tag:blogger.com,1999:blog-67035312494971718282024-03-08T15:22:45.363+01:00Walter TocciT.http://www.blogger.com/profile/01319918145185862066noreply@blogger.comBlogger199125tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-71388791442991654102024-01-12T14:56:00.009+01:002024-01-27T21:03:57.239+01:00La Forma Urbis al Celio: il primo passo del progetto CArMe<p><b><span style="font-size: medium;">Vi consiglio di andare a vedere la <i>Forma Urbis</i>, la grande mappa marmorea di Roma Antica, inaugurata dal Sindaco Gualtieri ed <a href="https://www.sovraintendenzaroma.it/content/dal-12-gennaio-apre-roma-il-parco-archeologico-del-celio-con-il-nuovo-museo-della-forma">esposta nella ex-Palestra GIL del Celio</a>, a cura della Sovrintendenza Capitolina.</span></b></p><p><b><span style="font-size: medium;">Si tratta del primo passo del CArMe, l'ambizioso progetto di trasformazione del Centro Archeologico Monumentale, di cui potete farvi un'idea leggendo il mio <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2023/10/il-progetto-per-il-centro-archeologico.html">Rapporto al Sindaco; qui in versione integrale e in una breve sintesi</a>.</span></b></p><p><span style="font-family: arial; font-size: medium;"><b>Qui un breve <a href="https://www.euronews.com/video/2024/01/24/watch-new-archaeological-museum-unveils-stunning-ancient-marble-map-of-rome">video dell'inaugurazione.</a></b></span></p><p><br /></p><p style="text-align: justify;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span> </span><span> </span><span><b>PASSEGGIARE NELLA STORIA</b></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La Forma Urbis è collocata nella ex-Palestra Gil, in una grande sala illuminata da una finestra a parete rivolta verso il parco del Celio. Il visitatore vede in questa stanza la mappa di Roma antica incisa sul marmo in epoca severiana.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La Sovrintendenza Capitolina ha realizzato un'istallazione originale e vicina allo sguardo dei visitatori. I reperti disponibili, che coprono circa il 10% dell'estensione originale della mappa, sono collocati sul pavimento, sopra la Pianta del Nolli e sotto una copertura trasparente e calpestabile. Questa innovazione consente di passeggiare sui reperti della Forma Urbis, di vederli da vicino e di comprenderne la collocazione urbanistica moderna. Una vera e propria passeggiata nella storia. E' una soluzione innovativa rispetto alla tradizione. Infatti, tutte le esposizioni del passato, a cominciare da quella antica nel Tempio della Pace, erano installate su pareti verticali e quindi di difficile comprensione per gli osservatori. L'intento attuale è di favorire una "prossimità dell'antico", che promuova la conoscenza dell'opera e ottenga una sorta di confidenza con la memoria storica, superando quelle forme separate e scostanti che talvolta caratterizzano le musealizzazioni archelogiche. Nel prossimo anno la stanza sarà dotata di efficaci strumenti digitali che miglioreranno ulteriormente la conoscenza e il godimento dell'opera severiana. </span></p><p> </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhsVU07OJOMF6CWaGOIgK0v5pL3viVoDlArBsP2H1m2hOp3bwXtEKFpf3Cvfi0Dupr6jBXyK5XaEzEeqU1WyiC4uy8XeAPQmKLtk7gfRQYiUUPDcpGehAsAwqmqOdh4psjnthiSwDC4Sh1mk_YDZTQnVIVLAMYKJKT-QNlNEEdNT2T7SGQK5doHYIaIKOI" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="399" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhsVU07OJOMF6CWaGOIgK0v5pL3viVoDlArBsP2H1m2hOp3bwXtEKFpf3Cvfi0Dupr6jBXyK5XaEzEeqU1WyiC4uy8XeAPQmKLtk7gfRQYiUUPDcpGehAsAwqmqOdh4psjnthiSwDC4Sh1mk_YDZTQnVIVLAMYKJKT-QNlNEEdNT2T7SGQK5doHYIaIKOI=w532-h399" width="532" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><i>La Forma Urbis sulla pianta del Nolli nella ex-palestra GIL</i></div><p style="text-align: justify;"><span></span></p><a name='more'></a><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Roma si arricchisce così di una nuova preziosa opera di conoscenza della sua storia, aperta al godimento dei cittadini e dei visitatori dopo un secolo di oblio. L'ultimo allestimento integrale della mappa, infatti, fu collocato al Palazzo dei Conservatori nel 1903 e si concluse nel 1924. In seguito, solo alcune parti furono esposte all'Antiquarium del Celio, fino alla sua chiusura nel 1938. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><i>Sulla storia della Forma Urbis potete leggere la nota in Appendice 1.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><i>Sulle Informazioni di servizio, accessibilità, tariffe ecc, andate all'Appendice 2.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><i><br /></i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"> <span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><b>IL GIARDINO VITRUVIANO</b><br /></span></p><p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">All'uscita dell'ex Palestra GIL ci si trova davanti una sorta di "giardino vitruviano" costituito di tipici elementi architettonici e di altri elementi marmorei significativi dell'antica Roma.</span><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /><br />L'esposizione consente di approfondire aspetti della vita sociale attraverso le scelte dei diversi ceti di rappresentare il proprio status nella sfera funeraria: da piccoli cippi sepolcrali alle tombe monumentali di ricchi senatori, come quella di Servio Sulpicio Galba.<br /><br />Nel settore dedicato al sacro emerge il senso del divino nelle modeste aree dedicate alle divinità del pantheon romano e nei più grandi templi pubblici, come il tempio dei Castori nel Foro Romano. Si possono cogliere le differenze, dimensionali e qualitative, nella contrapposizione fra edifici pubblici e privati.<br /><br />Sono esposte diverse testimonianze della presenza amministrativa di Roma sul territorio: dai cippi di delimitazione dell’alveo del Tevere agli ampliamenti del pomerio della città antica, fino ai cippi con le indicazioni delle aree di pertinenza degli acquedotti.<br /><br />Le testimonianze più numerose e imponenti riguardano il gusto architettonico antico e raccontano il modo di costruire e decorare gli edifici e dall’altro le tecniche impiegate per la lavorazione dei marmi<br /><br />Entro l'anno saranno disponibili gli strumenti digitali finalizzati a migliorare la conoscenza di tutto il sito. Si potrà fare una passeggiata nel Giardino Vitruviano ricevendo informazioni storiche sui singoli reperti, come fosse un breve corso di formazione sull'architettura antica.<br /></span><br /></p><p align="justify" style="line-height: 18.4px; margin-bottom: 0.28cm;"><span style="text-align: left;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjcoFEA_ZphxPpIzF0Qkca3uXeTOhQs3sTyDwXYvVVm69haZ831JclIwedYI3Qdf-cgwkAsiJVkp_9sl3qjfeBqpuq3lD_5f1CvohGvQim_5AgLLrWwjux1TRtRhaSjuTZ_khqLasfnsfHMjbuw2rfS4KUJItoLomcSRJtkRmiRHKDLBkiWJCofb00_vm0" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="699" data-original-width="1055" height="367" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjcoFEA_ZphxPpIzF0Qkca3uXeTOhQs3sTyDwXYvVVm69haZ831JclIwedYI3Qdf-cgwkAsiJVkp_9sl3qjfeBqpuq3lD_5f1CvohGvQim_5AgLLrWwjux1TRtRhaSjuTZ_khqLasfnsfHMjbuw2rfS4KUJItoLomcSRJtkRmiRHKDLBkiWJCofb00_vm0=w484-h367" width="484" /></a></div><p><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> <i> I</i></span><span><i>l Giardino Vitruviano, la Casina del Salvi e l'ex-palestra GIL (in fondo a destra)</i> </span><br /></p><p style="line-height: 18.4px; margin-bottom: 0.28cm; text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium; text-align: left;"><br /></span></p><p style="line-height: 18.4px; margin-bottom: 0.28cm; text-align: justify;"><span><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><b><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span>LA COFFE-HOUSE ALLA CASINA DEL SALVI</b></span></span></p><p></p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nella Casina del Salvi è in corso un complesso intervento di restauro. Dopo la conclusione, prevista per la fine dell'anno, tornerà alla funzione ottocentesca di coffe-house. Dalla bellissima terrazza si potrà ammirare il panorama del sottostante Giardino Vitruviano e all'orizzonte del Colosseo e del Palatino. Sarà un luogo di incontro, di ristoro e di sosta per chi ha intrapreso una passeggiata. Ce n'è grande bisogno: oggi il Centro Archelogico, per una grande estensione da Piazza Venezia all'Appia Antica, è molto carente di elementari funzioni di vivibilità, come acqua potabile e toilette.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Al secondo piano della Casina saranno disponibili Aule per giovani che intendono passare una giornata di lavoro o di studio a ridosso dei monumenti antichi. Si tratta di un piccolo contributo per riaprire il Centro Archeologico alla vita quotidiana della città e all'interesse delle nuove generazioni.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dal retro della Casina si potrà risalire, mediante ascensori e scale, fino alla sommità del Tempio di Claudio, godendo di una visione strepitosa sull'intero Centro Archeologico. Da questo affaccio, poi, inizierà un percorso pedonale in quota che arriverà fino all'Arco di Dolabella e quindi tornerà alla quota urbana all'altezza della Navicella. Sono in corso trattative con il Vaticano per realizzare il percorso ai margini della proprietà del Convento dei Padri Passionisti.</div><br /></span><p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><b>LA RISCOPERTA DEL CELIO</b> </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Da molto tempo il Colle è abbandonato all'incuria degli spazi pubblici e del verde. Paradossalmente, si sommano senza ostacolarsi sia le ossessioni securitarie sia i comportamenti abusivi, sia il florilegio di inutili recinzioni sia l'arroganza di automobili in sosta abusiva proprio di fronte al Colosseo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Tutto ciò ha consolidato nel tempo una dimenticanza del Celio, una scomparsa dalle politiche pubbliche e una disattenzione dell'opinione pubblica, a dispetto, però del suo immenso valore storico e ambientale: uno dei Sette Colli, incastonato tra il Palatino, il Colosseo, il Colle Oppio e l'Appia Antica; un pregiato sistema verde che culmina nella Villa Celimontana e scende verso il grande complesso dell'arcaica Valle Murcia, da Caracalla al Circo Massimo. Un luogo ricchissimo di monumenti, di chiese, di testimonianze archeologiche, che si sono stratificate attraverso tre millenni di storia. Come una sorta di sineddoche, il Celio rappresenta tutti i caratteri mirabili di Roma. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Oggi, comincia l'inversione di tendenza con la Forma Urbis, il Giardino Vitruviano e la Casina del Salvi. A questi interventi seguiranno altre opere molto importanti, come proposto da tempo dalla meritoria Associazione Celio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Entro il Giubileo verrà riqualificato il sistema del verde con nuove essenze vegetali legate alla tradizione romana, percorsi pedonali verso il rione Celio e i monumenti circostanti, aree di sosta e ristoro, balconate verso il Palatino e il Colosseo, luoghi liberati dalle recinzioni, suoli permeabili al posto degli inutili asfalti, manto erboso tra i binari del tram, ecc. </span></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhVuyKMDFu-QlwafLWWgClJyZqJlw484Zk2Hn-Us7yR__jtve6JGB9CUe2-ZsITBU_FB3I64sURvh8ax4zw03WmSN4U1AmJ3gWnsEWgF4mxZ4Qozx3VxtDyCZY8m8cyTP3yMC4y2wqiWW6DgGgLGcSmjUm7WF6tN7zrlc-7l_YUNdwZV_iYhI8jQP8VrUQ" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="1104" data-original-width="1472" height="355" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhVuyKMDFu-QlwafLWWgClJyZqJlw484Zk2Hn-Us7yR__jtve6JGB9CUe2-ZsITBU_FB3I64sURvh8ax4zw03WmSN4U1AmJ3gWnsEWgF4mxZ4Qozx3VxtDyCZY8m8cyTP3yMC4y2wqiWW6DgGgLGcSmjUm7WF6tN7zrlc-7l_YUNdwZV_iYhI8jQP8VrUQ=w464-h355" width="464" /></a></div> <i>Il tram si muove sul manto erboso del parco del Celio</i><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Inoltre<span><span>, dopo decenni di abbandono, una destinazione originale sarà assegnata all’</span></span><span><span><i>Antiquarium</i></span></span><span><span>, il cui restauro è finanziato dal PNRR. Non si è ancora presa una decisione, ma potrebbe diventare una sorta di </span></span><span><span><i>Forum Celio</i></span></span><span><span>, un centro polivalente di cultura, dove svolgere rappresentazioni di arte, di musica, di cinema, di teatro; una struttura moderna dotata di biblioteche, di realtà virtuale, di servizi di ristoro, di aule studio e di spazi per lo </span></span><span><span><i>smart-working</i></span></span><span><span>, di attrezzature per l’attività fisica nell’area verde limitrofa, di laboratori didattici e ludoteche, rilanciando anche il progetto elaborato dalla Sovrintendenza Capitolina nel 2006 di una sorta di Parco Archeologico per le bambine e i bambini. </span></span><span>In controtendenza rispetto alla scontata previsione di un museo, tante volte proposto, il monumento promuoverebbe un’inedita relazione tra gli stili della vita urbana e la conoscenza della città antica.</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Infine, e<span>ntro il prossimo Giubileo verrà recuperata la Casina Vignola Boccapaduli che diventerà un centro informativo dedicato alla connessione tra il Centro Archeologico, le Terme di Caracalla e l'Appia Antica. L'area circostante sarà pedonalizzata e funzionerà come stazione di partenza dei percorsi ciclopedonali e dell'autobus elettrico rivolti verso la Regina Viarum.</span></span><span style="font-family: Calibri, serif; font-size: 11pt; text-align: left;"> </span><i style="font-family: Calibri, serif; font-size: 11pt; text-align: left;"> </i></p><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgiUoTLaE_6RnsSG67s9CBwV_tGxEhPoaW8_yOomSlGOkv5O0oEtD2knCNAMmcS5VA7-n4DMTkxaA2Uqiz4TC0Rci0A7ABk3Zgh73B7xlwmNYkA79m2nWknDfHfWDRO_72NJA2TY0AQK9WupEGWlimjYEpJd-eguydpJcKbvoz0V2u8nTqjho9nWBqMr3k" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="960" data-original-width="1280" height="353" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgiUoTLaE_6RnsSG67s9CBwV_tGxEhPoaW8_yOomSlGOkv5O0oEtD2knCNAMmcS5VA7-n4DMTkxaA2Uqiz4TC0Rci0A7ABk3Zgh73B7xlwmNYkA79m2nWknDfHfWDRO_72NJA2TY0AQK9WupEGWlimjYEpJd-eguydpJcKbvoz0V2u8nTqjho9nWBqMr3k=w471-h353" width="471" /></a></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><i style="font-family: Calibri, serif; font-size: 14.6667px; text-align: left;"><span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span> </span>Casina Vignola Boccapaduli: centro informazione tra CArMe e Appia Antica</i></span><p></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><b>L'ACCESSIBILITA DEL COLLE</b></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Una serie di opere già in fase realizzazione e progettazione miglioreranno l'accessibilità del Colle.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Per il Giubileo aprirà la nuova stazione della metro C ai Fori Imperiali, che renderà visibili i reperti della collina Velia e apporterà un grande beneficio per la rete dei trasporti romani: i cittadini della periferia orientale potranno arrivare agevolmente nell'area archeologica e si costituirà la prima maglia tra le tre metropolitane, con la linea B a Colosseo e con la linea A a San Giovanni (oggi A e B sono connesse solo in un punto, a Termini).</span></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEi8teN6U6uF3hRy8JRTLKuU3M8rOyt65DnhWVN4-fWWHOVqLgWFTbcnTmjL4d2rI1_jhIsnsUDroZcwiyKnzkK1iwoo8YN15VdiH6b_aEv7VzR0SxGYVrL_iEHQjLLjmpQP0VDEkp_GFX5qzqckDqiVGjpQ6tKoV9ahBKdJDwEtJ8iANSdUWLct3bgROW4" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="800" data-original-width="1280" height="307" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEi8teN6U6uF3hRy8JRTLKuU3M8rOyt65DnhWVN4-fWWHOVqLgWFTbcnTmjL4d2rI1_jhIsnsUDroZcwiyKnzkK1iwoo8YN15VdiH6b_aEv7VzR0SxGYVrL_iEHQjLLjmpQP0VDEkp_GFX5qzqckDqiVGjpQ6tKoV9ahBKdJDwEtJ8iANSdUWLct3bgROW4=w421-h307" width="421" /></a></div> <i>La zanna di elefante rinvenuta sotto la collina Velia sarà esposta nella stazione metro Colosseo</i><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Il nuovo servizio di trasporto Archeotram utilizzerà l'infrastruttura esistente per connettere il Celio con quasi tutti gli altri luoghi di Roma Antica, da un verso Circo Massimo e Piramide e dall'altro S. Clemente, Mura di San Giovanni, Porta Maggiore, Horti Imperiali di piazza Vittorio, Terme di Diocleziano e Museo Archeologico Nazionale. A Piramide verrà costruito un piccolo tratto nuovo fino a piazzale dei Partigiani, di fronte alla stazione ferroviaria Ostiense. In tal modo si potranno captare i flussi turistici che vengono dal porto di Civitavecchia e dai pullman privati. Si potranno eliminare, quindi, i parcheggi e i transiti dei "bisonti" turistici da tutta l'area archeologica, con evidente beneficio rispetto all'inquinamento e all'immagine dei luoghi, e nel contempo si potrà fornire ai visitatori un efficace servizio di trasporto e di conoscenza dei luoghi antichi.</span></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p class="western" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
