legislazione ha impedito il consolidarsi della giurisdizione sui casi esemplari. Ciò che allontana davvero gli investitori stranieri è proprio il susseguirsi frenetico di nuove regole.
Se si riflette onestamente su questa anomalia italiana appare ridicola la retorica dei conservatori che hanno bloccato le riforme degli innovatori. È vero esattamente il contrario: sono state approvate troppe riforme, tutte purtroppo sbagliate. E questa proposta di legge persevera negli errori del passato:

- Si continua a far credere che abbassando l'asticella dei diritti riprenda la crescita. L'esperienza dovrebbe averci convinto che la svalutazione del lavoro ha contribuito pesantemente alla crisi della produttività totale dei fattori perché ha ridotto la capacità di innovazione.

- Si continua a contrapporre i garantiti e i non garantiti mentre è evidente che entrambi hanno perso diritti nel ventennio, come certifica ormai anche l'Ocse attribuendo all'Italia uno dei massimi indici di precarizzazione. La contrapposizione è ancora più falsa in questo disegno di legge poiché mantiene il reintegro per i lavoratori occupati e lo toglie ai giovani neoassunti.

- Si continua nella politica dei due tempi - “ora aumentiamo la precarizzazione, e poi verranno gli ammortizzatori sociali”. Fin dalle leggi Treu la promessa non è mai stata mantenuta e anche stavolta il passo indietro nei diritti è certo e immediato mentre il sussidio di disoccupazione è incerto e insufficiente.

- Si continua a denunciare il freno del sindacato, quando è evidente a tutti che non ha mai contato così poco nelle fabbriche. I politici, anche della vecchia guardia, hanno sempre polemizzato con i leader sindacali ma hanno sempre impedito l’approvazione di una legge di rappresentanza che desse voce ai lavoratori.

- Si continua nell’illusione che basti incentivare il tessuto produttivo attuale per creare lavoro. Ma la ripresa non avverrà facendo le stesse cose di prima. Non suscita alcuna riflessione il fallimento dei bonus fiscali per le assunzioni e della Garanzia giovani, né la scarsa risposta alle offerte dei prestiti della Bce. Che altro deve succedere per capire che ormai le norme e gli incentivi sono strumenti inutili se non si innova la struttura produttiva?

Nel primo annuncio del Jobs Act subito dopo le primarie tutte queste leggende sembravano abbandonate, ma ora sono tornate in auge. La forza del passato ha preso il sopravvento, riducendo l’entusiasmo della novità a stanca retorica. Il Grande Rottamatore porta a compimento i programmi dei rottamati di destra e di sinistra.
Ben due generazioni hanno creduto agli annunci di una flessibilità coniugata ai diritti e sono rimaste ferite. La promessa di uscire dal buco nero della precarietà è troppo seria per essere delusa. Stavolta alle parole devono seguire i fatti. Solo da questa preoccupazione muove la mia critica.

Sento dire che il contratto a tutele crescenti dovrebbe eliminare la sacca della precarietà. Qualcuno mi sa indicare il comma che assicura il risultato? Purtroppo non esiste, poiché il nuovo contratto si aggiunge ai precedenti, adottando quindi la soluzione Ichino contro quella Boeri. Le imprese non ricorrono al tempo indeterminato se possono continuare a gestire rapporti di lavoro meno costosi e senza futuro. Anzi, questi sono stati ulteriormente incentivati con il decreto Poletti di luglio che ha abbassato le garanzie dei contratti a tempo determinato e dell’apprendistato, e in questa delega si amplia l’uso del voucher che nega perfino il rapporto tra lavoratore e impresa.

