venerdì 10 aprile 2015

Non si piange su una città coloniale. Note sulla politica romana


L’abisso di corruttela scoperchiato a Roma meritoriamente dalla magistratura lascia attoniti e indignati. Come è potuto accadere tutto ciò? Molti amici me lo hanno chiesto nei mesi passati. Con questo lungo saggio tento di dare una risposta cercando le cause remote e i rimedi non contingenti. Come spesso capita nel dibattito pubblico, una luce abbagliante mette a fuoco la miseria del presente, ma non illumina né il passato né il futuro.

C’è una crisi capitale del governo della capitale che va al di là della grave patologia attuale e richiede un’analisi a ritroso non solo dei guasti delle giunta di destra, ma anche delle ambiguità e delle incompiute del riformismo precedente. È ineludibile un bilancio sincero ed equanime del nostro quindicennio di governo. D’altro canto le soluzioni non sono riducibili alle battute d’occasione, ma richiedono uno sguardo più lungo sul destino della città.

Di seguito si tenta questa doppia fuga temporale, all’indietro per capire che cosa è successo e in avanti per immaginare un senso nuovo della capitale. Le singole proposte hanno un valore euristico – sono certo imperfette, controverse e non esaustive – e vogliono indicare solo l’urgenza di una ricerca che richiede contributi, critiche e condivisioni più ampie.

Può sembrare quasi provocatorio – e non nascondo l’intenzione – proporre una discussione sul futuro della città quando incalzano le emergenze amministrative e il fallimento della classe politica. I problemi della vita quotidiana quasi mai si risolvono caso per caso se non si cambia il paradigma che li determina. Nasce il cambiamento solo se si prende congedo dalla contingenza per immaginare un’altra visione delle cose.


Questo “colpo d’occhio” weberiano è precisamente il plusvalore che la politica deve aggiungere a una mera amministrazione. Quando esso viene a mancare, non solo si complicano i problemi quotidiani, ma la stessa funzione politica si atrofizza e deperisce, come un uccello che rinuncia a volare. Questa volontà dell’impotenza si manifesta nell’aspetto apparentemente contrario dell’arroganza del potere. La crisi della politica romana è intrinseca ai suoi compiti.

Che la degenerazione scoperchiata da Mafia capitale si possa contrastare chiudendo qualche circolo o controllando il tesseramento – senza nulla togliere a tali meritorie misure – appare francamente illusorio. E anche la distinzione tra il partito cattivo e quello buono è debole nell’analisi e inutile nella soluzione. In ogni campo della vita civile oggi in Italia si può dire qualcosa del genere, ma il problema è come invertire la dinamica che ha consentito alla parte cattiva di vincere sulla buona.

La crisi politica può essere risolta solo laddove si è generata, cioè nel venir meno della capacità progettuale e di indirizzo generale della cosa pubblica. Qui va sgombrato il campo da un vecchio equivoco che si porta dietro la parola “progetto”. Non si deve intendere come un libro di sogni, né tanto meno come una fuga dalla realtà, anzi precisamente il contrario: come modello regolativo che seleziona le scelte di oggi, come quadro di coerenza concettuale che guida la pratica amministrativa, come orizzonte di governo che agisce nel presente anche se non verrà mai realizzato in futuro.

Il progetto per Roma, niente di meno che questo è il compito su cui misurare la politica. Solo in relazione agli obiettivi si seleziona e si rinnova la classe di governo, si incontrano le forze vive del cambiamento, si condensa una volontà collettiva di riforma.

A tale prospettiva sono dedicate queste pagine che iniziano con un “Prologo all’inferno” e un’interpretazione del tramonto della capitale. La trattazione vera e propria si articola in tre parti. Nella prima si analizzano le mutazioni delle forme politiche. Nella seconda si esaminano i tentativi di riforma dell’amministrazione con l’auspicio di fornire una guida per non ripetere errori del passato. Infine, nella terza parte si discutono alcune politiche di crescita civile ed economica.

Le tre parti sono molto diverse non solo per gli argomenti trattati, ma soprattutto per gli strumenti analitici utilizzati e di conseguenza può risultarne discontinua la lettura. D’altronde, possono anche essere lette separatamente oppure selezionate in base a diversi interessi del lettore. Un'appendice descrive le tendenze elettorali ed è curata da Federico Tomassi, un valente ricercatore che da diversi anni mi accompagna in questi ragionamenti sulla città.




3 commenti:

  1. Una analisi convincente priva del "che fare ?"

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Un'analisi interessante, non priva di riflessioni autocritiche. Mi sarei aspettato un po' più di approfondimento sul rapporto tra le "giunte rosse" e le amministrazioni di Veltroni e Rutelli. O, per meglio dire, sulla brusca soluzione di continuità tra le prime e le seconde. Certo, nel frattempo c'era stato il decennio del pentapartito, tutte le battaglie e le conquiste del passato erano state messe alla berlina. E forse qualcuno ci ha tenuto un po' troppo a rimarcare la soluzione di continuità.
    La politica di edilizia popolare intensiva degli anni Settanta e Ottanta, che aveva determinato la fine delle baraccopoli, non è stata riconsiderata nei suoi profondi limiti come anche nei suoi aspetti generosi, provocando una deriva individualistica e la fine, a Roma, della possibilità di pensare a un'edilizia popolare purchessia.
    L'alternativa è stata da una parte la speculazione edilizia e i mutui facili, dall'altra, per chi non ce l'ha fatta, i "residence", che tra parentesi non sono certo più convenienti economicamente rispetto alle case popolari.

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