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</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjaAOja4Ntz2bJwZt-bef90tH6TOzzMTMhsLa5qID9Dm-77BuffewUbHwf6TA5atxgs7O9INeNhXfPREChBJwtKOBXTQ4PLVRmd6k-UJlWigbepxdU7vdMe0sl9GOw2hjEPp0e3JILpWM_dhAlEJi8Gj6wjaQ74AP7yIk1T2_pt3UHGFooVIfP-yO59y_w" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="1974" data-original-width="2484" height="348" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjaAOja4Ntz2bJwZt-bef90tH6TOzzMTMhsLa5qID9Dm-77BuffewUbHwf6TA5atxgs7O9INeNhXfPREChBJwtKOBXTQ4PLVRmd6k-UJlWigbepxdU7vdMe0sl9GOw2hjEPp0e3JILpWM_dhAlEJi8Gj6wjaQ74AP7yIk1T2_pt3UHGFooVIfP-yO59y_w=w438-h348" width="438" /></a></div> <i>L'Archeotram in connessione con la rete del ferro</i><br /><br /><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">L'Archeotram attiverà anche una maglia di trasporto intermodale ad area vasta: una sorta di ArcheoMetrebus, che consente dalla stazione Termini di arrivare col treno, in nove minuti, alla stazione di Torricola nei pressi del tratto in basolato della Regina Viarum, per poi tornare verso il centro con il percorso ciclopedonale o l'autobus elettrico e a Porta Capena trovare l'Archeotram che conduce di nuovo a Termini. </span></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiOm6ciZfKSN6XdPZk22M5GE2UhrITOwEuTjBfdtBpc0FbCvaOz_b8RqVH04ihWGz6k-699js4LCR7om3DTCqb9YUtrDUwnFLLHHQpm0Ux6G5nQPA30RrC2r1luszyvdoQbVFxhETiB0g3Zh8FUuG5S0f-sa9mCdOZEgjlCSaSsvtFBh5tAzELtrGHKswg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="2473" data-original-width="3376" height="469" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiOm6ciZfKSN6XdPZk22M5GE2UhrITOwEuTjBfdtBpc0FbCvaOz_b8RqVH04ihWGz6k-699js4LCR7om3DTCqb9YUtrDUwnFLLHHQpm0Ux6G5nQPA30RrC2r1luszyvdoQbVFxhETiB0g3Zh8FUuG5S0f-sa9mCdOZEgjlCSaSsvtFBh5tAzELtrGHKswg=w640-h469" width="640" /></a><span style="text-align: left;"><i>L'ArheoMetrebus connette il Celio, l'Appia e quasi tutti i monumenti di Roma Antica</i></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Anche per gli appassionati delle due ruote, in crescita negli ultimi anni, ci sarà una novità importante. Il Celio verrà circondato dal GRAB, il grande anello delle bici che collegherà l'area archeologica con il Tevere e l'Appia Antica. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Per la sua collocazione centrale il Colle è stato in passato un crocevia di diversi itinerari urbani. Questa vocazione sarà rilanciata da nuove interventi. Si è già detto della stazione di partenza verso l'Appia nella Casina Vignola Boccapaduli. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Inoltre, verrà realizzato un nuovo percorso pedonale tra l'area archeologica e le Mura Aureliane mediante la riqualificazione del Clivo di Scauro, di via San Paolo della Croce e di via della Navicella, fino a Porta Metronia, nei pressi delle Mura e dell'altra stazione della metro C, impreziosita dal recupero della Caserma delle guardie di Adriano. </span></p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Infine, <i>last but not least</i>, alle pendici del Colle, su via San Gregorio, i visitatori troveranno la Nuova Passeggiata Archeologica: un’opera tanto semplice nella trasformazione materiale quanto intensa nella metamorfosi simbolica. Sarà un grande anello pedonale che collegherà il Celio e via di San Gregorio con via dei Cerchi, via di S. Teodoro, le salite e le discese del Colle Capitolino e il nuovo allestimento urbano di via dei Fori. Sarà un progetto di alta qualità architettonica che scaturirà dal <a href="https://npa.competitionarchitecturenetwork.it/?pk_vid=d74eec6dcba1762016966047965aa670">concorso internazionale</a>, ormai giunto alla fase finale dell'esame delle 23 proposte pervenute.</div></span><p class="western" style="line-height: 16px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: Calibri, serif; font-size: 11pt; text-align: left;"><br /></span></p><p align="justify" class="western" style="line-height: 16px; margin-bottom: 0cm;"><span style="text-align: left;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; font-family: Calibri, serif; font-size: 11pt; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEg-UqG1dIkbbBCfen2coEoDy6E4nAhTq7z98cI6oWmiaSyvK6eI-LGfNjcfde7_o9lUMP-LQu8GtBitp2j1t4bVJd2fCnfklgSt2XWsQA2gPRudFr9AHHWYjPr2TYBveBzzOivi_p9WqdZU81zlAXD5QeY5EHpYT_AQ0NZljU5ERb1Ky0scqx0QoGNWs3U" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="2476" data-original-width="1934" height="335" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEg-UqG1dIkbbBCfen2coEoDy6E4nAhTq7z98cI6oWmiaSyvK6eI-LGfNjcfde7_o9lUMP-LQu8GtBitp2j1t4bVJd2fCnfklgSt2XWsQA2gPRudFr9AHHWYjPr2TYBveBzzOivi_p9WqdZU81zlAXD5QeY5EHpYT_AQ0NZljU5ERb1Ky0scqx0QoGNWs3U=w331-h335" width="331" /></a></div><span style="font-family: Calibri, serif; font-size: 11pt;"> </span><span style="font-family: Calibri, serif; font-size: 11pt;"> </span><i style="font-family: Calibri, serif; font-size: 11pt;">La Nuova Passeggiata Archeologica, con gli affluenti percorsi pedonali, compreso quello del Celio</i><span style="font-family: Calibri, serif; font-size: 11pt;"> </span><br /><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span><p></p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Con semplici elementi di arredo e di wayfinding, la Passeggiata distenderà i flussi pedonali oggi abbarbicati intorno al Colosseo, riattiverà le relazioni con i rioni del Centro Storico e soprattutto richiamerà l’attenzione dei cittadini e dei visitatori sulla ricchezza dei luoghi meravigliosi, sulla varietà dei monumenti e sulle stratificazioni plurimillenarie del paesaggio. Si tratta, quindi, di un’infrastruttura culturale che modificherà il senso dei luoghi e per la prima volta aiuterà i cittadini e i visitatori a percepire il Centro Archeologico come un sistema molteplice di paesaggi e di monumenti e non solo come una serie di attrattori turistici separati tra loro e dalla città</div><div style="text-align: justify;"><br /></div></span><p><b><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span>IL PROGETTO CArMe</span></span></b></p><p align="justify" class="western" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="color: #c9211e;"><span><span style="color: black; font-family: verdana; font-size: medium;">Lungo il nuovo anello pedonale si potranno ammirare tutte le opere e i restauri in fase di realizzazione nel triennio 2025-7 nei diversi siti: oltre al Parco del Celio, le aree archeologiche dei Fori, l’allestimento pedonale della via, la Torre dei Conti, il centro servizi del Tempio della Pace, il Belvedere Cederna, il Parco di Colle Oppio e della Cisterna delle Sette Sale, i nuovi centri espositivi di via dei Cerchi, le aree del Foro Boario e del Teatro di Marcello. Tutti questi interventi e molti altri sono inseriti nel <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2023/10/il-progetto-per-il-centro-archeologico.html">Progetto CArMe</a>, di cui la Forma Urbis costituisce lo squillo di tromba che avvia la sfida.</span></span></span></p><p align="justify" class="western" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="color: #c9211e;"><span><span style="color: black; font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></span></span></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Il compito è ambizioso: riscoprire l’area archeologica come il centro della vita pubblica, proprio come era nell’antichità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Con adeguate tutele, restauri e allestimenti, gli spazi moderni e le aree archeologiche possono svolgere pienamente la funzione simbolica di centro della civitas e nel contempo costituire il luogo prediletto della vita quotidiana, dove darsi un appuntamento, camminare attraverso la storia, conoscere la vicenda plurimillenaria della città, sentirsi liberi di giocare, studiare o lavorare, partecipare agli eventi civili e al dibattito pubblico e soprattutto riconoscersi come cittadini di Roma e del mondo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La scala del progetto è molto più ampia dei Fori e comprende tutta l’area compresa tra piazza Venezia, le Terme di Caracalla, Colle Oppio e il Tevere. È il Centro Archeologico Monumentale di Roma, indicato con l’acronimo CArMe, in memoria del componimento poetico che in età arcaica svolgeva una funzione propiziatoria per le grandi imprese, sperando sia di buon augurio anche oggi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span>La trasformazione del Centro Archeologico Monumentale (CArMe) è la più bella notizia che Roma possa dare al mondo. È l’ambizione di ravvivare la memoria storica come energia di cambiamento della città. </span><span style="text-align: left;"><span>È </span></span><span>l’occasione della riscossa civile dopo la stagnazione che ha attanagliato la Capitale negli ultimi tempi. È la meraviglia da condividere tra tutte le genti, tra le diverse generazioni, tra gli abitanti e i visitatori, tra il centro e la periferia, come auspicava il sindaco Petroselli.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Purtroppo, la vita urbana si è allontanata dall’area archeologica, ormai consegnata quasi esclusivamente al turismo di massa. Eppure i cittadini del mondo sarebbero accolti nel modo migliore se i monumenti fossero frequentati anche dagli abitanti, i quali custodiscono l’autenticità dei luoghi, animano la vita dei rioni e differenziano le attività culturali ed economiche, evitando i rischi dell’omologazione del tessuto urbano. Il nostro obiettivo, quindi, è il reincanto dei romani verso la città antica.</span></div><p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></p><span style="font-family: verdana;"><br /><br /><i><b>APPENDICE 1 - LA STORIA DELLA FORMA URBIS</b></i><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La Forma Urbis severiana è stata realizzata tra il 203 e il 211 d.C.: vale a dire tra l'anno della costruzione del Septizodium – il ninfeo monumentale che troviamo rappresentato nella pianta – e quello della morte di Settimio Severo, che è menzionato su una delle lastre insieme al figlio maggiore, il futuro imperatore Caracalla.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Originariamente era esposta sulla parete di un’aula nel Tempio della Pace, che fu in seguito inglobata dal complesso dei SS. Cosma e Damiano nell’area del Foro Romano. La parete su cui la pianta era affissa corrisponde all’odierna facciata della Basilica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Lo studio delle tracce presenti sulla parete ha consentito di ricostruire ingombro e dimensioni della Forma Urbis: la pianta era incisa su 150 lastre di marmo applicate alla parete con perni di ferro ed occupava 18 x 13 m circa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">E venne realizzata quando le lastre erano già montate sulla parete.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Fu ricavata da un grande rilevamento catastale della città, riprodotto in modo semplificato, ed è orientata, secondo l'uso romano, con il Sud-Est in alto e non il Nord.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Si tratta di uno dei più rari documenti giunto a noi dall’antichità, che restituisce un panorama unico del paesaggio urbano di Roma antica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nella sua integrità, su di una superficie di quasi 235 mq erano rappresentati circa 13.550.000 mq di città antica attraverso una moltitudine di sottili incisioni che raffiguravano le planimetrie degli edifici di Roma, a una scala media di circa 1:240.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Considerata la posizione, la difficile leggibilità e la generale assenza di dettagli, è probabile che la pianta marmorea avesse, più che una finalità pratica, una funzione di propaganda e di celebrazione del potere, fornendo all’osservatore una visione generale della città e dei suoi grandiosi monumenti, le cui sagome erano facilmente individuabili anche grazie all’uso del colore.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dopo la scoperta nel 1562 e la lunga permanenza a Palazzo Farnese (1562-1741), molti frammenti andarono perduti e dispersi. Le lastre finirono in parte frantumate e usate come materiale da costruzione per i lavori farnesiani del Giardino sul Tevere.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La pianta marmorea è entrata a far parte delle collezioni dei Musei Capitolini dal 1742.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quello che rimane oggi è circa un decimo del totale della pianta.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Delle centinaia di frammenti, da piccole schegge a settori di lastra con interi quartieri, solo circa 200 sono stati identificati e idealmente collocati sulla topografia moderna.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div></span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i><b>APPENDICE 2 - INFORMAZIONI DI SERVIZIO</b></i></span></p><p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;"><br /></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;"><b>Ingressi</b></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">:</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;"><span style="font-family: Arial, serif; font-size: 14.6667px;">Clivo di Scauro 4, Roma</span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Viale
del </span></span></span></span></span><span style="font-family: Arial, serif; font-size: 11pt; text-align: left;">Parco del Celio 20, Roma</span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><b><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Orari</span></span></span></b><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">
</span></span></span></span></span>
</p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Il
Parco Archeologico del Celio è aperto </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;"><u>tutti
i giorni dalle 7.00 alle 17.30 (ora solare)</u></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">
e </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;"><u>dalle
7.00 alle 20.00 (ora legale)</u></span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Chiuso
il 25 dicembre, 1° maggio.</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Il
Museo della Forma Urbis è aperto </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;"><u>dal
martedì alla domenica dalle 10.00 alle 16.00</u></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">
(ultimo ingresso un’ora prima).</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Chiuso
il lunedì, 25 dicembre, 1° maggio.</span></span></span></span></span></p><p align="justify" class="western" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<b><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;">Tariffe</span></span></b></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Parco
Archeologico del Celio: ingresso gratuito</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Museo
della Forma Urbis:</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Intero
Non Residente € 7,50 – Ridotto Non Residente € 6,50</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Intero
Residente € 6,50 – Ridotto Residente € 5,50</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Ingresso
gratuito con la MIC Card</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">È
possibile acquistare il biglietto d’ingresso online, tramite il
call center 060608, con diritto di prevendita € 1 oppure presso la
biglietteria del Museo.</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">L’acquisto
in biglietteria di biglietti per date successive è consentito solo
con carta di credito con diritto di prevendita € 1.</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">L’area
archeologica e il museo sono accessibili a tutti</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">Per
maggiori informazioni: </span></span></span></span></span>
</p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">060608
(tutti i giorni ore 9.00-19.00)</span></span></span></span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif;"><span style="font-size: 12pt;"><span style="color: #0563c1;"><u><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: 11pt;">www.sovraintendenzaroma.it</span></span></span></u></span></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">
</span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.49cm;"><br /></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><br /></p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com9tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-55007060611787711382024-01-05T12:37:00.005+01:002024-01-06T11:46:44.634+01:00La lotta tra Umano e Disumano nel nostro tempo<p><span style="font-family: arial; font-size: medium;">Sulla crisi della sinistra Ferruccio Capelli ha scritto un bel libro di analisi e di proposta: <i><a href="https://www.guerini.it/index.php/prodotto/a-sinistra/">A sinistra. Con uno sguardo umano</a></i>. Lo abbiamo presentato alla Fondazione Basso il 23-10-2023, insieme al presidente Franco Ippolito, Marina Forti e Marco Furfaro. </span></p><p><span style="font-family: arial; font-size: medium;">La Casa della Cultura di Milano ha gentilmente <a href="https://www.casadellacultura.it/1462/la-lotta-umano-disumano-nel-nostro-tempo">pubblicato il testo del mio intervento</a> nella versione completa. </span></p><p><span style="font-family: arial; font-size: medium;">Una parte del testo potete leggerla di seguito. </span></p><p><span style="font-family: arial; font-size: medium;">Il video della presentazione si trova <a href="https://www.youtube.com/watch?v=L9wKjzxmkFw">qui</a> (mio intervento inizia a 1h e 11m) </span></p><p><br /></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: verdana;">L’idea del Nuovo Umanesimo è la questione centrale del libro. </span><span style="font-family: verdana;">Merita, quindi, di essere discussa, sviscerata nelle conseguenze e messa alla prova. Ferruccio ci lavora da tanti anni con la cura che conosciamo. Mi pare una linea feconda. E consente anche di ampliare la discussione con molteplici ispirazioni culturali. Come va già facendo la Casa della Cultura a Milano, per esempio, nel dialogo con la tradizione del personalismo cattolico di marca ambrosiana oppure riscoprendo le origini del movimento socialista rappresentato in quella città non a caso da un’istituzione sociale come l’Umanitaria, il longevo centro di formazione e di cultura che rimanda all’opera di Gnocchi Viani, quanto mai attuale.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><b>Umanesimo come pensiero della vita</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La discussione sul libro, quindi, deve svilupparsi intorno alla domanda: che cos’è l’Umanesimo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">A me pare si possa rappresentare con parole semplici come il Pensiero della Vita. Questa espressione può essere letta come un genitivo soggettivo oppure un genitivo oggettivo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Se è protagonista la prima parola, abbiamo un Pensiero che si rivolge alla Vita. Cioè, come dice l’autore, “uno sguardo sulla vita” che elabora un costrutto nel campo delle idee, una narrazione, una filosofia. Da tutto ciò emerge un Umanesimo Ideale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Se è protagonista la seconda parola, la Vita irrompe nel Pensiero svelando la lotta originaria tra umano e disumano. Questo, invece, è l’Umanesimo Esistenziale che emerge nella dimensione dell’intangibile, dell’irriducibile e perfino dell’indicibile. Come ha detto prima Marina Forti, di fronte al conflitto israelo-palestinese quasi ci mancano le parole per descrivere da un lato l’odio infinito, la strage quotidiana, ma dall’altro lato anche episodi quasi invisibili che disertano lo spirito di vendetta e scelgono la generosità e il dialogo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span><a name='more'></a></span><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Capelli ci tiene a sottolineare che l’Umanesimo deve essere qualificato con l’aggettivo <i>nuovo</i>, e siamo d’accordo con lui. Tuttavia, rispetto alla bipartizione del concetto appena proposta, solo con riferimento all’Umanesimo Ideale ha senso aggiungere la parola <i>nuovo</i>. In quanto narrazione, infatti, sedimenta una tradizione culturale che deve essere continuamente rielaborata nella contemporaneità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Se invece ci riferiamo all’Umanesimo Esistenziale non è necessaria la distinzione tra vecchio e nuovo. Il pensiero della vita in tal caso si riferisce a una dimensione antropologica e comunque di lunga durata. Per dare una rappresentazione della lotta tra umano e disumano dobbiamo ricorrere agli archetipi, alle figure originarie della nostra civiltà. Il pensiero corre al primo coro dell’Antigone “l’uomo meraviglioso e inquietante”, il <i>deinòn</i> sofocleo. Oppure alla lotta ingaggiata nella notte da Giacobbe, fino a slogarsi l’anca, con l’innominato, che alla luce dell’aurora si rivela come il divino. Oppure, ancora, Cristo interpellato dalle tentazioni di Satana affinché abbandoni l’amore per l’uomo e diventi padrone del mondo; quei versetti del Vangelo costituiscono l’insuperabile manifesto della Volontà di Potenza.