lunedì 16 aprile 2018

La crisi dell'Atac, le scelte sbagliate e le soluzioni possibili


Quello che pubblico oggi è un lungo saggio sulla crisi dell'Atac, l'azienda dei traporti di Roma. L'ho scritto nel tentativo di approfondire le cause e i possibili rimedi di una crisi che dura da tanto, troppo tempo. Due sono i fattori da cui prende le mosse il testo. Il primo è che l'avvio della procedura fallimentare dell'azienda ha già mostrato quali siano i gravi rischi per i lavoratori e per i cittadini. Qui si propone una strada alternativa per mettere in sicurezza l'azienda e riformarla radicalmente. Il secondo fattore è l'indizione per il prossimo 3 giugno del referendum consultivo sul ricorso alla concorrenza, che aprirà un dibattito popolare e sarà certamente un bene per la politica del trasporto. Ci sarà però anche il rischio di una mera contrapposizione ideologica tra pubblico e privato, mentre è fondamentale entrare nel merito delle scelte per valutarne i vantaggi collettivi. Qui si propone una via contro la privatizzazione selvaggia e a favore di una liberalizzazione che migliori l'efficienza mediante le gare europee e mantenga saldamente in mano pubblica il servizio.

Nel tentativo di chiarire le diverse opzioni il testo si è dovuto misurare con il linguaggio tecnico, in un difficile equilibrio tra rigore analitico e immediata comprensibilità. Comunque, ho incluso un riassunto iniziale che indica gli argomenti fondamentali del saggio.


Potete leggere e scaricare il saggio La crisi dell'Atac, le scelte sbagliate e le soluzioni possibili a questo indirizzo.

mercoledì 11 aprile 2018

Vedere e pensare la città


Pubblico oggi la mia prefazione al libro del giovane amico Michele Grimaldi, La macchia urbana - la vittoria della disuguaglianza, la speranza dei commons

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Questo libro è da leggere, conservare e diffondere.

Da leggere come un romanzo di viaggio nelle città. Un viaggio nel tempo, dalle misteriose origini fino agli esiti contemporanei, e nello spazio globale, inseguendo le invarianti e le differenze nei diversi continenti.

Da conservare, poiché al lettore non mancherà l'occasione di riprenderlo in mano per approfondire un caso di città o uno dei tanti pensatori che l'autore chiama a testimoniare. Utile per chi voglia farsi un'idea della letteratura critica che sull'asse interpretativo di Lefebvre, Berman e Harvey ha saputo connettere i processi strutturali, le trasformazioni sociali e i codici dell'immaginario urbano.

Da diffondere perché, dietro il rigore dell'analisi, prorompe un pensiero militante desideroso di affiancare i movimenti popolari e di contribuire alla ripresa di una politica democratica della città. Per le tante battaglie comuni, non ci sarebbe bisogno di chiarire con Michele il significato che attribuisco alla parola "militante", ma forse è bene evitare fraintendimenti con il lettore. Non gli attribuisco significato ideologico né meramente attivistico; piuttosto lo trovo un urlare in faccia al conformismo del nostro tempo un orgoglioso "non mi avrai". Significa rimanere in piedi senza farsi travolgere dal vento delle ideologie dominanti e andare alla ricerca delle faglie che sprigionano le promesse mancate della democrazia.

Il libro è prima di tutto un appassionato esercizio di critica del fenomeno urbano. In queste pagine il fare teoria della città riscopre la radice originaria del theorein - etimologicamente il vedere la città - che però non è un'attività ingenua o passiva, quanto una lotta per squarciare i paraventi del mainstream, per conquistare uno sguardo sapiente sulle strutture del potere, e per lasciarsi incantare dalla molteplicità della vita urbana. Michele ci offre un rischiaramento della questione, un Aufklärung post-illuministico, non solo oltre il sonno della ragione, ma per un risveglio della vita cittadina.


sabato 7 aprile 2018

Che ne facciamo del PD?

Intervento all'assemblea promossa da Peppe Provenzano al centro congressi Cavour di Roma, il 7 aprile 2018, dal titolo Sinistra Anno Zero.

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Quando si perde bisogna riuscire a guardare con amicizia al Paese. Per capire i fenomeni profondi del terremoto elettorale. I nostri avversari hanno saputo utilizzarli a loro favore. Noi li abbiamo sentiti ostili e siamo stati sconfitti. Raniero La Valle si domanda se quei fenomeni possano ottenere un'inedita risposta di sinistra. Oggi bisogna leggere i novantenni per scorgere il futuro. Poco fa abbiamo ascoltato anche il lucido discorso di Emanuele Macaluso.

Nel voto si è fatto sentire un grido antioligarchico: la politica è di tutti. È ritenuto un populismo da chi comanda, ma è avvertito come un principio democratico da chi non ha né poteri né diritti, soprattutto i giovani in cerca di lavoro. Si è espressa una buona partecipazione elettorale e nel Mezzogiorno per la prima volta il voto si è liberato dall'oppressione dei notabili di destra e di sinistra.

È cambiata l'agenda di governo. Sono scomparsi i temi che hanno tenuto banco nei decenni passati: le riforme istituzionali, la retorica del "ce lo chiede l'Europa", l'eterna illusione di creare lavoro impoverendo i diritti. Sono emersi i problemi più sentiti dai ceti popolari: le povertà e i privilegi, i giovani che se ne vanno e i migranti che vengono, ciò che chiede e ciò che offre lo Stato.

È stata rifiutata la classe politica dell'ultimo decennio: Berlusconi e Monti, i cui elettori hanno votato per i 5Stelle, ma anche i nuovi dirigenti del PD e la vecchia generazione postcomunista. Non si può dire che mancassero le ragioni: è stato un decennio di stagnazione politica, che ha bruciato tante illusioni, senza preparare progetti credibili per l'avvenire.
Nuove domande, quindi, hanno mobilitato gli elettori: la politica di tutti, le riforme popolari, la credibilità della classe politica. Almeno in teoria, erano esigenze coerenti con il compito, starei per dire con l'ideologia, di un partito autenticamente democratico.