Si è annunciata l’eliminazione del cocopro, ma è molto difficile che da questa figura parasubodinata si approdi a un vero contratto di lavoro. Più facile invece che si regredisca nel sommerso delle partite Iva. D’altro canto, anche i critici di sinistra peccano di normativismo, illudendosi che basti togliere questa o quella figura contrattuale per migliorare la qualità del lavoro.
C’è un lavoro autonomo di seconda generazione che è legato alla trasformazione tecnologica e produttiva del nostro tempo. È una figura anfibia che non si può ingabbiare negli schemi tradizionali dell’imprenditore e del lavoratore, ma va riconosciuta nella sua peculiarità e sostenuta con strumenti non convenzionali. Dovremmo saperlo soprattutto in Italia, avendo sotto gli occhi quei sei milioni di nuclei produttivi con meno di tre dipendenti che ci ostiniamo a chiamare imprese per ragioni ideologiche, mentre costituiscono una mutazione della figura del lavoratore. L’armatura giuslavoristica di questa legge delega non riesce a contenere il fenomeno e anzi rischia di soffocarlo. 

Il carattere anfibio del lavoro terziario richiede l’attivazione di tutele di tipo universalistico – pensionistiche, formative, di welfare territoriale - a prescindere dalle forme contrattuali. Perfino il sostegno al reddito deve essere legato allo status di cittadinanza e non può essere limitato solo al passaggio da un’occupazione all’altra, come invece è necessario e assolutamente prioritario per il lavoro dipendente.
La complessa flessibilità è quella del lavoro autonomo, per quello subordinato sarebbe molto più facile ricondurre l’ordinamento a poche e chiare figure contrattuali che prevedano un periodo di prova e di formazione prima dell’assunzione definitiva e forme di impiego temporaneo più costoso e legato a reali esigenze produttive. Questa semplificazione è credibile solo se si attua la riforma più difficile in Italia, cioè l’obbligo di rispettare la legge.
La gran parte della precarietà nel lavoro subordinato si regge su una pratica di illegalità ed elusione. In questa proposta si delega il governo a fare tutto, tranne che a organizzare un efficiente sistema di controlli sulle condizioni di lavoro. Basterebbe rafforzare il corpo degli ispettori del lavoro e incrociare le banche dati con la lotta all’evasione fiscale e previdenziale, con l’obiettivo di sopprimere il lavoro nero e aumentare la vigilanza sulla sicurezza.

Ma a dare il buon esempio dovrebbe essere prima di tutto lo Stato. Nella stragrande maggioranza i contratti precari della pubblica amministrazione sono illegali, perché utilizzano rapporti temporanei per funzioni continuative e in alcuni casi di delicato interesse pubblico. La recente promessa di assumere 150 mila insegnanti che attualmente hanno cattedre annuali va nella giusta direzione e dovrebbe riguardare le tante figure che si trovano in condizioni simili: ricercatori e archeologi, ingegneri e architetti, informatici e operatori sociali. Non solo per rispettare la dignità di quei lavoratori, ma anche perché la valorizzazione delle loro competenze aumenterebbe la qualità delle politiche pubbliche. Anche le gare di appalto a massimo ribasso oggi contribuiscono a diffondere l’illegalità e il precariato selvaggio, mentre la committenza pubblica dovrebbe prendersi cura del rispetto dei diritti del lavoro. È curioso che questa proposta di legge si occupi del mercato privato e ignori completamente le responsabilità dello Stato come datore di lavoro diretto e indiretto.

Tra le righe si legge una sfiducia nel futuro del paese. Si ritiene che l’Italia non possa essere diversa da come è oggi, non sia in grado di modificare la sua struttura economica tradizionale ormai messa fuori gioco dalla competizione internazionale. Si pretende di risolvere il problema eliminando i diritti e riducendo i salari, già oggi i più bassi in Europa, magari utilizzando gli 80 euro e il Tfr per pareggiare il conto.