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Proprio la dimensione archetipica della lotta tra umano e disumano è risvegliata dalle sfide del nostro tempo. La dimensione più originaria è quella più attuale: il post-umano, il pericolo per la Madre Terra, la Terza guerra Mondiale, costituita da tanti conflitti ormai quotidiani, non più solo di conquista del territorio, ma di annientamento del nemico; l’armistizio è già scomparso dal vocabolario delle armi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">In questa dimensione è difficile individuare con il linguaggio ordinario gli scenari possibili. Bisogna ricorrere a linguaggi più sconvolgenti. L’apocalittica cristiana ci mette a disposizione due umanesimi radicali e opposti: 1) l’<i>èschaton</i>, l’umanesimo della liberazione, cioè il Nuovo Regno che libera l’uomo dal male; le utopie politiche del Novecento non sono altro che la secolarizzazione di questa apocalittica; 2) il <i>katéchon</i>, cioè l’umanesimo che trattiene il male, che impedisce la vittoria dell’Anticristo e rimuove quindi il pericolo mortale per l’uomo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Nella realtà storica sono due figure molto intrecciate: l’èschaton provoca rivoluzioni che approdano spesso a nuove forme di dominio; allora c’è bisogno di un <i>katéchon</i> che trattenga il male; a forza di trattenere, però, il <i>katéchon</i> assume uno spirito conservatore e, di conseguenza, emerge nuovamente la necessità di un Èschaton che rimetta in movimento la storia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La nostra generazione ha avuto un privilegio, come poche altre. Siamo stati escatologici in gioventù (il Sol dell’Avvenire) e siamo oggi katechontici. Tutte le proposte di Capelli sono di natura katechontica, poiché ruotano intorno al contenimento degli spiriti selvaggi del capitalismo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Se fallisce il <i>katéchon</i>, vince l’odio irriducibile, il razzismo, la manipolazione dei corpi e delle menti, la rovina del pianeta. La nostra speranza può essere solo katechontica, non più e non ancora escatologica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Come dice il poeta, “laddove è il rischio cresce anche ciò che salva”. Dov’è questo luogo esistenziale in cui cresce ciò che salva? Può trovarsi solo nella dignità dell’uomo, cioè nel riconoscimento generato dalla lotta tra umano e disumano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Capelli estrae l’idea della dignità dalla lettura platonica del mito di Prometeo, al quale gli dei donano <i>Èidos</i> e <i>Dike</i> - rispetto e giustizia - perché sappia governare la potenza del fuoco, senza rimanerne soggiogato. Una bellissima interpretazione è venuta da Mario Vegetti per il testo della conferenza che avrebbe dovuto pronunciare proprio alla Casa della Cultura, se non fosse venuto a mancare, purtroppo, qualche giorno prima.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Il tema della dignità richiama un altro grande maestro, stavolta della nostra Fondazione Basso. Stefano Rodotà in <i>Il Diritto di avere diritti</i> ne fa un crocevia nel percorso moderno del costituzionalismo. Abbiamo avuto l’<i>homo hierarchicus</i> nelle Carte dell’<i>ancien régime</i>, l’<i>homo aequalis</i> nelle Costituzioni del Novecento, ma la sfida del XXI secolo è il costituzionalismo dell’<i><a href="https://waltertocci.blogspot.com/2020/01/carita-o-diritti.html">homo dignus</a></i>, cioè il diritto che salva l’umano di fronte alle sfide del post-umano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Tutto ciò corrisponde a una visione tragica dell’Umanesimo tipicamente occidentale. È l’esito della grande tradizione greco-giudaico-cristiana, non a caso scandita dalle figure di Antigone, Giacobbe e Gesù.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Ormai, però, siamo al confronto con l’Oriente. Non è solo una competizione economica. Non è solo una comparazione di sistemi politici, e alcuni cominciano a dire che quelle autocrazie sono in grado di governare più efficacemente il capitalismo. Non è solo questo, c’è una discordanza spirituale da comprendere e riconoscere, come propone Capelli in pagine molto belle sulle culture degli altri, domandandosi, per esempio, perché non c’è stato un colonialismo cinese.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">L’umanità occidentale è lacerata nella lotta col disumano. È una <i>koinè</i> binaria: una parte contro l’altra. Al contrario, l’umanità orientale è armonica, riguarda l’intero, non ammette fratture.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Se l’armonia fosse autentica, non farebbe problema. Ma, come spesso accade, l’armonia è inautentica, è ideologica, nasconde forme di dominio e soprattutto inibisce la forza spirituale di contrasto. Quindi può degradare in un dominio non trattenuto da alcun <i>katéchon</i>. E in tal caso non c’è alcuna possibilità di svelare l’inganno, è assente il soggetto che può indicare il rischio e la salvezza. Nella Cina di oggi e di ieri sono evidenti le tracce della tendenza al conformismo, dell’acquiescenza verso il potere costituito, della mancanza di conflitti dichiarati, almeno per ora. La domanda inquietante riguarda gli esiti futuri: quando questa formazione spirituale si misurerà con le sfide del post-umano e dei monopoli cognitivi, potrebbero mancare le risorse di umanità di un <i>katéchon</i> che trattiene il male.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><b>Perché <i>nuovo</i> Umanesimo?</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Nella seconda parte del libro Capelli insiste a dire <i>nuovo</i> Umanesimo e si domanda: “che cosa dobbiamo mantenere della tradizione umanistica” - ma io aggiungo, “se è nuovo, che cosa deve cadere?”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La risposta viene dalla critica più severa condotta contro l’Umanesimo dal pensiero novecentesco, quella di Heidegger in <i>Lettera sull’Umanismo</i>, nel dialogo con Sartre. L’argomento cruciale denuncia la profonda implicazione dell’Umanesimo con la moderna Volontà di Potenza. Dal suo punto di vista, ciò significa dominio dell’ente sull’essere e quindi declino della metafisica occidentale. Era un grande filosofo, ma l’orizzonte della capanna di Todnauberg rimaneva limitato dentro la cultura tedesca, la quale aveva interpretato l’Umanesimo italiano in senso idealistico, come <i>Humanismus</i>, cioè un paradigma chiuso in sé, compiuto, potente, perfetto, apollineo potremmo dire. Questa interpretazione, però, è stata ribaltata dalla critica storiografica italiana, da Garin, a Cacciari, a Ciliberto e, credo si possa dire, anche a Esposito, i quali hanno svelato un Umanesimo delle origini di tipo dionisiaco, più incerto, aperto a esiti diversi e inquieto; si veda, per esempio, il bellissimo libro di Cacciari intitolato appunto <i>La mente inquieta</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Rivolgendosi a questa storiografia, Capelli qualifica il <i>nuovo</i> come un ritorno all’origine, che è sempre il modo più radicale di concepire l’innovazione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Anche io, caro Ferruccio, sono affezionato come te al ribaltamento critico elaborato dai filosofi italiani. Però è pur sempre un’operazione meramente filologica. Dobbiamo riconoscere che nell’esperienza storica fattuale, dal Rinascimento in poi, è prevalso il connubio tra Umanesimo e Volontà di Potenza. In tale contesto non si può dar torto alla radicale critica heideggeriana.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La fiducia nell’uomo innescata dalla rivoluzione umanistica non si è posta limiti katechontici, anzi è approdata al tentativo supremo di far scendere Dio in Terra.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Il Codice Moderno della conoscenza può essere interpretato come una tenace secolarizzazione della Legge di Dio: nella legge dello Stato hobbesiano; nelle leggi dell’intelletto, da Cartesio, a Spinoza, a Kant fino a Husserl; nelle leggi della fisica, da Newton a Heisenberg.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Questo principio legislativo della conoscenza è stato sviluppato al massimo grado di intensità nel corso del Novecento, fino a provocarne l’esaurimento, che si è palesato nel passaggio di millennio con la deflagrazione della razionalità del Moderno.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Lo Stato torna apparentemente protagonista con le guerre e le pandemie, ma viene meno la sua sovranità, non è più katechontico verso il capitalismo, è assorbito dentro il sistema tecnico-finanziario globalizzato.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Le leggi dell’intelletto non sorreggono più il sistema della metafisica occidentale, le cui fondamenta sono state da tempo destrutturate sotto i colpi del “martello di Nietzsche” e di tutti i decostruzionisti successivi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Perfino la <a href="https://www.edizioniets.com/priv_file_libro/2679.pdf">legge fisica</a> non è più oggi nelle corde dell’Intelligenza Artificiale, la quale non ha bisogno di un’equazione che spieghi la realtà delle cose, ma va in cerca di correlazioni statistiche tra i fenomeni. La domanda non è perché accadono, ma come accadono; è un principio di funzionalità, non di conoscenza.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Qui è la ragione più profonda dell’incertezza del nostro tempo. Si indebolisce il Codice Moderno della conoscenza umanistica, proprio mentre la Volontà di Potenza, che da quel Codice è stata innescata, arriva ai confini dell’inquietante e del perturbante, cioè di fronte alle sfide descritte da Capelli: il post- umano, il pericolo per la biosfera, le nuove possibilità di dominio delle menti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><b>Lo squilibrio tra Potenza e Saggezza</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Viene a mancare la razionalità dell’Umanesimo moderno proprio mentre il destino dell’umanità si trova di fronte a prove inaudite. Non abbiamo gli strumenti cognitivi e morali adatti ad affrontare la lotta divenuta sempre più rischiosa tra umano e disumano. Siamo approdati a un grande squilibrio tra Potenza e Saggezza; tra la Potenza di trasformazione del mondo contemporaneo e la Saggezza, intesa come la capacità di regolare gli esiti della trasformazione. Giorgio Ruffolo lo aveva già capito negli anni ‘80 con il libro <i>Potenza e potere</i>, dove “potere” indicava la capacità di regolazione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Lo squilibrio si vede meglio nella Rete: miliardi di persone nel mondo dispongono di un deposito infinito di conoscenze e di informazioni, come non è mai accaduto nella storia, ma per attingere a tale ricchezza sarebbero necessarie abilità cognitive e capacità critiche molto più sviluppate di quelle che abbiamo maturato in epoca industriale, “il leggere, scrivere e far di conto”, sulle quali, tra l’altro, l’Italia è arrivata molto in ritardo; il nostro maestro Tullio de Mauro metteva sempre sull’avviso riguardo al pericolo di regressione di alfabetizzazione per ampie fasce di popolazione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Nella fase industriale c’era comunque la consapevolezza della necessità di adeguare le competenze dei cittadini e si attuò la scolarizzazione di massa. Al contrario, oggi lo squilibrio tra accesso e apprendimento della conoscenza non è neppure tematizzato. Se fosse affrontato in modo rigoroso si dovrebbero cancellare tutte <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788868434038">le leggi sulla scuola approvate negli ultimi trent’anni</a>, perché rivolte nella direzione sbagliata di una tecnicizzazione dell’insegnamento, proprio mentre sarebbe stata necessaria una didattica per la vita e con la vita.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La questione non riguarda solo la scuola, ma più in generale tutti quei processi sociali in grado di accrescere le capacità di apprendimento. In passato, nell’Italia ancora analfabeta, per esempio, i partiti e i sindacati hanno svolto un grande compito di educazione popolare. Oggi tali <a href="https://www.carocci.it/prodotto/la-poverta-educativa-in-italia">processi di apprendimento non sono affatto spontanei</a>, mancano le agenzie formative di natura sociale e anzi sono molto più forti le agenzie dell’ignoranza, che strumentalizzano lo squilibrio cognitivo per propalare la demagogia politica, il razzismo, la scienza fai da te ecc. Anthony Giddens, il teorico del blairismo, descriveva l’avvento della società della conoscenza come un passeggiare su un prato raccogliendo i fiori dei saperi. Poi si è visto che non si trattava di un prato, ma di crepacci rischiosi, di pendii rocciosi, di selve oscure. E che l’Età della Conoscenza, se non metabolizzata da una più alta opera di educazione popolare, può tramutarsi anche nell’<i>Età dell’Ignoranza</i>, come ha mostrato in anticipo il libro di Fabrizio Tonello. È un’altra espressione della lotta tra umano e disumano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">L’autentico Umanesimo è connesso alla questione educativa. Capelli ha sviluppato il nesso in un libro precedente - <i>La formazione (è) umanistica</i>, Unicopli, 2012 - e ne ha richiamato l’origine storica. La parola Umanesimo viene dal termine <i>humanitas</i> di Cicerone, che traduceva dal greco <i>paideia</i>, la formazione delle scuole filosofiche ellenistiche. E anche l’idealismo tedesco, pur con l’interpretazione fuorviante sopra richiamata, connetteva l’<i>Humanismus</i> alla <i>Bildung</i>, cioè alla formazione intesa come progetto di vita. C’è, quindi, una continuità da riscoprire: il Nuovo Umanesimo comporta un profondo ripensamento dell’Educazione nel nostro tempo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Come e quando si è creata questa divergenza tra Potenza e Saggezza? Soprattutto negli ultimi quarant’anni ad opera dell’egemonia neoliberale, che ha saputo volgere a suo favore tutte le grandi innovazioni: le tecnologie digitali, la finanziarizzazione dell’economia, la fine della guerra fredda. Uso la parola <i>neoliberale</i> per un momento e poi la getto via. A me non è mai piaciuta e la considero fuorviante. Siamo portati a constatarne il successo negli ultimi 40 anni, ma si tratta di una tipica storia novecentesca.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">L’ideologia nasce negli anni ‘30 nella scuola austriaca e in quella tedesca contro i propositi delle dittature di creare l’uomo nuovo, l’uomo sovietico e l’uomo fascista. Quei pensatori si pongono all’altezza della sfida dell’epoca, ricercando le condizioni sociali e umane che possano impedire la formazione dei totalitarismi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">A tal fine, non si limitano a una ricetta economica, ma elaborano una teoria della conoscenza e una vera e propria antropologia filosofica basata sullo scambio. Quando poi conquistano l’egemonia, il loro pensiero offre le basi per la costruzione di un nuovo tipo di umano, opposto a quello dei totalitarismi, ma non meno performativo e perfino seducente. Il capitale non riguarda più solo il processo industriale, ma colonizza la vite delle persone, diventa capitale umano; la figura stessa dell’imprenditore si generalizza come regola di comportamento degli individui.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Qui c’è la rottura con la tradizione del liberalismo, che era una teoria giusnaturalistica basata sulla conformità tra le leggi del mercato e quelle della natura umana. Ora, invece, si vuole creare una nuova forma di vita pienamente compatibile con la logica del capitalismo. È una sorta di Umanesimo Capitalista che svuota il senso dell’Umanesimo Ideale e neutralizza la lotta di quello Esistenziale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La nuova egemonia ha funzionato meglio nella dimensione antropologica che nella teoria economica. Tutte le sue promesse sono fallite, come impietosamente mette in luce l’autore: la crescita infinita, la stabilità di sistema, il cittadino-consumatore padrone delle scelte, la globalizzazione irenica ecc. Ha resistito a tutti questi smacchi perché si è insediata nella vita, nella salute del corpo, nella colonizzazione dei sentimenti, nelle relazioni interpersonali, nei fini educativi, nelle condizioni di lavoro, nella produzione degli immaginari, ecc., come hanno svelato gli studi di Dardot e Laval, <i>La nuova ragione del mondo</i>, e di De Carolis, <i>Il rovescio della libertà</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Seguendo questa chiave interpretativa si potrebbe spiegare meglio anche il declino del movimento operaio, il quale non ha resistito alle sconfitte politiche proprio perché non ha saputo rielaborare la propria tradizione culturale in una nuova antropologia ovvero un Umanesimo del Lavoro, che poi sarebbe stato l’inveramento del primo articolo della nostra Costituzione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Allora come si esce dalla lunga egemonia dell’Umanesimo Capitalista? La risposta di Capelli è la crescita di una nuova “coscienza del limite”; intorno a questo tema ruotano tutte le proposte del libro. Indubbiamente è anche la critica più radicale che si possa fare al capitalismo, il quale nella sua essenza è animato proprio dalla potenza dell’illimitato, come mostra <a href="https://centroriformastato.it/che-cosa-significa-crescita-esponenziale-e-perche-conviene-saperlo/">Alessandro Montebugnoli</a> riprendendo la lezione marxiana.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Tuttavia, a mio avviso, non basta annunciare la cultura del limite. E non bastano neppure le politiche del limite, anche se sarebbero non solo necessarie ma dirimenti per il futuro. Qui, c’è il mio dubbio: la battaglia delle idee non è sufficiente, occorre disporsi sul terreno dove ha vinto l’avversario, cioè nel mondo della vita.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Di fronte alla lotta tra umano e disumano bisogna coniugare l’Umanesimo Ideale e quello Esistenziale. E ciò comporta un campo di pensiero e di azione molto più ampio, non solo l’economia, la società e le istituzioni, ma appunto la vita reale, i corpi, i linguaggi, gli immaginari, le passioni, le solitudini, i bisogni materiali e immateriali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">E perfino la parola umano in questo approccio deve perdere la sua tendenza unificatrice: non solo l’uomo, ma la differenza tra i sessi, la molteplicità dei generi. Non a caso proprio dalla cultura femminista vengono le parole decisive per il ribaltamento della visione dell’Umanesimo Capitalista. Nel bellissimo documento sul <i><a href="https://ilmanifesto.it/salto-della-specie">Salto di specie</a> </i>elaborato dalle femministe del CRS in occasione del Covid, emergono le parole Vulnerabilità e Cura. Per le donne Vulnerabilità viene dall’esposizione alla violenza del maschile e Cura degli altri è inseparabile dalla cura di sé e del mondo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Dobbiamo evitare i compartimenti stagni: da una parte i luoghi delle elaborazioni e delle esperienze delle donne e dall’altra i convegni dove gli uomini parlano d’altro. Il linguaggio femminista ha una forza generativa di nuovi pensieri e pratiche all’altezza delle sfide del nostro tempo. Perché Vulnerabilità indica una forza della fragilità in grado di contrastare la Volontà di Potenza; e la Cura è la relazione katechontica che impedisce la colonizzazione della vita, la spoliazione dei beni comuni, gli spiriti selvaggi del capitalismo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><b>La relazione tra politica e vita</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Infine, l’ultimo tema. E non a caso ne parlo solo alla fine.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Dov’è la politica? È <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2019/04/la-politica-fuori-luogo.html">fuori luogo</a>, perché ha lasciato il mondo della vita ed è stata catturata dal sistema tecnico-economico globalizzato. I suoi vincoli sono internazionali, le sue utopie sono tecnologiche, le sue narrazioni sono mediatiche, ma la vita non esiste nel suo orizzonte.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Quando la politica di sinistra parla di Umanesimo, si riferisce alla dimensione ideale codificata dal progressismo democratico. Questo non conosce l’Umanesimo Esistenziale, perché aborre la violenza tra umano e disumano e, nei casi migliori, si concede un significato solo culturale di tale lotta.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">I soggetti protagonisti sono le <i>élites</i> e i ceti medi riflessivi. Sono gli eredi della lotta per il riconoscimento scaturito dal conflitto novecentesco tra borghesia e proletariato. Non sono nati per caso, vengono dal cosiddetto compromesso socialdemocratico, il quale, avendo perso la spinta propulsiva, resta un campo progressista sempre più ristretto e tiene fuori tutto il resto. Il resto, però, è diventato maggioranza, è la moltitudine che si sente esclusa e non vuole o non può diventare soggetto; che non ottiene il riconoscimento né da sé né dagli altri; che non elabora un’idea di futuro, ma vive nella contingenza.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Non è una classe, non è un ceto e non è soltanto l’esito delle diseguaglianze. Non esiste in natura sociologica. Non è definibile precisamente se non per per un carattere decisivo: ciò che nella società mantiene una relazione immediata con la vita, pur senza riflessione e senza riconoscimento. Proprio perché è una relazione immediata si esprime come una contraddittoria <i>Stimmung</i> sociale, come stato d’animo lacerato da pulsioni eterogenee: bisogni e dissipazioni, generosità e appropriazioni, rivolte e acquiescenze, ingiustizie e rancori. Comunque, in tutto ciò traspare un Umanesimo Esistenziale, molto più travagliato di quello Ideale dei progressisti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">E allora questo resto che cos’è? È la plebe di cui parla fugacemente Hegel nei <i>Lineamenti di Filosofia del diritto</i>. La plebe è ciò che resta al di fuori del riconoscimento nella lotta tra servo e signore.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Dopo il secolo socialdemocratico non c’è più lotta e tanto meno riconoscimento; il servo quindi non provoca la trasformazione del signore, ma rimane plebe, non diventa soggetto. La sua lotta degrada nel tumulto e nel risentimento, ma, nel contempo, si espone anche alla subordinazione nei confronti del discorso del signore o anche del lacaniano discorso del capitalista. Ed è ciò che constatiamo tutti i giorni, nella penetrazione così profonda della demagogia nel sentimento popolare. La destra è stata rapida a sottrarsi dal compromesso novecentesco e utilizza questa permeabilità della plebe per invaderla con i suoi slogan.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Ora, se la sinistra vuole ritrovare l’energia per trasformare l’intera società, deve immergersi in questo mondo plebeo È l’unico modo per ricostruire una relazione feconda tra politica e vita.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Caro Ferruccio, qui c’è l’interrogativo che ti propongo. Forse non basta “uno sguardo umano”, come hai scritto nel sottotitolo, perché tale visione rischia di rimanere prigioniera nell’ideale dell’etica progressista. Occorre, invece, gettarsi nella lotta tra umano e disumano stando dalla parte della plebe. Solo in questa lotta è possibile ricomporre la cesura tra Umanesimo Ideale e Umanesimo Esistenziale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Finisco con un aneddoto. Qualche anno fa inviai a Ferruccio la bozza di un <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788855220385">mio libro</a> che poi è stato pubblicato. Sentivo il bisogno di una revisione perché ho grande stima del suo rigore e della sua saggezza. La bozza conteneva un capitolo sulla plebe e, con il garbo da vero amico, mi fece capire che non era il caso. Gli diedi retta e il libro, di certo, è venuto meglio con quel taglio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Però, come si vede, il tema mi ritorna in mente. Sono affezionato alla parola e non condivido il significato spregiativo che le è stato attribuito. Ma, parliamoci chiaro, attribuito da chi? Dalla borghesia decadente e dal proletariato in ascesa, sempre ostile al <i>Lumpenproletariat</i> secondo la vulgata marxista.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Il doppio interdetto ha bloccato lo sviluppo moderno del concetto di plebe. Eppure, esso ha alle spalle una prestigiosa storia intellettuale. Machiavelli lo valorizza nel tumulto che crea la virtù della Repubblica. Hegel lo definisce come il resto del riconoscimento. Weber gli dedica un capitolo fondamentale di <i>Economia e Società</i>. Anche Foucault ne propone nuove interpretazioni. E Žižek lo attualizza nella contemporaneità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Di recente, inoltre, alcuni autori hanno utilizzato il concetto come strumento di analisi della crisi sociale ed economica; per esempio, Matteo Vegetti, <i><a href="https://scienzaepolitica.unibo.it/article/view/5844">Rete. Plasma. Plebe. Margini della città globale</a></i>, e Paolo Perulli, <i><a href="https://www.mulino.it/isbn/9788815291790">Nel 2050. Passaggio al nuovo mondo</a></i>; quest’ultimo libro ha suscitato una discussione vivace nella presentazione tenuta qui alla <a href="https://www.youtube.com/watch?v=5OEtdbuvsis">Fondazione Basso</a>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">In ogni caso, tali studi mostrano come sia irrinunciabile l’uso del concetto di plebe, non meno importante del più abusato concetto di popolo. Entrambi non esistono in natura sociologica, ma sono essenziali per il linguaggio politico, con l’unica differenza che il primo esprime un movimento subito e il secondo un’azione intenzionale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Però, il mio interesse non deriva solo da questi riferimenti teorici. Molto più importante è stata <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788860368409">l’esperienza giovanile</a>. La mia <i>paidèia</i>, o per dirla in altro modo la mia <i>Bildung</i>, si è formata nel sottoproletariato romano, quando fui “inviato” (come si diceva allora) dai dirigenti del Pci a gestire l’organizzazione nella periferia orientale. Il radicamento nelle borgate fu una scelta eretica del Pci romano. Secondo i canoni del marxismo quella plebe non poteva avere una forza propulsiva, non era classe operaia. Fu una sorta di Umanesimo Esistenziale ad aprire gli occhi ai comunisti romani: compresero che proprio in quella tensione tra umano e disumano si giocavano le sorti del movimento di emancipazione e perfino l’ampliamento della democrazia nella Capitale d’Italia. Se non avessero fatto quella scelta, non avremmo oggi una sinistra romana che ogni tanto ce la fa a vincere le elezioni. Perché questi sono i processi con effetti di lunga durata, a differenza degli slogan improvvisati nelle diverse campagne elettorali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Quando fui “inviato”, l’anziano dirigente comunista mi diede precise istruzioni: “devi stare con loro, vivere con loro, entrare nelle loro abitudini, nella loro mentalità, nel loro linguaggio. Devi educarli alla politica, superando sia il ribellismo sterile sia l’arrangiarsi opportunistico”. Nelle direttive emergeva una sorta di paternalismo rafforzato dal bolscevismo che pretendeva di portare dall’esterno la coscienza politica alle masse. Tuttavia l’imperativo finale andava oltre l’ideologia: “lotta ai vizi del plebeismo, ma sempre dalla parte della plebe”. Non ho mai dimenticato quella scelta di campo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Oggi non esiste più quel sottoproletariato, ed è perfino difficile definire l’attuale plebe. Tuttavia solo in questa tensione tra umano e disumano la politica può ritrovare la relazione con la vita. Solo “dalla parte della plebe” la sinistra può ritrovare se stessa.</span></div><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></p><p><br /></p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-11258650459374732222023-12-16T10:35:00.004+01:002024-03-08T15:22:13.771+01:00La Città Invisibile<p><span style="font-size: medium;"><i>L'ultimo <a href="https://www.feltrinellieditore.it/opera/la-citta-invisibile/">Annale Feltrinelli è un volume dedicato alla Città Invisibile</a>, curato da Alessandro Balducci. Lo abbiamo presentato all'Auditorium nell'ambito della <a href="https://fondazionefeltrinelli.it/partecipa/la-citta-invisibile/">manifestazione La Città in Scena</a>. Di seguito potete leggere il testo del mio intervento, che è stato pubblicato anche nella <a href="https://www.casadellacultura.it/1479/visibile-invisibile-per-il-buongoverno-urbano">rivista della Casa della Cultura di Milano.</a></i></span></p><span style="font-size: large;"><br /><br /> La città invisibile è un ossimoro. Come può essere invisibile, infatti, se è il luogo di massima espressività, dove si manifestano le tendenze della società? Ma proprio l’ossimoro rende affascinante il titolo del nostro incontro e sollecita a comprendere meglio il tema. <br /><br /> Possiamo farlo prendendo il mano due libri molto diversi.<br /><br /> Il capolavoro di Italo Calvino contiene una cinquantina di immagini fantastiche raggruppate secondo alcune parole chiave: la città dei desideri, della memoria, degli scambi, dei segni ecc. Questa catalogazione impegnò molto l’autore, tanto che utilizzò i giochi dell’arte combinatoria e apportò diverse correzioni, come si vede nelle <a href="https://www.fantascienza.com/catalogo/volumi/NILF112010/la-visione-dell-invisibile/">bozze del suo archivio</a>.<br /><br /> I cataloghi delle città invisibili, quindi, sono molto significativi, sono molto importanti. <br /><br /> Con questo indizio, allora leggiamo il libro, La Città Invisibile, l’Annale Feltrinelli 2023, curato da Alessandro Balducci con il contributo di diversi esperti. È lo studio di una ventina di fenomeni ancora invisibili che però stanno modellando, nel bene e nel male, la città del futuro. <br /><br /> Auguro al libro un successo, pur nel campo ristretto degli studi urbani, almeno paragonabile a quello di Calvino nel vasto campo della letteratura italiana e mondiale.<br /><br /> Anche Balducci, come Calvino, propone diverse chiavi di catalogazione dei fenomeni.</span><div><span><a name='more'></a></span><span style="font-size: large;"><br /> A cominciare dalla più semplice, per argomento. Così abbiamo le città invisibili delle disuguaglianze, troppo a lungo sottovalutate; le città invisibili dell’immateriale, come il digitale che pure performa lo spazio e la vita urbana; le città invisibili segnate dell’opacità di governo che ostacola la comprensione e quindi la partecipazione dei cittadini. <br /><br /> Già questa semplice classificazione compone un’agenda di governo che sarebbe utile, se il nostro Paese decidesse di darsi una politica nazionale per le città, come si fa in Europa. <br /><br /> Poi il curatore propone due chiavi più raffinate. <br /><br /> Prima. L’invisibile per difetto di percezione: quando non vediamo ciò che dovrebbe essere acclarato. Per esempio, il saggio di Simona Giampaoli rileva un tasso di mortalità a Tor Bella Monaca più alto del 25% rispetto all’area dell’Auditorium. Con la prevenzione in periferia <a href="https://pensiero.it/catalogo/libri/pubblico/la-sanita-non-e-sempre-salute">si potrebbero evitare 4500 morti l’anno</a>, lo stesso numero del Covid, ma questa epidemia della povertà non suscita lo stesso clamore dell’epidemia del virus. Non ne avete mai avuto notizia al TG della sera.<br /><br /> Seconda chiave. L’invisibile che necessita di un disvelamento, per rimuovere gli interessi dominanti che vorrebbero mantenere l’opacità. <br /><br /> Per esempio, la <a href="https://s3.amazonaws.com/PDS3/allegati/Il%20contrasto%20alla%20rendita.pdf">rendita immobiliare</a> che si valorizza in virtù di deliberazioni comunali o di miglioramenti collettivi, ma viene incamerata senza merito dai proprietari, creando una ricchezza privata e una povertà pubblica, come dimostra il saggio di Mike Raco. Di conseguenza è difficile trovare un alloggio per ampie fasce di popolazione, soprattutto giovani coppie. <br /><br /> Già queste due chiavi dell’Invisibile indicano il da farsi; i problemi della percezione richiedono adeguate <i>policies</i>; quelli del disvelamento, invece, invocano l’autorevolezza di una <i>politics</i> per rimuovere la resistenza degli interessi dominanti. <br /><br /> Nella lingua italiana non c’è la chiara distinzione tra <i>policy</i> e <i>politics</i>, ma abbiamo qualcosa di più importante, un articolo della Costituzione dedicato proprio al disvelamento: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Ecco la poesia sociale dell'articolo 3.<br /><br /> Proprio il disvelamento suggerisce di pensare l’ossimoro, cioè pensare insieme il Visibile e l’Invisibile, prima distinguendoli e poi mettendoli in relazione.<br /><br /> Nella distinzione il Visibile è legato alla conoscenza. <br /><br /> Quando i saperi hanno già chiarito i problemi si dovrebbe passare alle soluzioni. Per esempio, il saggio di Roberto Mezzalama ci dice che se continuiamo a non far niente nel 2050 il clima di Roma si avvicinerà a quello dell’area che fu di Cartagine, con enormi sconquassi per il Mare Nostrum. E papa Francesco ha richiamato il nesso con la giustizia sociale, a pagare di più sono i poveri.<br /><br /> L’Invisibile, però, non va considerato il lato negativo della distinzione, anzi è una risorsa, e indica soggetti troppo a lungo ignorati e che invece possono arricchire le relazioni sociali. A cominciare dai giovani, come ha spiegato bene qui Paola Piscitelli, riassumendo il suo bellissimo saggio. Un discorso analogo per gli anziani è sviluppato nel saggio di Martinelli e Ranci. <br /><br /> Quindi il binomio Visibile-Invisibile definisce i due requisiti essenziali del buongoverno: cogliere i frutti della conoscenza e avere riguardo per la molteplicità dei soggetti sociali. <br /><br /> Dalla loro combinazione scaturiscono tutti i <a href="https://www.cambridge.org/core/journals/italian-political-science-review-rivista-italiana-di-scienza-politica/article/alessandro-balducci-disegnare-il-futuro-il-problema-dellefficacia-nella-pianificazione-urbanistica-bologna-il-mulino-1991-pp-304-l-34000/265101A83439BCC8316DBB9EA60D0A9D">possibili scenari</a>.<br /><br /> Se mancano sia la conoscenza sia la molteplicità, cioè se vengono meno sia la Visibilità sia l’Invisibilità, rimane solo la cieca amministrazione che si occupa di gestire l’esistente. Questo livello zero del governo, purtroppo, è maggioritario nel nostro Paese, a livello locale e nazionale. <br /><br /> Se, invece, il Visibile e l’Invisibile sono presenti, ma come separati in casa, in un rapporto sterile tra loro, allora entrambi si impoveriscono.<br /><br /> La conoscenza si riduce a mera tecnica che produce mirabolanti progressi, ma nasconde la visibilità nei suoi misteriosi algoritmi. <br /><br /> E la molteplicità viene ricacciata in una marginalità impotente, in un’invisibilità irredimibile. <br /><br /> Di questo rapporto sterile tra Visibilità e Invisibilità si danno molti esempi nel libro. <br /><br /> Mara Ferreri cita l’algoritmo per le locazioni che esclude le persone povere. </span><div><span style="font-size: large;">Pierre Filion dimostra come un’infrastruttura mal progettata può illuminare un quartiere e oscurarne un altro.<br /> Agostino Petrillo, lo avete ascoltato, spiega bene come le elite attribuiscano alle periferie le narrazioni dell’invisibilità. Ancora oggi lo stereotipo mediatico di Corviale oscura <a href="https://laboratoriocorviale.it/">la vivacità delle sue associazioni culturali e mutualistiche</a>. <br /><br /> La sterilità tra Visibile e Invisibile, quindi, crea una frattura tra logica di sistema e forma di vita, tra compatibilità tecnico-economiche e bisogni reali, tra narrazioni che certificano la visibilità delle classi dirigenti e i lapsus della visibilità, come li chiamava <a href="https://www.edizionilavoro.it/catalogo/saggistica/classici-e-contemporanei/linvenzione-del-quotidiano">Michel de Certau</a>, che suscitano l’invenzione del quotidiano. <br /><br /> Questa incomunicabilità svuota soprattutto il lessico politico. Come dice <a href="https://www.amazon.it/Ricominciamo-dalle-periferie-Perch%C3%A9-sinistra/dp/8872855748">Walter Siti</a>: “Non so immaginare un borgataro riformista”.<br /><br /> Rimane da esaminare allora l’ultimo scenario, quello che ci è più caro e che coltiva una speranza.<br /><br /> Quando Visibile e Invisibile non solo sono presenti, ma instaurano una relazione tanto feconda tra loro da esserne trasformati.<br /><br /> Il Visibile perde la propria sicumera e accoglie il nucleo di verità dell’Invisibile; l’Invisibile esce dalla marginalità e propone una nuova idea di visibilità. <br /><br /> Si genera così un reciproco <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2023/10/quando-petroselli-mi-bacchetto-per-il.html">Riconoscimento</a>, e la conoscenza è messa a frutto nella molteplicità dei soggetti sociali. <br /><br /> Il Riconoscimento è una forma di apprendimento sociale, è l’invenzione di nuove visioni che scaturiscono dall’interazione tra gli invisibili.