Sembra una scelta di buon senso ma è una via senza uscita. I paesi emergenti saranno sempre nelle condizioni migliori di costo per vincere la concorrenza. L’unico modo per mantenere il rango di grande paese consiste invece nel migliorare il livello tecnologico, la specializzazione del tessuto produttivo, l'accesso nell'economia della conoscenza. Ma ci vorrebbe un'agenda di governo tutta diversa; bisognerebbe puntare sulla formazione permanente per migliorare le competenze, mentre qui si promuove per legge il demansionamento dei lavoratori; si dovrebbe puntare sulle politiche industriali della green economy mentre il decreto sblocca-Italia rilancia la rendita immobiliare; si dovrebbe puntare sulla ricerca scientifica e tecnologica, che invece subirà altri tagli con la legge di stabilità; si dovrebbe puntare sull'economia digitale non a parole ma con azioni concrete che ancora non si vedono.

Non si è mai cominciato a cambiare verso. Finora si sono visti i passi indietro. Con le riforme istituzionali gli elettori contano meno di prima. Con il Job Act si intaccano le garanzie per i lavoratori. Queste scelte non erano previste nel programma elettorale del 2013 che abbiamo sottoscritto come parlamentari del Pd. Non siamo stati eletti per indebolire i diritti.


22 commenti:

  1. Con la testa e la pancia, orgogliosa di te.
    http://www.youtube.com/watch?v=wN0r5XBy6HY

    Grazie

    Marina

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  2. Che bell'intervento. Persone cosi sono rare in politica oggi

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  3. TENDENZE
    Trilussa (Carlo Alberto Salustri)
    Un vecchio Lupo de la borghesia
    disse a la Pecorella: — Io so' parente
    de quella ch'allattò la monarchia:
    per cui posso magnatte impunemente. —
    E senza faje di' mezza parola
    je zompò addosso e l'agguantò a la gola.
    — Sàrveme tu! — strillò la Pecorella
    ar Cane socialista der fattore —
    Sennò 'sto brutto boja me sbudella!
    me fa a pezzetti! me se magna er core!
    Sbrighete che me scanna, amico mio!
    Nun perde tempo!... Pe' l'amor de Dio!...
    — Nun so — rispose er Cane socialista —
    se pe' la Pecorella proletaria
    sia mejo la tendenza riformista
    o la tendenza rivoluzzionaria...
    Finché nun m'entra bene 'sta tendenza
    nun te posso fa' gnente: abbi pazzienza... —
    Quanno er Cane pijò la decisione
    er Lupo stava all'urtimo boccone.


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  4. Caro Walter,
    sei una boccata d'ossigeno in questo discorso pubblico soffocante. Grazie.

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  5. Condivido punto per punto, non dissimile dalle argomentazioni della CGIL

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  6. Buongiorno ma è vero che lei oggi ha votato Sì alla fiducia ? Dopo un discorso come questo ? Come ha fatto, come ?

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  7. E lei è complice di tutto questo, avendole votate! La fiducia la dovete ai vostri elettori non a un governo di non eletti!!!

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  8. Grazie per la chiarezza. renzi non ha principi (di democrazia, di legalità, non morali). Come liberacene? E perché il pd si è ridotto così? E' anch'esso senza principi? pg

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  9. Grazie davvero per queste parole di verità... fanno respirare un po', in mezzo a questa cortina oppressiva di mistificazioni e di menzogne.
    Elisa

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  10. A novembre elezioni regionali in Emilia Romagna, astenersi o votare a sx del Pd o M5S. Far perdere il PD è un dovere!

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  11. Lei ha ha saputo riportare la logica e il buon senso nel dibattito politico soprattutto in un partito come il PD che è diventato trasparente.

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  12. Tocci non molli la politica siamo con Lei !