<br /><br /> L’apprendimento sociale è la politica più urbana che ci sia. <br /><br /> Quando le persone si prendono cura di un luogo, tra loro si rinnova anche il legame di cittadinanza. È come ritrovarsi in quella piazza che avevano scelto per darsi un appuntamento. <br /><br /> Claudio Calvaresi, nello stimolante saggio, dice gli spazi urbani sono il corpo docente. Allora bisogna <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788868434038">prendersi cura innanzitutto delle scuole</a>, non solo per l’istruzione dei giovani, ma come i centri della vita pubblica, gli spazi aperti giorno e sera per tutte le generazioni, i laboratori dell’apprendimento sociale. <br /><br /> È nato a Roma un movimento di scuole per la pedonalizzazione delle rispettive strade. Sarebbero i luoghi dove dismettere la fretta e coltivare la relazione tra scuola e città. <br /><br /> Anche l’università può fare molto per alimentare l’apprendimento sociale, un contributo viene già dal libro di Balducci. <br /><br /> Non solo, c’è una nuova generazione di ricercatori sociali che sentono il bisogno di confrontare le teorie con la vita dei quartieri. E lì incontrano giovani attivisti urbani, e insieme animano nuove esperienze sociali. <br /><br /> Questo connubio tra ricerca e azione <i>Illumina la periferia</i> - per usare il bel motto della Caritas ribadito qui da Giustino Trincia - e alimenta una sorta di <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788855220385">ironia della rigenerazione</a>, cioè pratiche di creatività urbana che inventano nuove vocazioni dei luoghi e si fanno beffe delle funzioni precedenti. Pratiche sovversive, le chiama Paola Piscitelli.<br /><br /> Per esempio, c’è ironia nella street-art che colora le facciate anonime delle borgate; <br /><br /> c’è ironia negli orti urbani promossi dall’associazione Zappata Romana che salvano terreni dall’edificazione di centri commerciali; <br /><br /> c’è ironia nel Museo dell’Altro e dell’Altrove che espone arte contemporanea proprio in una fabbrica di prosciutti abbandonata, senza sfigurare con il prestigioso MAXXI; <br /><br /> c’è ironia nei coworking dell’immateriale realizzati proprio nelle officine dove si batteva il ferro; <br /><br /> c’è ironia nel prendersi cura dell’ameno laghetto della Snia, sgorgato dall’esagerato colpo di ruspa dello speculatore; <br /><br /> c’è ironia nell’associazione Nonna Roma che ricuce i legami generazionali per assistere le persone deboli.<br /><br /> Sono tutte esperienze di apprendimento sociale, di un riconoscimento tra Visibile e Invisibile, di un’invenzione del quotidiano, di un mormorio sociale che propone un’altra narrazione della città. <br /><br /> Per questo assomigliano al gioco dei bambini, quando accompagnano la costruzione di castelli sulla spiaggia con un mormorio ludico che dice: “facciamo che io ero il principe e tu la regina”.<br /><br /> L’autentica trasformazione della città è un’esperienza ludica, direbbe Lefebvre.<br /><br /> L’augurio è che il mormorio sociale alzi il volume e si affermi come nuovo discorso pubblico sul futuro della capitale. Ne abbiamo tanto bisogno.<br /><br /> Non ci nascondiamo però la cruda difficoltà. A promuovere queste esperienze sono le avanguardie culturali. Nella vita della periferia oggi è più difficile immaginare il futuro. Non è stato sempre così. <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788860368409">Nella mia esperienza politica giovanile</a> ricordo che i borgatari, così erano chiamati, si sentivano riconosciuti come cittadini mediante le grandi lotte di emancipazione. Pur nel fango, nella polvere e nella miseria avevano fiducia nell’avvenire. Quella stagione andrebbe ripensata il prossimo anno, cogliendo l’occasione del cinquantenario del convegno sui <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2020/01/carita-o-diritti.html">Mali di Roma</a>, che diede voce alle classi subalterne.<br /><br /> Nel saggio più urticante e controverso, Paolo Perulli introduce una tripartizione della società tra elité, classe creativa e neoplebe. <br /><br /> Questa parola non mi scandalizza, poiché ha assunto ingiustamente, a mio avviso, un senso spregiativo nonostante abbia alle spalle una grande <a href="https://scienzaepolitica.unibo.it/article/view/5844">tradizione filosofica</a>. </span><span style="font-size: x-large; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variant-position: normal;">Ha
fatto bene Perulli a riutilizzarla nel dibattito scientifico, non </span><span style="font-size: x-large; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variant-position: normal;">nel
senso di</span><span style="font-size: x-large; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variant-position: normal;">
una nuova classe sociale, bensì </span><span style="font-size: x-large; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variant-position: normal;">di</span><span style="font-size: x-large; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variant-position: normal;">
una galassia sociale ( e accolgo la sua critica a una versione
precedente di questo articolo in cui parlavo ancora di classe). La p</span><span style="font-size: x-large;">lebe contemporanea è una figura antropologica determinata proprio dalla mancanza di riconoscimento, come insegna </span><a href="https://www.bompiani.it/catalogo/lineamenti-di-filosofia-del-diritto-9788845255946" style="font-size: x-large;">Hegel</a><span style="font-size: x-large;">.</span></div><div><span style="font-size: large;"><br /> Il sistema politico-economico dominante ha colonizzato la vita popolare e ha desertificato i processi di riconoscimento, rendendo impossibile l’aspirazione al cambiamento, come ha svelato <a href="https://www.raffaellocortina.it/scheda-libro/arjun-appadurai/il-futuro-come-fatto-culturale-9788860306432-1528.html">Appadurai</a>.<br /><br /> Se questa interpretazione ha qualche fondamento, è ancora più prezioso il mormorio delle avanguardie culturali, poiché possono elaborare nuove tracce di riconoscimento per l’intera città.<br /><br /> La nostra speranza, ma anche il nostro impegno, è che le sperimentazioni di apprendimento sociale contribuiscano a riattivare l’immaginazione popolare.<br /><br /> Dalla Roma ancora Invisibile può emergere la Visione dell’avvenire.</span><p><br /></p></div></div>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-15685793123145902612023-12-05T11:53:00.005+01:002023-12-05T11:54:23.728+01:00La giunta Rutelli trent'anni dopo<p><span style="font-size: medium;"><i>Trent'anni fa cominciò l'esperienza della giunta Rutelli, con la vittoria nelle elezioni comunali del 4-5 dicembre 1993. Abbiamo celebrato l'anniversario all'Auditorium: una mattinata intensa di ricordi, ma anche di utili riflessioni per gli attuali compiti di governo e per il futuro di Roma. Di seguito potete leggere il testo del mio intervento.<br /><br /></i></span></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Niente nostalgia, così avevamo detto preparando questo evento. Adesso che vi vedo, però, mi viene un groppo in gola. Tanti ricordi, tanti entusiasmi, perché non devono essere celebrati, mi domando. E allora godiamoci la Nostalgia, questa dea ingannatrice che per amore verso di noi oblia i dolori e illumina le gioie.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Voglio dire una cosa semplice: ERA UN PIACERE LAVORARE INSIEME. CI SIAMO ANCHE DIVERTITI.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Si, c’erano discussioni intense tra noi, mai però cristallizzate in correnti, ma sempre animate dal comune intento per Roma. Merito soprattutto del nostro sindaco, che guidava con fermezza, ma delegava alla creatività di un centinaio di persone molto diverse per competenze e idealità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Non so voi, ma io non ho più incontrato un leader come RUTELLI, capace di coniugare unità e molteplicità. Ho visto solo leadership unilaterali, o autoritarie o disordinate.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Non so voi, ma io non ho più avuto il piacere di lavorare in una squadra coesa come la nostra.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Non so voi, ma io non mi sono più divertito a fare politica nei venti anni successivi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Se non è solo un mio problema, se qualcosa del genere in misura e tempi diversi avete provato anche voi, beh, allora dobbiamo aggiornare l’analisi sulla crisi della sinistra. Ne sono state date spiegazioni e soluzioni epocali. Forse abbiamo trascurato la più semplice: la politica di sinistra si è rattristata. Torneremo a vincere quando ci divertiremo a fare politica in modo nuovo.</span></div><span style="font-size: medium;"><span><a name='more'></a></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per noi governare Roma non era ordinaria amministrazione, era un assalto al cielo, una febbre del fare e un’ambizione per l’avvenire.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Realizzammo con FS la prima ferrovia metropolitana da Monterotondo a Fiumicino nei soli primi sei mesi, perché ci eravamo preparati per tempo. Dopo è venuta l’abitudine di usare le primarie per nascondere l’improvvisazione del programma e della squadra.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Mentre potenziavamo il servizio su 300 km di ferrovie, ottenendo il raddoppio degli utenti, <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2015/04/ancora-la-cura-del-ferro.html">pianificammo la mobilità del futuro</a> in base al principio di integrazione tra ferrovia, metropolitana e tram. Non inventammo nulla, copiammo i modelli più avanzati.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Oggi, c’è un dibattito provinciale che vorrebbe tornare al passato aizzando le tifoserie: a favore della ferrovia contro la metro, a favore della metro contro il tram e viceversa. Ma questo trasporto fatto a pezzi non esiste nelle capitali europee. E Roma, più delle altre, ha bisogno di una forte integrazione proprio perché è la più complessa conurbazione continentale, con il territorio più ampio, la densità più bassa, il tessuto più frammentato.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il trasporto è come un’orchestra. Se fosse composta solo di violini oppure solo di trombe oppure solo di flauti, nessun direttore potrebbe eseguire la Nona di Beethoven.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Noi applicammo l’integrazione in tutti campi: nella centralità del cittadino con l’abbonamento Metrebus, nel sistema delle aziende pubbliche e nei programmi di investimento. Al netto di nostri <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2015/05/non-si-piange-su-una-citta-coloniale.html">limiti</a> ed <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788860362766">errori</a> che pure vanno analizzati, vediamo a che punto sono queste tre innovazioni venti anni dopo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Primo. La centralità del cittadino può svilupparsi ancora meglio, con il digitale, nella molteplicità dei servizi della mobilità dolce.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Secondo. Il sistema delle aziende, invece, è naufragato. Avevamo trasformato Atac, dopo averla salvata dal fallimento, in una moderna holding che poteva diventare un player nazionale, governando altre aziende specializzate, Trambus per la gomma e Metro per il ferro. Dopo si è deciso di rimettere tutti insieme in un carrozzone corporativo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la ricostituita vecchia Atac è andata in fallimento concordato; ha mandato in malora tutte le infrastrutture affidate, dalle metro ai tram e offre un livello di servizio del 30% più basso di quello erogato nell’anno 2000.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Terzo. Con il programma integrato degli investimenti, il PROIMO, realizzammo opere importanti: due nuove ferrovie metropolitane, da Lunghezza e da Cesano, come vedete nella foto, il tram 8, molti nodi di scambio, il prolungamento della metro A a Battistini e la ristrutturazione delle vecchie stazioni, i primi cantieri archeologici della metro C e della B1.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel contempo progettammo molte altre opere. Dopo ne sono state attuate ben poche, ma oggi Gualtieri e Patanè hanno dato un forte impulso realizzativo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Viene il dubbio che allora fummo troppo ambiziosi. Ma se le amministrazioni successive, di diverso colore, hanno seguito quella road map, pur con piccole variazioni, vuol dire che abbiamo fatto bene a occuparci dei tempi lunghi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Però non bisogna mai smettere di pensare al futuro. Quindi, proprio a me preme dire che va superato il nostro programma integrato disegnato trent’anni fa, non solo perché ormai è in via di attuazione, ma soprattutto per cogliere nuove opportunità. Le tecnologie, con piccoli investimenti, consentono di aumentare di 3-4 volte la frequenza dei treni sugli stessi binari di prima. Nessuna amministrazione ha utilizzato la novità per pianificare nuovi modelli di trasporto.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Lo fanno, invece, giovani professionisti volontari, per esempio, gruppi come Metroxroma o Metrovia, il quale propone di realizzare una rete integrata di 23 linee su ferro trasformando l’esistente, come vedete nella mappa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Oggi qui c’è un passaggio di testimone dalla nostra generazione a tutti i giovani attivisti, professionisti e ricercatori, ce ne sono tanti, che stanno già progettando il futuro, nella cultura, nel mutualismo nell’ecologia, soprattutto in periferia.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Roma è sempre stata il luogo prediletto dell’immaginazione, dalla città eterna alla città di Dio, dalle utopie rinascimentali alle feste barocche, dalle fantasmatiche rovine di Piranesi alla città della Scienza di Quintino Sella, fino al Meraviglioso Urbano di Renato Nicolini.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Senza la linfa vitale dell’immaginario la città si deprime, perde fiducia in se stessa, diventa abulica, come è accaduto in questi anni.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quindi ribalto il mio incipit:</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">NIENTE NOSTALGIA.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">COLTIVIAMO L’IMMAGINAZIONE DI ROMA PER IL SECOLO CHE VIENE.</span><span style="font-family: Verdana, serif;"> </span></div></span><p></p><p style="text-align: justify;"> </p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-16121896738852502772023-12-02T11:38:00.005+01:002023-12-02T11:45:10.383+01:00Tronti: la forza dell'amicizia, la potenza della teoria<p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><i>Il CRS ha organizzato una giornata di ricordo di Tronti, con il titolo <b>Dalla parte di Mario</b>, alla Centrale Montemartini, nel suo amato quartiere Ostiense di Roma. A me è toccato il compito di aprire la giornata con una testimonianza che potete leggere di seguito. Il testo è stato pubblicato <a href="https://centroriformastato.it/dalla-parte-di-mario/">sul sito del CRS</a>, dove potete trovare anche l'audio di tutti gli interventi.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><i>Una mia riflessione più approfondita sull'opera di Tronti si trova, i<a href="https://waltertocci.blogspot.com/2018/09/per-la-cittadinanza-onoraria-mario.html">n questo blog</a>, nel discorso pronunciato in occasione della cittadinanza onoraria di Ferentillo, il suo buon ritiro tra le montagne della Valnerina. </i></span></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Grazie per aver accolto l’invito del CRS a ricordare Mario Tronti, sia il pensatore sia l’amico. Vorrei ringraziarvi uno ad uno, ma sarete d’accordo con me nel rivolgere tutti insieme un affettuoso ringraziamento a due persone speciali qui presenti: la moglie, la carissima Lena, e la figlia Antonia, l’amatissima Lelletta. Vorrei dedicare proprio ad Antonia la citazione di un brano di Politica e Destino, che da solo spiega il luogo e il tema del nostro incontro. Perché siamo qui a Ostiense? Perché abbiamo scelto questo titolo: Dalla parte di Mario?</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">«Quando i miei figli andavano alle elementari, li accompagnavo qualche volta a piedi.. Percorrevamo, al mattino, la via Ostiense, passavamo davanti ai Mercati Generali, brulicanti di lavoro, grida, commerci e fatica. Qualcuno, da sopra una carriola, apostrofava i bambini: ahò, saluteme a’ maestra. E io ero felice, perché mi dicevo: se entrano in questa scuola con questo viatico, non si perderanno.. Non si sono persi.. Dicevo loro: ecco, questi sono i “nostri”. Adesso che i “nostri”quasi non ci sono più, la semplice memoria familiare mi conforta, e ci conferma di essere nel giusto per il solo fatto di venire da lì».</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Così è chiarito il luogo e la parte.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Il luogo è la Centrale Montemartini, simbolo della prima industrializzazione innescata dalla giunta Nathan, davanti ai Mercati Generali, grande fabbrica del consumo, dove lavoravano i suoi genitori, il sor Nicola, facchino, e la sora Antonina, venditrice di erbette. Ancora oggi, nel quartiere Ostiense vibra l’anima popolare di Roma.</span></div><div style="text-align: justify;"><span><a name='more'></a></span><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Prima di cominciare questa giornata, abbiamo partecipato alla cerimonia, organizzata dal Presidente del Municipio Amedeo Ciaccheri, per l’apposizione della targa commemorativa davanti al portone d’ingresso della casa natia. Qui, svelava Mario, sono le mie radici, qui ho bevuto il senso della vita, ho appreso la belliana ironia sapienziale che alimenta la critica del potere e rivela l’eccedenza di umanità della vita popolare.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Già in questi ricordi emerge uno dei suoi tanti paradossi. Il pensatore che più di altri ha cercato di innalzare la critica nei punti alti del capitalismo – Marx a Detroit, diceva uno dei suoi titoli fulminanti – nel contempo ha scovato nell’arretratezza romana la vitalità del conflitto moderno. Diceva: «le mie radici politico-teoriche sono con gli operai torinesi, ma quelle storico-umane sono con i lavoratori romani» (op. cit.).</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Ecco, quindi, che il luogo è connesso intimamente con la parte, la parte del movimento operaio. Come sappiamo la sua opera si dispiega in campi molto diversi, dall’operaismo, all’autonomia del politico, alla teologia politica, al Grande Novecento, fino allo Spirito Libero. Eppure in questa varietà di temi e di linguaggi c’è una costante che gli preme rendere esplicita:</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">«Credo di non aver mai scritto una riga senza avere in mente, lì e ora, i bisogni, gli interessi, le motivazioni, le aspirazioni di quel mondo del lavoro moderno, come universo di civiltà, alternativo a tutto ciò che è» (op. cit).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Non a caso ha speso le sue ultime energie, fino a poche ore prima della morte, per concludere il libro a cui teneva tanto, una sorta di atlante della memoria operaia - non solo i libri, ma i fatti e gli atti – impostato sull’ammirato modello warburghiano. Lo presenteremo qui stasera, nella seconda sessione della giornata, con l’ausilio di musiche e canti.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Nella prima sessione che mi appresto ad avviare, invece, ascolteremo le testimonianze degli amici di diverse generazioni: dalle “amicizie stellari” - Rita Di Leo e Massimo Cacciari - nate nell’epopea operaista, ai più giovani – come Jamila Mascat – che oggi rielaborano il suo pensiero in modi per noi imprevedibili, fino alla mia e nostra generazione intermedia che abbiamo accompagnato le diverse svolte del suo percorso intellettuale e umano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Ogni oratore, ovviamente, dirà ciò che vorrà, secondo il proprio stile. Mi pare, però, si possa dire che tutta la giornata sia volta a svelare una felice ambiguità del titolo. Dalla parte di Mario è come un crinale con due versanti.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Nel versante teorico-politico “Dalla parte” significa misurarsi con la sua opera e la sua azione, nella memoria del passato e nel cimento del presente. In tal senso l’incontro di oggi è solo l’inizio. Come CRS organizzeremo in primavera un convegno di carattere teorico sul suo pensiero politico. Seguiranno poi diverse presentazioni delle opere postume, alle quali ha lavorato negli ultimi mesi. Oltre l’Atlante, di cui ho già detto, è prevista la pubblicazione di un intenso libretto dal titolo ancora provvisorio ma significativo: Il proprio tempo appreso col pensiero. Inoltre, uscirà un libro del nostro Pasquale Serra sul Tronti pre-operaista, poco noto, interprete di Gramsci.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">C’è però anche il secondo versante del titolo, quello più emotivo e personale, nel quale “Dalla parte di Mario” indica la nostra connessione sentimentale con lui, come amico, come maestro, come persona che ha orientato la vita di tanti di noi.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Da quando non è più tra noi, l’affetto verso di lui è più doloroso, e forse, proprio per questo, anche più intenso. Ciascuno lo esprime a modo suo, chi parlando, chi rimanendo in silenzio, chi piangendo, chi ringraziando di averlo conosciuto.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Non solo noi amici cerchiamo la sua amicizia, ieri in presenza e oggi, forse, indicibilmente in absentia. Anche Mario ha cercato e, forse, misteriosamente, cerca ancora la nostra amicizia. È sempre stato capace di farsi voler bene, pur senza smancerie, anzi con la riservatezza, con la delicatezza del tratto umano.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Quanto sia stata importante l’amicizia nella vita, lo ha raccontato in un bellissimo testo, da La Saggezza della lotta, che abbiamo ripreso nell’invito a questa giornata. Vi consiglio di conservarlo. Vi sarà utile rileggerlo anche in altri momenti.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">«Ho speso una vita a cercare di conoscere il nemico meglio di quanto il nemico conosca sé stesso. Ho imparato però che non lo si combatte senza l’amico. È stata una fortuna dell’esistenza aver avuto in dono il miracolo di antiche amicizie, solide, stabili, radicate nel profondo. E di averne poi alimentate altre, nuove, insorgenti, ricorrenti. Misterioso questo flusso di attenzione, sentita prima ancora che pensata, un’affettività amicale che mi funziona come una corazza a difesa dai colpi che un mondo come questo quotidianamente ti riserva».</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Come si vede, la forza dell’amicizia è almeno pari alla potenza della teoria, entrambe connesse da simmetriche rappresentazioni: i pugni chiusi del pensatore, come nella scultura di Rodin sempre presente nella sua scrivania, e la mano tesa che indica l’azione nel mondo e la relazione con l’Altro.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Mi piace pensare che questa forza dell’amicizia sia riuscito a insediarla nell’animo degli amici, misteriosamente, senza neppure dirlo. Cioè che scorra ancora tra noi quel “flusso di attenzione sentita prima ancora che pensata”. Per questo sentiamo ancora il bisogno di parlare con lui.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">E non sarà di ostacolo la sua mancanza.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">D’altronde, anche in vita, nei rapporti personali, è riuscito a comunicare le cose più importanti quasi senza ricorrere alle parole. Lo ricorda bene, in Politica e Destino, Aris Accornero, un altro “amico stellare”, ed era un’esperienza condivisa da tanti di noi. Andare a trovarlo, soprattutto nella pace di Ferentillo, era come andare in pellegrinaggio al tempio dell’oracolo. Andavamo con tante domande in testa, Mario ascoltava con attenzione, ma con cenni di risposta tanto rari quanto preziosi. Quando tornavamo in città, ci rendevamo conto di aver compreso meglio quei problemi già solo per averglieli esposti.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Questo ricordo ci conforta. Anche se non è più tra noi, con Mario continuerà il colloquio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div> <div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div> <div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><p>
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</p><br /><p></p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-36955601212963933562023-10-31T12:57:00.005+01:002023-10-31T13:01:06.551+01:00Quando Petroselli mi bacchettò per il Progetto Fori<p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><i><b> "Roma a portata di mano. La città dei 15 minuti" è il convegno organizzato da Roma Capitale per iniziativa dell'assessore Catarci e del direttore Salvatore Monni al Teatro Quarticciolo il 5 aprile 2023. Sono intervenuto nel dibattito raccontando un aneddoto di Petroselli. Di seguito si può leggere il testo del mio discorso oppure aprire il <a href="https://youtu.be/ym5AZSBlbkI">link del video</a> (1h e 37min) che contiene l'intera discussione della giornata.</b></i></span></p> <span style="font-size: medium;"><br /><br /> Comincio con un ricordo della mia giovinezza. Ci sono affezionato perché è una severa lezione che ho ricevuto dal grande sindaco Luigi Petroselli. Allora ero segretario di partito nella zona Tiburtina e partecipai ad un’importante riunione del comitato cittadino, nella quale Petroselli illustrò il senso del Progetto Fori che aveva presentato qualche giorno prima insieme a Cederna, Insolera e La Regina. A quei tempi si usava così, nei partiti si discuteva appassionatamente sui progetti per la città. <br /><br /> Presi la parola e feci un intervento maldestro e impertinente, contrapponendo ai Fori i problemi più urgenti, citando per esempio le fogne a Pietralata; la borgata, infatti, si allagava quando pioveva, lo raccontava anche Pasolini nei suoi romanzi, e c’era perfino una canzone popolare.. “Pietralata s’è allagata..”. <br /><br /> Nel discorso conclusivo della riunione il Sindaco mi fece una lavata di testa, come usavano a quei tempi i dirigenti di partito al fine di educare i giovani quadri al rigore dell’analisi e della proposta. Mi disse: “per occuparti delle fogne di Pietralata devi studiare i Fori dell’antica Roma”. E aggiunse: “Stiamo realizzando un grande piano di risanamento della periferia, i trasporti, le abitazioni sociali, le scuole, il verde, i servizi di acqua, luce e fogne. Così le borgate escono dall’emarginazione e si riunificano con il sistema urbano. Tutto ciò deve approdare a un pieno riconoscimento tra la città e i suoi cittadini. Solo con i Fori, rielaborando nella vita quotidiana la memoria di una storia universale, i borgatari diventano veramente cittadini di Roma e del mondo”. <br /><br /> Compresi bene la lezione e la domenica successiva accompagnai gli anziani di Pietralata alla prima delle “domeniche a piedi” organizzate da Petroselli. Si commossero ricordando quando furono espulsi da quei quartieri demoliti dal fascismo per costruire lo stradone delle parate militari. Ora tornavano in quel luogo invitati dal Sindaco e si sentivano riconosciuti come cittadini romani.</span><div><span><a name='more'></a></span><span style="font-size: medium;"><br /><br /> E poi ci si mise il genio di Nicolini con il cinema a Massenzio. Sotto le volte dell’antica basilica, una volta utilizzata solo per i concerti destinati all’élite, i giovani di borgata scoprirono Roma e si ritrovarono insieme alle altre generazioni in un formidabile crogiuolo sociale e culturale: lavoratori e perdigiorno, indiani metropolitani e famiglie popolari, intellettuali e fagottari. Forse per l’ultima volta tutti si sentirono ancora un popolo. Poi negli anni Ottanta cominciò la grande frammentazione sociale e spaziale che dura fino ad oggi. Anzi, è diventata un’irriducibile eterogeneità che nessuna politica è più riuscita a comprendere e tanto meno a ricomporre. <br /><br /> Quella lavata di testa mi è servita. Da allora ho continuato a studiare il progetto Fori. Anzi, è diventato per me una specie di ossessione, chi mi conosce lo sa. Forse per questo il sindaco Gualtieri mi ha chiesto di contribuire a rilanciare la grande idea di Petroselli. Ho risposto all’incarico (gratuito) scrivendo un <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2023/10/il-progetto-per-il-centro-archeologico.html">Rapporto al Sindaco</a>, che poi è stato pubblicato da Roma Capitale e ha costituito la base di riferimento per il primo concorso di allestimento architettonico dell’area dei Fori. L’idea progettuale è basata sulla Passeggiata Archeologica, il grande anello pedonale intorno al Palatino che invita i romani e i visitatori a riconoscere il Centro Archeologico Monumentale (CArMe) come il molteplice sistema di storia e paesaggio, in una relazione feconda con l’intera Città Metropolitana. <br /><br /> Ascoltando le relazioni al nostro convegno ho notato che la stessa parola “riconoscimento” è stata utilizzata dall’assessore Andrea Catarci e dal professore Salvatore Monni. <br /><br /> È una parola impegnativa, densa di significati filosofici, dal grande Hegel fino ai pensatori contemporanei, per esempio Paul Ricoeur e Alex Honneth. <br /><br /> Essa esprime la risonanza che vibra tra le relazioni spaziali e le relazioni sociali quando le persone si incontrano attraverso la riscoperta di un luogo. <br /><br /> Al di là della filosofia, però, la forma più semplice di riconoscimento consiste nel darsi un appuntamento: se non si percepisce il carattere del luogo prescelto, fallisce anche l’incontro tra le persone. Spesso è capitato di perdermi quando andavo a fare le assemblee alla sezione di partito di Laurentino 38. Gli organizzatori mi dicevano di girare al settimo ponte, però a volte mi distraevo, perdevo il conto e finivo per mancare l’appuntamento. Quando invece mi dicevano vediamoci a Piazza della Marranella ero sicuro di arrivare puntuale, perché in quel luogo di Roma si trovano tutti, anche le persone provenienti da lontani continenti. <br /><br /> Riconoscimento è diverso da Identità. Il primo è un processo di apprendimento sociale, è una mutevole rielaborazione delle relazioni interpersonali nella dimensione spaziale e costituisce spesso l’esito di una trasformazione urbana. L’Identità, invece, è statica, è una sorta di fermo immagine, una sedimentazione delle relazioni socio-spaziali che ereditiamo dalla memoria collettiva. <br /><br /> Nella Roma di Petroselli il Riconoscimento avveniva in Centro con le domeniche ai Fori e l’Estate Romana. Al contrario l’Identità si era sedimentata nelle borgate in decenni di emarginazione sociale, ma anche nel possente movimento di emancipazione. Nell’esclusione si erano formati legami sociali forti e una radicata combattività democratica. Nell’immaginario la borgata costituiva un mondo vitale e quando si andava in Centro si diceva “vado a Roma”. <br /><br /> Nella Roma di oggi si è capovolta la situazione. Non c’è più il Riconoscimento nella Città Antica e tanto meno nei Fori. I romani considerano questi luoghi ormai consegnati ai turisti. In generale in Centro non accade niente di nuovo, non ci sono innovazioni tangibili. È il luogo dell’Identità che scade nella retorica della città eterna e nella rendita dell’economia turistica. <br /><br /> Al contrario, il Riconoscimento oggi è attivo in periferia, perché nel bene e nel male è il luogo della trasformazione quotidiana. Tutto accade nella vita dei quartieri: la riscoperta di luoghi abbandonati; le esperienze di mutualismo sociale; la street art e il coworking; le produzioni culturali delle avanguardie; la nuova agricoltura della biodiversità; l’economia circolare, l’invenzione di nuovi paesaggi, la musica, il cinema da Sacro Gra a Jeeg Robot e tanti altri, l’invenzione linguistica del neoromanesco che poi risale nella pubblicità e nei media nazionali. <br /><br /> Questo fermento è cominciato negli anni Ottanta, in particolare con la musica, l’arte e la comunicazione delle avanguardie giovanili. Ma anche con l’innesco di una nuova consapevolezza della memoria dei luoghi e di una coscienza ambientalista. <br /><br /> A proposito di mappe, da allora nelle lotte contro le speculazioni i movimenti di quartiere hanno cominciato a imbracciare la Carta dell’Agro, il documento che certificava la ricchezza dei beni culturali: reperti archeologici, casali, ponti, torri, impianti, monumenti, campagne fertili, vegetazione differenziata, fauna insolita, ecc. Questo diffuso patrimonio fornì gli elementi simbolici della vita di quartiere, alimentò esperienze di aggregazione sociale e divenne anche strumento di difesa contro la dissennata espansione edilizia. Spesso l’accusa di NIMBY servì a mettere all’indice queste lotte. Eppure esse implicavano un’alternativa molto più saggia: sarebbe stato meglio cancellare le previsioni edificatorie nell’Agro romano e localizzare le trasformazioni solo intorno alle stazioni del ferro. <br /><br /> Negli anni più recenti si è passati dalla difesa alla sperimentazione di nuove pratiche che coniugano riscoperta del patrimonio ambientale e culturale con la trasformazione dei quartieri, come di vede per esempio nella bella esperienza dell’Ecomuseo Casilino. <br /><br /> Questo Riconoscimento già in atto nella periferia è la risorsa fondamentale di cui prendersi cura per una politica davvero efficace della Città di 15 minuti. <br /><br /> Lo studio presentato a tal fine da Catarci e Monni ci rivela una sorta di Mappa del Riconoscimento: circa 300 quartieri percepiti dai cittadini i come luoghi della propria vita. Come emerge dai questionari delle inchieste sociologiche, ne parlano male, evidenziano tutto ciò che non va bene, ma poi alla domanda cruciale rispondono in maggioranza che non se ne andrebbero per nessun motivo. <br /><br /> Questa Mappa costituisce lo strumento principe per la conoscenza e la trasformazione della città. Innanzitutto, essa potrebbe sostituire la vecchia pianta delle zone urbanistiche che viene ancora usata per le statistiche e la pianificazione, pur essendo riferita a una città degli anni Settanta, ormai superata dalla grande espansione edilizia a scala metropolitana. <br /><br /> Di più, la Mappa dovrebbe essere assunta dalla Giunta come la trama fondamentale di tutte le politiche urbane; ogni iniziativa comunale dovrebbe essere progettata e poi verificata nei risultati in relazione alla qualità della vita in quei 300 quartieri. <br /><br /> Tuttavia, nella riscoperta della vita di quartiere c’è anche un retrogusto più amaro. Oltre la spinta positiva al riconoscimento dei luoghi vitali, c’è anche una tendenza negativa al ripiegamento nel locale causato dal malfunzionamento del sistema metropolitano, soprattutto per quanto riguarda i trasporti. Negli ultimi anni molti cittadini, più o meno consapevolmente, hanno dovuto constatare che era sempre più difficile vivere la città nel suo complesso e che l’unica cosa possibile era rinchiudersi nel quartiere cercando di curarlo tramite un’azione collettiva. <br /><br /> Qui si trova la prova del nove per la politica della “Città di 15 minuti”: da un lato sostenere il lato creativo del Riconoscimento, ma dall’altro non accettare il ripiegamento e la sfiducia nei confronti di una trasformazione strutturale dell’area metropolitana. <br /><br /> La chiave di volta è ovviamente nello sviluppo della cura del ferro. Solo una moderna rete di ferrovie, metro e tram può contribuire da un lato a migliorare la vita di quartiere e nel contempo restituire la libertà di scegliere altre parti di città per qualsiasi iniziativa di lavoro, di studio, di socialità e tempo libero. <br /><br /> In questo approccio occorre riconquistare il Centro Storico come patrimonio di tutti i romani, non più solo come vetrina per i turisti. <br /><br /> Ecco, quindi, che l’aneddoto di Petroselli torna utile per il compito di oggi. Il progetto per Centro Archeologico Monumentale (CarMe), presentato dal Sindaco Gualtieri a ottobre 2023, si pone l’obiettivo di reincantare lo sguardo dei romani verso la Città Antica, di riaprire i luoghi più prestigiosi della storia romana alla vita quotidiana dei cittadini, di connettere tramite nuove relazioni culturali il centro e la periferia. <br /><br /> I Fori devono tornare ad essere ciò che erano nell’antichità: luoghi della vita pubblica, dove darsi un appuntamento, passeggiare attraverso la storia, conoscere il mondo, lavorare, oziare, studiare e partecipare al discorso pubblico. Se tornano i residenti questi luoghi si liberano dalla deprimente omologazione turistica, ritrovano il colore della vita quotidiana e la molteplicità delle funzioni urbane. In tal modo, diventano più accoglienti anche per i turisti e aiutano i romani a riscoprire il privilegio di vivere a Roma. <br /><br /> Ecco l’imperativo del progetto CarMe: coniugare il Reincanto della città antica con il Riconoscimento della città contemporanea.