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  13. Caro Walter, pur capendo quanta amarezza ti abbia spinto ad annunciare le dimissioni dal Senato, non condivido in toto le considerazioni espresse nel tuo intervento, tutto rivolto alla questione del jobs act in chiave eminentemente interna. Ma non puoi negare che la situazione del Paese sia motivo di allarme tra gli osservatori ed operatori internazionali, dal FMI alla BCE, alla UE, alle agenzie di rating. Il rischio di una nuova speculazione finanziaria ai danni del Paese e dell’euro è elevatissimo e cresce con il lievitare del nostro debito pubblico e della nostra paralisi produttiva. E’ in questo quadro che si deve guardare all’art. 18, in sé del tutto ininfluente sull’occupazione e sugli investimenti, ma molto significativo agli occhi dei mercati mondiali. Perché? Per il motivo che in Italia non è mai stata risolta la questione del massimalismo, se è vero che un massimalista doc come Fassina figurava addirittura come vice ministro dell’economia nel gov. Letta. Sorprende quindi nel tuo art. la scelta del punto di osservazione, quello delle questioni interne, dall’autoritarismo al giuslavorismo stricto sensu, alla presunta revisione costituzionale in atto.
    Molte delle cose che scrivi sono, ovviamente, condivisibili, dal rifiuto della politica dei due tempi alla mancanza di una politica che supporti la ristrutturazione industriale necessaria. Ma non puoi non chiederti come fare per coniugare una tale politica di investimenti ad una definizione precisa delle fonti di finanziamento. In una situazione di 2.200 mld di euro di debito pubblico, di una recessione ormai consolidata e dilatata anche verso gli anni futuri e con una spesa pubblica che, al netto dei servizi sociali (ormai non ulteriormente comprimibili) cuba, per il funzionamento della burocrazia creata, una cifra di varie centinaia di miliardi così rigida e in espansione da irridere a qualsiasi discorso di ripresa. Hai, a questo proposito e per primo, denunciato l’incistamento del partito nello Stato, ma perché non cerchi di scoprire – nome e cognome – chi si sia incistato? Scopriresti che l’incistamento non è affatto una questione morale, (e non è, ovviamente, una questione del solo PD), ma una necessità della politica ormai in preda al vortice consenso-potere-maggiore consenso-maggiore potere... Scopriresti che statalismo, democraticismo, territorialismo sono componenti determinanti di questo incistamento e del populismo di cui si fa scudo (giù le mani dall’Atac, dal Senato, dalle Province, dalle partecipate, ecc) e che quindi c’è un nesso preciso tra questa cultura e le posizioni sulla forma partito, sulla deriva verso la conglomerata di comitati elettorali, su quella sull’art. 18 e sull’assenza di qualsiasi proposta alternativa a Renzi sul terreno delle riforme.

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  14. Mi auguro che il suo gesto venga valutato per il suo grande valore simbolico e politico che è riuscito a me a comunicare : ti voto, in virtù di un'appartenenza, ma di me avrai solo il voto.Non le mie idee, non la mia anima, la mia coscienza politica, civile, democratica. La mia sfiducia, da oggi , nelle Istituzioni, in questa Sinistra, in questa classe politica è totale. Mi resta un filo di speranza ,sapere che persone come Lei, in questo Paese ci sono , esistono, sono ai margini, ma ci sono.

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  15. Manca la conclusione di tutta questa sbrodolata: "pertanto do la fiducia al governo".
    PAGLIACCIO!!!

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  16. D'accordo su tutto. Spero che questo generoso contributo possa scaldare i cuori e dare coraggio ai nostri.

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  17. Ciao a tutti. È per prevenirli che la maggioranza dei prestatori di denaro è truffatori per la maggior parte. Vi dico perché lo ho vissuto. Lo hanno fuorviato più volte. Non credevo realmente più nella parola dei prestatori falsi prima che incroci il cammino della signora CINZIA Milani. mi ha conceduto il mio prestito di denaro di 23000 euro in meno di una settimana. Una somma che devo lui rimborsato entro 5 anni con un tasso di 2,5%. Grazie a lui ho potuto aumentare il mio piccolo commercio e gli sono étrenellement riconoscente per quella. Allora vegliate scrivergli al suo indirizzo qui di seguito se avete bisogno di prestito di denaro. Posso testimoniare che esistono ancora veri prestatori che hanno voglia di aiutare. Non esitate a contattarlo. È molto comprensivo. Posta elettronica: milanicinzia62@outlook.com

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