<br /><br /><br /> Ciò ha bisogno di iniziative concrete e di progetti mirati proprio a curare il patrimonio culturale come relazione tra le diverse parti di città. Vi propongo due esempi emblematici. <br /><br /> La priorità è la relazione tra Fori e Appia Antica. È il sogno narrato dalla cultura ambientalista romana: la creazione di un magico contesto di storia e natura dal Campidoglio ai Castelli. L’unico triangolo centro-periferia rimasto libero dalla cementificazione può dare l’impulso decisivo per la rinascita dell’intera Campagna Romana, come il triangolo rosso che rivoluziona la vita senza senso del cerchio bianco nel poster icona dell’avanguardia artistica di El Lisickij. <br /><br /> Di questo sogno bisogna dare una prima prova concreta entro il prossimo Giubileo con il recupero della Casina Vignola Boccapaduli, come centro informativo dedicato proprio alla connessione Fori-Appia. <br /><br /> In tale funzione può essere coadiuvata dalla vicina Casina del Cardinal Bessarione, come Centro di documentazione, di ricerca e di dibattito intorno al grande tema del rapporto tra Città e Campagna, inteso come vettore della transizione ecologica. <br /><br /> Inoltre, la semplificazione dell’incrocio davanti la Casina Vignola Boccapaduli consente di realizzare una piazzetta ricca di motivazioni funzionali ed evocative: la memoria della Porta Capena; la targa indicante l’inizio della Regina Viarum, oggi dimenticata in un’aiuola spartitraffico; la fermata dell’Archeotram, la linea di trasporto che connette quasi tutti i luoghi di Roma Antica, dalla Piramide al Colosseo, fino al Museo Nazionale e alle Terme di Diocleziano; la partenza dei percorsi pedonali e ciclabili verso l’Appia Antica, anch’essa interessata dall’eliminazione del traffico di attraversamento e dalla pedonalizzazione nei pressi di Cecilia Metella e Castrum Caetani. <br /><br /> Nell’area circostante trova spazio anche la fermata dell’Archeobus elettrico. Questa nuova linea di trasporto pubblico, coadiuva la Nuova Passeggiata Archeologica nel primo tratto da piazza Venezia a Porta Capena e poi si dirige verso la Regina Viarum lungo il percorso dell’attuale autobus 118, prolungandone però il capolinea, oggi attestato a Capannelle, fino alla piccola stazione di Torricola di Ferrovie dello Stato. <br /><br /> La sottovalutazione di questa stazione è almeno pari alla sua rilevanza strategica. È un esempio purtroppo emblematico di come siano state sprecate per tanto tempo le migliori occasioni di accessibilità al patrimonio culturale. La fermata è quasi inutilizzata nonostante costituisca almeno potenzialmente un efficace accesso nell’area dell’Appia Antica, altrimenti difficile da servire con altre modalità di trasporto e comunque da vietare alle automobili per evidenti ragioni di tutela. <br /><br /> Adeguatamente riqualificata, secondo gli attuali programmi di FS, la stazione può essere collegata al tratto basolato dell’antica strada da un breve percorso ciclopedonale. <br /><br /> In tal modo si realizza un’affascinante Archeoferrovia che consente ai cittadini e ai visitatori di partire dalla Stazione Termini per trovarsi dopo un viaggio in treno di soli nove minuti nel cuore della Regina Viarum, aggiungendo, se si vuole, una sosta nel Parco degli Acquedotti. <br /><br /> Dalla nuova stazione di Torricola, poi si ritorna lungo l’Appia verso il centro città, tramite il percorso ciclopedonale oppure con l’Archeobus. <br /><br /> Infine, a Porta Capena si prende l’Archeotram per tornare al punto di partenza alla stazione Termini. <br /><br /> Con un solo biglietto Metrebus si percorre, utilizzando diversi mezzi, un grande anello a scala metropolitana, che connette il CArMe, le Terme di Diocleziano e l’Appia Antica, e comprende quasi tutto il patrimonio culturale di Roma classica. <br /><br /> L’itinerario multimodale composto da Archeotram, Archeoferrovia e Archeobus potrebbe essere chiamato ArcheoMetrebus, proprio per sottolineare i benefici dell’integrazione del trasporto pubblico riguardo alla tutela e alla visita dei monumenti della città.<br /><br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjsBzYb9FxS7ZwH4GTtgWtqXZMguAJ1qT-X7wsjqfsByKSPhEFvMO15pAFxf4shjPCNWXhW2rqNyGA-aPRWZOsSpzhEFev0O1-5Y_X979ukW08MYRQu6CJKKE9Lt6jfrlxgcRpaUt2ndTXdr8KHa-jiDT-BLF5ksZfSl85JIqsZIJrQKNepGveHRfGFUqk"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjsBzYb9FxS7ZwH4GTtgWtqXZMguAJ1qT-X7wsjqfsByKSPhEFvMO15pAFxf4shjPCNWXhW2rqNyGA-aPRWZOsSpzhEFev0O1-5Y_X979ukW08MYRQu6CJKKE9Lt6jfrlxgcRpaUt2ndTXdr8KHa-jiDT-BLF5ksZfSl85JIqsZIJrQKNepGveHRfGFUqk=w468-h343" /></a><br /><br /><i> Fig.45: l’ArcheoMetrebus composto da Archeoferrovia, Archeobus, Archeotram e percorsi ciclopedonali. <br /></i><br /><br /> L’altra iniziativa consiste in una sorta di gemellaggio tra un’area archeologica per ciascun Municipio e la città dei Fori. Non solo una relazione evocativa, ma anche una connessione fisica mediante linee su ferro e percorsi ciclopedonali. <br /><br /> Le aree saranno definite in accordo con le istituzioni municipali sulla base di due criteri: punti di innesco di più ampie riqualificazioni di reti ecologiche e di itinerari culturali; luoghi espressivi di centralità sociali e culturali, come fossero dei “Fori” dei rispettivi Municipi. <br /><br /> Se ne possono indicare alcuni esempi: il parco di Centocelle con la villa Ad duas lauros, il Parco della Serenissima con l’antica Collatina, l’esposizione di alcuni reperti dell’Antiquarium in un padiglione del Santa Maria della Pietà e nelle sedi delle nuove biblioteche comunali in via di realizzazione. <br /><br /> Una localizzazione di grande suggestione è l’area di Gabi, la più lontana dai Fori nella storia e nello spazio. Nella storia in quanto antica città di origine preromana; nello spazio perché il sito archeologico è prossimo al capolinea Pantano della metro C al confine comunale, mentre il capolinea interno è previsto per il 2025 proprio in via dei Fori. <br /><br /> Un percorso ciclo-pedonale, già previsto dalla delibera n. 2/2023 dell’Assemblea Capitolina, collegherà la stazione Pantano con Gabi. L’itinerario poi potrebbe tornare verso Roma, lungo il grande Parco Lineare dell’Est, oppure proseguire verso i Castelli utilizzando la rete ciclabile in fase di pianificazione a cura della Città Metropolitana.<br /><br /><br /> <br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgKA3JZPb-RJhm4ty2kEKbT46ayUwmjb54Jqm0GlhUJbtCh4NUV8TjOC6eVeNqQIyxgBuJWjEEAEQ0G2CUebuC5xabFl3KCqh6-OmA1C2YD7zTlVTmfBHE-EkC7kaPkd-qJVakBb7fzee2ltXuhKTg87sS71RzXqmAl8BL-9t2reNzaIQLZSsxZn6YAaDE"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgKA3JZPb-RJhm4ty2kEKbT46ayUwmjb54Jqm0GlhUJbtCh4NUV8TjOC6eVeNqQIyxgBuJWjEEAEQ0G2CUebuC5xabFl3KCqh6-OmA1C2YD7zTlVTmfBHE-EkC7kaPkd-qJVakBb7fzee2ltXuhKTg87sS71RzXqmAl8BL-9t2reNzaIQLZSsxZn6YAaDE=w481-h234" /></a><br /><br /><i> Fig. 48: la connessione ciclopedonale tra i due capolinea della metro C di Gabi e dei Fori <br /><br /></i><br /> Il progetto del Centro Archeologico Monumentale, quindi, si congiunge – non solo nel territorio, ma anche nell’impegno finanziario e nell’immagine urbana - alla cura dei reperti e dei musei allocati nei quartieri e nel suburbio. I siti municipali, sostenuti dalla nervatura dell’accessibilità, contribuiscono a svelare la ricchezza del diffuso patrimonio archeologico-monumentale. <br /><br /> È il tentativo di coinvolgere i romani nella riscoperta della città antica come leva per la trasformazione della città di oggi. Ciò è possibile proprio perché le testimonianze archeologiche sono vicine ai tessuti residenziali, in molto casi con tempi di accessibilità a piedi inferiori ai dieci minuti, come mostra la figura elaborata dai ricercatori di Mapparoma sulla base dei dati forniti dalla Soprintendenza Speciale con il sistema SITAR. <br /><br /><br /> <br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhrCp5I6eA_UDMNri_qCKm24ek7-TX5iCnEIxsMz2xLKhIrPAUSTjTIkbrVgLhWZKO5p6LNBRszo3UIE7yG2_9f_p-Gwp3zoUJ4qVIj8q0aM-0c72qax20Qx8nOIEQOrWfKPFVpOCNrG6aLbKfFqVVpwE4wsAzheaK1xiXsu5DXYq6cq-q12D-eE--BHBE"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhrCp5I6eA_UDMNri_qCKm24ek7-TX5iCnEIxsMz2xLKhIrPAUSTjTIkbrVgLhWZKO5p6LNBRszo3UIE7yG2_9f_p-Gwp3zoUJ4qVIj8q0aM-0c72qax20Qx8nOIEQOrWfKPFVpOCNrG6aLbKfFqVVpwE4wsAzheaK1xiXsu5DXYq6cq-q12D-eE--BHBE=w378-h368" /></a><br /><br /><br /><i> Figura 49: l’accessibilità delle aree archeologiche nel suburbio (Mapparoma in collaborazione con la Soprintendenza Speciale di Roma - progetto SITAR) <br /></i><br /> <br /> <br /></span><br /></div>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-62485030208428339272023-10-10T08:16:00.022+02:002024-01-12T12:05:13.182+01:00Le proposte per il Centro Archeologico Monumentale di Roma (CArMe)<div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span>Qui potete leggere il</span><span><span> </span><a href="https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/CARME_RAPPORTO_TOCCI_2023.pdf">Rapporto sulla trasformazione del Centro Archeologico Monumentale di Roma (CArMe)</a></span><span>. Ho scritto il documento in risposta all’incarico conferitomi ad aprile 2022 dal Sindaco Gualtieri con una consulenza gratuita.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span>Sulla base del mio testo Roma Capitale ha impostato un <a href="https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/Prog._Operativo_9_10_2023.pdf">Programma Operativo</a> che, tenendo conto anche</span><span> delle proposte del Ministero della Cultura,</span><span> definisce una serie di opere e di restauri da realizzare nel triennio 2025-27, con un investimento pubblico, comunale e statale di 282 milioni, come si vede nella </span><a href="https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/All._3_TABELLA_RISORSE_FINANZIARIE_CARME.pdf">tabella</a><span>. All’interno del Programma è inserito anche il </span><a href="https://npa.competitionarchitecturenetwork.it/?pk_vid=d74eec6dcba1762016966047965aa670">Concorso internazionale sulla Nuova Passeggiata Archeologica</a><span>, appena bandito da Roma Capitale.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">Inoltre il Rapporto contiene una serie di analisi e di ideazioni che intendono promuovere un ampio dibattito pubblico - tra i cittadini, gli esperti, le istituzioni – sul Piano Strategico, lo strumento di programmazione che guiderà la trasformazione dell’area nel prossimo decennio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">Tutte le informazioni sul progetto CArMe e il bando di concorso sono pubblicate sul sito di <a href="https://www.comune.roma.it/web/it/notizia.page?contentId=NWS1093828">Roma Capitale</a></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span></div> <div style="text-align: justify;"><div><span style="font-size: large;">Il Rapporto è un testo complesso e lungo (60 pagine). Chi volesse farsi un’idea sommaria delle proposte può leggere di seguito una breve sintesi. Una descrizione per immagini del Rapporto si trova nel <a href="https://www.carteinregola.it/wp-content/uploads/2023/10/CARME-slides-intervento-Tocci-10-10-23-seminari_SEQUENZA_ridotto_3.pdf">power point</a> che ho presentato al seminario promosso dalle associazioni Bianchi Bandinelli, Carte in Regola, Roma Ricerca Roma, Tutti per Roma</span></div><div><span></span><span><a name='more'></a></span><span style="font-size: x-large;"><br /></span></div><div><span style="font-size: x-large;">SINTESI DEL RAPPORTO</span></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Il compito del progetto è ambizioso: riscoprire l’area dei Fori come il centro della vita pubblica, proprio come era nell’antichità.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Con adeguate tutele, restauri e allestimenti, gli spazi moderni e le aree archeologiche possono svolgere pienamente la funzione simbolica di centro della civitas e nel contempo costituire il luogo prediletto della vita quotidiana, dove darsi un appuntamento, camminare attraverso la storia, conoscere la vicenda plurimillenaria della città, sentirsi liberi di giocare, studiare o lavorare, partecipare agli eventi civili e al dibattito pubblico e soprattutto riconoscersi come cittadini di Roma e del mondo.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">La scala del progetto è molto più ampia dei Fori e comprende tutta l’area compresa tra piazza Venezia, le Terme di Caracalla, Colle Oppio e il Tevere. È il Centro Archeologico Monumentale di Roma. Lo indichiamo con l’acronimo CArMe, in memoria del componimento poetico che in età arcaica svolgeva una funzione propiziatoria per le grandi imprese, sperando sia di buon augurio anche oggi.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span>La trasformazione del Centro Archeologico Monumentale (CArMe) è la più bella notizia che Roma possa dare al mondo. È l’ambizione di ravvivare la memoria storica come energia di cambiamento della città. </span><span style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;">È </span></span><span>l’occasione della riscossa civile dopo la stagnazione che ha attanagliato la Capitale negli ultimi tempi. È la meraviglia da condividere tra tutte le genti, tra le diverse generazioni, tra gli abitanti e i visitatori, tra il centro e la periferia, come auspicava il sindaco Petroselli.</span></span></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Purtroppo, la vita urbana si è allontanata dall’area archeologica, ormai consegnata quasi esclusivamente al turismo di massa. Eppure i cittadini del mondo sarebbero accolti nel modo migliore se i monumenti fossero frequentati anche dagli abitanti, i quali custodiscono l’autenticità dei luoghi, animano la vita dei rioni e differenziano le attività culturali ed economiche, evitando i rischi dell’omologazione del tessuto urbano. Il nostro obiettivo, quindi, è il reincanto dei romani verso la città antica.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Tutto ciò richiederà un impegno di lungo periodo. Entro il 2024 verrà presentato in Assemblea Capitolina il Piano Strategico del CArMe, adempiendo a una previsione del Prg del 2008, mai attuata fino ad oggi. Il Piano sarà sottoposto ad un ampio dibattito nel campo della scienza urbana, nelle sedi istituzionali locali e statali, tra gli osservatori internazionali, nella dialettica politica, e con il coinvolgimento della cittadinanza attiva e dell’opinione pubblica.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">I suoi principi regolativi sono tre:</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">• la molteplicità dei luoghi, sia nella dimensione verticale - dal sottosuolo al cielo: stazioni metro, piazze antiche, piazze contemporanee, terrazze – sia nella dimensione orizzontale, riscoprendo non solo i Fori e il Colosseo, ma l’immensa varietà dei paesaggi e dei monumenti;</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">• la prossimità all’antico, sia in senso spaziale – come possibilità di conoscere da vicino e passeggiare attraverso le testimonianze storiche di Roma – sia in senso temporale – come rielaborazione, culturale e sociale, della memoria urbana nella vita contemporanea;</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">• l’apertura verso la città per superare l’attuale isolamento dell’area e fruire di nuove connessioni con i rioni circostanti, con l’Appia Antica, la Campagna Romana e l’intera Città Metropolitana.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">La fattibilità del progetto è resa possibile dalle infrastrutture in fase di realizzazione: la metro C, il tram TVA e il GRAB. In futuro si potranno raccogliere i frutti del poderoso investimento sul trasporto pubblico. Con la nuova stazione di piazza Venezia, infatti, sarà possibile eliminare tutto il traffico da via dei Fori, anche gli autobus, oltre le automobili, già allontanate nel 2013 con la coraggiosa decisione del sindaco Marino.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Ciò significa che si può pensare a una pedonalizzazione integrale di tutta l’area archeologica, accompagnata dai sistemi di mobilità dolce, bici, monopattini, piccoli mezzi elettrici ecc. È l’occasione per superare la funzione novecentesca: non più la zona di attraversamento dei grandi flussi meccanizzati tra centro e periferia, ma il nuovo centro di cultura e di vita popolare. Le soluzioni progettuali saranno proposte dai grandi concorsi internazionali di architettura che si svolgeranno nei prossimi anni sulla base degli indirizzi del Piano Strategico. Sarà un’impresa da attuare con gradualità, non mancheranno risultati intermedi, ma nel complesso si svilupperà per oltre un decennio.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Nel frattempo vogliamo far vedere ai cittadini alcuni miglioramenti, mediante i restauri dei monumenti, le riqualificazioni degli spazi pubblici, gli allestimenti reversibili. Si tratta di progetti che non modificano la struttura del sito, ma anticipano e rendono comprensibile la logica della trasformazione definitiva. Queste opere costituiscono il Programma Operativo in attuazione nel triennio 2025-2027.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Oggi la via dei Fori è una grande strada con la potenzialità di sei corsie - come il Grande Raccordo Anulare - che però già non serve più per le automobili. Un enorme spazio pubblico, quattro volte più grande di piazza Navona, viene sprecato e comunque non utilizzato pienamente dai cittadini. È possibile confinare il flusso di autobus su due corsie e destinare le altre quattro all’ampliamento degli attuali spazi pedonali. Il concorso internazionale già bandito proporrà un progetto di allestimento con l’obiettivo di cambiare il verso al sito. Non avrà più l’immagine novecentesca di una strada dove sfrecciare in automobile, ma sarà fruito come un insieme di spazi pubblici vocati alla connessione tra antico e contemporaneo.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">La via dei Fori Imperiali abusa del suo nome, poiché dalla strada non si può accedere direttamente alle antiche piazze imperiali. Con il progetto che scaturirà dal concorso, invece, tra l’area urbana e l’area archeologica si svilupperanno inedite relazioni visive e funzionali: si potrà passeggiare nei nuovi spazi pedonali fin verso le balconate protese sui monumenti; si potrà scendere nelle antiche piazze - di Cesare, Nerva, Augusto, Traiano - collegate da un anello pedonale che condurrà a un ascensore di risalita verso l’area urbana del Quirinale; si potrà attraversare l’area archeologica mediante i nuovi percorsi sopraelevati che consentiranno di ritrovare le antiche connessioni con la vita quotidiana dei rioni circostanti, da Monti, al Velabro, fino al Tevere.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Molta cura sarà posta nella sistemazione del verde, non solo per la qualità del paesaggio, ma per assicurare soprattutto in estate la frescura della vegetazione.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Il Tempio della Pace, il Foro più oscurato dalla strada novecentesca, sarà riportato alla luce in tutto il suo fascino di giardino di pietra e di centro culturale, che stupiva i visitatori antichi. Al di sopra si realizzeranno due nuove piazze contemporanee, da un lato verso la Basilica di Massenzio e il Foro repubblicano e dall’altro ai piedi della Torre dei Conti, restaurata come imponente presenza medievale e aperta al pubblico, insieme alla splendida terrazza, come luogo di studio per i giovani e moderno landmark della Città dei Fori. L’ampia pedonalizzazione di via Cavour costituirà una nuova promenade, da cui i cittadini potranno accedere all’area archeologica.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Inoltre, sulla base del concorso in atto, il CArMe sarà connesso da una Nuova Passeggiata Archeologica, sull’esempio di quella ottocentesca del ministro Baccelli, una delle migliori opere della giovane capitale. Sarà un grande anello pedonale che avvolgerà come in un abbraccio tutti i monumenti e i paesaggi, dai Fori, al Colosseo, al Colle Oppio, al Celio, al Circo Massimo, alla Bocca della Verità, al Campidoglio. Costituirà un percorso di alta qualità per l’arredo urbano, per l’illuminazione notturna, per la cura del verde e per l’efficacia degli strumenti di informazione e degli ausili per la conoscenza della storia di Roma.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Non sarà un intervento isolato, anzi consentirà ai visitatori di scoprire molte altre opere che verranno realizzate lungo il suo itinerario, come una collana composta di tante pietre preziose: la nuova stazione Fori della metro C con l’esposizione, in un museo quotidiano, dei reperti scoperti negli scavi, in particolare la grande zanna di elefante del Pleistocene; il Belvedere Cederna riaperto al pubblico e connesso al restauro del giardino rinascimentale e dell’intera Villa Rivaldi; il giardino devichiano di Colle Oppio riqualificato e arricchito dalla nuova architettura, progettata mediante un altro concorso, della Cisterna delle Sette Sale; il parco del Celio abbellito come balconata sul Palatino e sul Colosseo e luogo di incontro e di conoscenza, dove si potrà prendere un caffè nella restaurata Casina del Salvi oppure camminare sopra la mappa lapidea della Forma Urbis allestita nella palestra ex-GIL; il mirabile parco urbano nell’antica valle Murcia, dalle Terme di Caracalla, al Circo Massimo e al Palatino, da progettare mediante un concorso di architettura del paesaggio; il riuso degli immobili comunali di via dei Cerchi come luoghi della conoscenza storica e del restauro dell’immenso patrimonio di reperti dell’Antiquarium capitolino; la nuova piazza della Bocca della Verità aperta verso il restaurato Foro Boario, l’Arco di Giano liberato dall’orrenda cancellata e il Velabro affacciato sulla Passeggiata Archeologica, in una visione contemporanea che riscopre la relazione originaria tra i Fori e il Tevere; la Casina Vignola Boccapaduli allestita come centro informativo e stazione di partenza dei percorsi pedonali e ciclabili e del bus elettrico diretti verso l’Appia Antica.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">La Passeggiata Archeologica, inoltre, verrà irrorata da diversi itinerari pedonali provenienti dalla città, dalla Stazione Termini, da Campo Marzio, da Esquilino, da San Giovanni, dalle Mura Aureliane, dall’Aventino, come a ricordare i torrenti che in epoca arcaica irroravano la valle, in seguito non a caso chiamata dei Pantani.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">L’apertura del CArMe verso la città verrà rafforzata dalla nuova linea tranviaria, l’Archeotram, che utilizzerà in gran parte l’infrastruttura esistente. I cittadini e visitatori avranno a disposizione un servizio di trasporto mirato alla visita di quasi tutto il patrimonio monumentale di Roma antica: Piramide, Circo, Massimo, Celio, Palatino, Colosseo, Basilica di San Clemente, Mura Aureliane di San Giovanni, Porta Maggiore, Horti Imperiali a piazza Vittorio, Terme di Diocleziano e Museo Archeologico nazionale. Dalla stazione Termini, inoltre, sarà disponibile un treno che in soli nove minuti porterà i visitatori nel cuore dell’Appia Antica, alla stazione di Torricola, dalla quale potranno tornare a piedi, in bici o con il bus elettrico fino alla stazione di Vignola Boccapaduli dell’Archeotram e quindi al punto di partenza a Termini, con un affascinante anello intermodale che utilizzerà tutti i mezzi di trasporto a favore della conoscenza storica, una sorta di ArcheoMetrebus.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Tutti questi peogetti sono compresi nel Programma Operativo con un grande impegno finanziario di 282 milioni di euro per opere statali e comunali che attingono ai programmi del Giubileo, del PNRR e dell’ordinario bilancio capitolino. È il più grande investimento mai realizzato nell’area archeologica centrale. Ed è solo la prima fase, alla quale seguiranno le opere, ancora da finanziare, previste nel successivo Piano Strategico.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">D’altro canto, questi programmi che l’Europa e l’Italia hanno messo a disposizione della Capitale riguardano non solo il Centro Storico, ma rendono possibile un poderoso investimento pubblico in tutta la città, e in particolare nella sua periferia. Il reincanto verso la città antica, quindi, deve coinvolgere tutto il territorio. Per questo abbiamo pensato di istituire una sorta di gemellaggio tra i Fori e almeno un’area archeologica in ogni Municipio.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Ad esempio, per il Giubileo avremo il nuovo capolinea della metro C proprio in via dei Fori; l’altro capolinea si trova già nei pressi dell’antica città di Gabi. Possiamo immaginare che i visitatori dell’area archeologica centrale prendano la metro e proseguano poi a piedi o in bici fino al sito archeologico della città preromana, il più lontano dal Colosseo, sia nello spazio del suburbio sia nel tempo della storia antica.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Le 14 aree municipali, gemellate e sostenute dalla nervatura dell’accessibilità, contribuiscono a svelare la ricchezza del diffuso patrimonio archeologico-monumentale della Campagna Romana. È il tentativo di coinvolgere i romani nella riscoperta della città antica come leva per la trasformazione della città di oggi.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">A tal fine si istituirà il Laboratorio per la Conoscenza e la Trasformazione del CArMe (LCTC), un centro culturale dedicato alla divulgazione della storia di Roma e alla documentazione dei progetti per l’area archeologica. La sede sarà collocata in via definitiva nella Torre dei Conti e, in attesa della sua ristrutturazione, negli spazi liberi dell’edificio ex-Pantanella di via dei Cerchi. Tutte le progettazioni del Piano Strategico e del Programma Operativo saranno oggetto di ampio dibattito pubblico e verranno sottoposte al controllo e alle proposte dei cittadini, delle associazioni e degli Enti culturali, sulla base dei principi del "patrimonio condiviso" definiti dalla Convenzione di Faro.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Con l’occasione si dovrà risolvere la grave carenza di servizi per i visitatori, dalle informazioni turistiche, alla conoscenza dei luoghi, fino alle essenziali disponibilità di toilette e di acqua potabile. È la principale inadeguatezza del sito: non solo ne rende molto faticosa la fruizione, ma ne indebolisce anche l’immagine internazionale. </div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Realizzeremo una rete di centri servizi che miglioreranno il benessere dei visitatori e utilizzeranno le tecnologie digitali per fornire sussidi didattici e aiutare la comprensione di una storia plurimillenaria. Questi centri si collocheranno negli spazi liberi del Foro di Cesare, della Basilica Ulpia, di via del Tempio della Pace, dei parchi di Colle Oppio e del Celio.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-size: x-large; text-align: justify;">All'operazione reincanto contribuiranno anche le architetture temporanee, gli allestimenti artistici, le rappresentazioni virtuali, le aree per gli spettacoli, gli spazi di aggregazione per i giovani e per i giochi dei bambini, i luoghi destinati alla vita pubblica, all’incontro tra i cittadini e alle iniziative delle associazioni di cittadinanza attiva.</div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: x-large; text-align: justify;">Tutte le componenti del progetto, quindi, cooperano per la riscoperta del Centro Archeologico Monumentale come luogo della conoscenza, come interpretazione contemporanea dell’antico, come centro della vita pubblica e come occasione di riconoscimento della civitas di Roma e del mondo.</div></span><div style="text-align: justify;">
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pratiche, di progettazioni e consuetudini, di miti e angustie - che regola i comportamenti degli amministratori, dei tecnici, degli imprenditori
e dei politici. Questo orientamento cognitivo della pianificazone si è formato con il Piano Regolatore del 1962 e ha prodotto molti effetti negativi che ancora oggi influenzano la gestione del territorio. Cambiare la mentalità, quindi, è una condizione, non la sola, per operare una svolta nell'urbanistica romana. </i></span><span style="font-family: Verdana, serif;"> </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;"><i>Di seguito potete leggere una parte del mio saggio.</i></span></p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"> <br /><br /><div style="text-align: justify;">È tempo di uccidere il padre dell’urbanistica romana: il Piano Regolatore del 1962. Ha dominato la storia territoriale della capitale della Repubblica nel secondo Novecento. Ed è la fonte degli errori e delle sconfitte di tutta la pianificazione successiva.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In questo mio giudizio, non lo nascondo, c’è una forzatura unilaterale, ma mi pare necessaria per innescare una svolta. So bene che la valutazione storica andrebbe contemperata tenendo conto della cultura del tempo, valorizzando le parti positive e distinguendo i difetti tra la teoria e la pratica. Tuttavia tali attenuanti non sono sufficienti a evitare la pena capitale: già all’epoca erano disponibili nel dibattito internazionale soluzioni e metodi diversi; la parte più positiva – il mirabile parco dell’Appia Antica – fu aggiunta per iniziativa del Ministero dei Lavori pubblici in contrasto con il piano adottato; l’alibi della cattiva attuazione è spesso utilizzata dagli urbanisti per salvare i propri progetti, seguendo il cattivo esempio di quei politici che dopo ogni sconfitta dicono “la linea era giusta ma è stata gestita male”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">I criteri di valutazione di una buona pianificazione dovrebbero essere ben più ambiziosi: il coraggio di innovare rispetto alla cultura corrente; gli effetti positivi che non hanno bisogno di essere declamati poiché si riscontrano nella vita quotidiana; la resistenza della struttura urbana alle cattive gestioni delle amministrazioni successive. Niente di tutto ciò si può annoverare a merito del Prg del ‘62.</div><span><a name='more'></a></span><div style="text-align: justify;">Come ricorda in queste pagine Piero Ostilio Rossi, il suo disegno emerse nel dibattito nell’immediato dopoguerra, già nella prima commissione del 1946, in ricercata rottura non solo con la cattiva ideologia ma anche con le buone idee della pianificazione precedente (Pietrolucci 2021). E ha poi istituito un apparato normativo e una trama territoriale tanto deboli nel contrastare la rendita e l’abusivismo, ma anche tanto forti nell’improntare il modo di pensare e di gestire il territorio fino ai giorni nostri.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Certo, effetti di così lunga durata non si possono addebitare solo a un disegno urbanistico. Il Prg è stato un segnavia. Ha indicato il percorso, ma ne ha anche subito la direzione. Ha elaborato una propria razionalità, ma ne è rimasto anche vittima.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Esiste una mente del Prg, intesa come l’insieme di teorie e pratiche, progettazioni e consuetudini, miti e angustie che orientano i comportamenti degli amministratori, dei tecnici, degli imprenditori e dei politici. Essa ha guidato per oltre settanta anni la trasformazione della capitale repubblicana, con una cogenza concettuale perfino più forte di quella imposta dai vincoli dalle norme e dalle mappe. L’esito è disastroso: una delle più estese e più frammentate conurbazioni europee, con elevatissimi costi dei servizi pubblici, dissipazione di energia e di territorio, e infima qualità urbana. La patologia urbana è la conseguenza della mente malata del Prg del ‘62.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il riferimento alla versione approvata quell’anno è convenzionale, come per sottolineare una ricorrenza dei sessanta anni trascorsi fino ad oggi. Un esame analitico dovrebbe prendere in esame tutte le altre versioni: la proposta del Cet del ‘57; il piano pubblicato in seguito alla delibera del Consiglio comunale del ‘59; la proposta dei saggi del luglio del ‘62, poi modificata e adottata nel dicembre dello stesso anno; il piano approvato dal Ministero nel ‘65 e infine la variante generale del ‘67. Come è noto queste versioni presentano significative differenze che sono state determinate dalle mutevoli sorti dell’aspra battaglia politica tra gli urbanisti riformatori e la giunta comunale. Esse sono molto importanti sul piano storico perché testimoniano come i contenuti innovativi venissero continuamente rimessi in discussione dal blocco di interessi immobiliari rappresentato dal partito democristiano (Insolera 2011). Tuttavia, le pagine seguenti prescindono da tali differenze, poiché sono rivolte a studiare lo strato più profondo della mentalità che in qualche modo ha condizionato sia i riformatori sia i conservatori.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">1. Senza cura del ferro</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La malattia ha determinato la lunga durata di alcuni malintesi, in certi casi di grossolani errori, e comunque di fuorvianti rappresentazioni dei problemi urbani.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’errore tecnico più grave sul piano teorico e più pregno di risultati nefasti è la totale assenza nella mente dei pianificatori della moderna cultura del trasporto su ferro. In alcuni documenti preparatori del 1959 si leggono frasi sconcertanti come questa: “si possono ottenere con gli autobus velocità commerciali superiori a quelle delle metropolitane senza ricorrere ai grandi investimenti” (Pagano 2019). È incredibile che persone di provata competenza commettessero errori tanto grossolani. Di conseguenza è venuto fuori un disegno di piano privo della rete su ferro e strutturato solo con la grande viabilità. Le metropolitane A e B sono state inserite successivamente per iniziativa del Ministero dei Trasporti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Si può invocare come alibi il mito internazionale dell’automobile, ma in quegli anni esso non impedisce alle grandi città europee di potenziare le infrastrutture già realizzate prima della guerra e in alcuni casi risalenti all’Ottocento. Per rimanere al caso italiano, negli stessi anni Milano avvia un coraggioso programma di costruzione delle metropolitane ancora oggi in pieno sviluppo. D’altronde, anche la capitale in età giolittiana realizza una delle più ampie reti tranviarie europee (Tocci, Insolera, Morandi 2008) e negli anni venti la metropolitana per Ostia - molto innovativa per l’accesso a raso, le pensiline in cemento armato e la bella stazione liberty di Marcello Piacentini davanti alla Piramide – oggi purtroppo ridotta alla peggiore ferrovia italiana. Ancora nell’immediato dopoguerra si porta a conclusione – tra il ‘48 e il ‘55 - la metropolitana Termini-Eur avviata dal regime fascista.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Perfino nella dimensione immaginativa il ferro sorregge l’ambiziosa pianificazione del 1929 proposta dal gruppo Gur, del quale fa parte anche Luigi Piccinato, e costituita da un insieme di città satelliti collegate da grandi linee di trasporto su scala regionale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quindi, l’ignoranza del Prg/62 ha bloccato una politica del ferro già bene avviata nella prima metà del secolo e ha creato, proprio nel massimo dell’espansione demografica, un pauroso deficit infrastrutturale, ancora oggi ben lungi dall’essere colmato.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Al di là della retorica modernista il piano di Piccinato<a href="#sdfootnote1sym">1</a> ha alimentato l’arretratezza della capitale. Ha lasciato in eredità un ritardo non solo quantitativo, ma anche culturale. Quando poi si sono legittimate le metropolitane, nel piano è rimasta una logica sbagliata, imperante anche ai giorni nostri.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per un malinteso di lunga durata, infatti, a Roma il trasporto su ferro è considerato il servo e non il sovrano della trasformazione. Le localizzazioni degli insediamenti sono decise sulla base di disegni astratti o interessi consolidati e solo dopo, nei casi migliori, ci si pone il problema di servirli con linee su ferro. Queste sono costrette a inseguire le espansioni decise a priori e di conseguenza si accumula il deficit di infrastrutture, anche a causa della bassa operatività degli investimenti. Non si è mai concepito il ribaltamento della logica: localizzare i nuovi insediamenti solo sulle stazioni di ferro già realizzate oppure realisticamente attuabili contemporaneamente al piano urbanistico. In questo modo si ottengono molti vantaggi: gli investimenti sono ottimizzati servendo un maggior numero di cittadini a costi marginali; i servizi pubblici sono più efficaci; la struttura urbana è più compatta.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Se non si utilizzano le reti su ferro per plasmare la forma urbana si arriva sempre ad ammettere che la pianificazione è fallita. I trasporti sono l’unica matita ancora disponibile per disegnare il futuro della città; una matita molto più efficace della norme e dei piani astratti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tutto ciò è ben definito a livello internazionale nella teoria e nella pratica del Transit Oriented Development (TOD), codificata in California negli anni novanta da Peter Calthorpe, ma anticipata già nei primi anni cinquanta dal Finger plan di Copenaghen (Reale 2008). Questa metodologia fino a oggi non è mai stata applicata a Roma. È il sintomo che il Prg/62, ben oltre la sua vigenza normativa, ha lasciato in eredità una grave malattia della pianificazione. Due generazioni di urbanisti che si sono formati durante la sua elaborazione e la sua attuazione hanno maturato un’evidente sottovalutazione del ferro, almeno fino agli anni novanta.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Basta un esempio per chiarire gli effetti. Alla fine degli anni ottanta si aprì al al pubblico la direttrice Tiburtina della metro B fino a Rebibbia con alcune stazioni collocate in aperta campagna. Per trenta anni la fermata Quintiliani ha servito i cittadini solo per andare a cogliere la cicoria nei prati circostanti. Nello stesso periodo in quel quadrante sono stati realizzati grandi quartieri (Casal Monastero e Settecamini in previsione di piano) e insediamenti direzionali, (il complesso del Ministero delle Finanze a Tor Sapienza in deroga al piano), tutti collocati a ridosso del Gra, ben oltre il capolinea di Rebibbia. Di conseguenza oggi bisogna prolungare la metro - ecco il deficit infrastrutturale - mentre rimangono inutilizzate le aree delle stazioni più interne. Se, azzardando un ragionamento euristico, i nuovi insediamenti residenziali e terziari fossero stati realizzati nel settore compreso tra le stazioni Quintiliani e Tiburtina (a 8 km dal Campidoglio), invece che consumare l’agro intorno al Gra (a 18 km), si sarebbero ottenuti enormi vantaggi per gli investimenti pubblici e per la struttura urbana e si sarebbero risparmiati ai cittadini trent’anni di ingorgo quotidiano sulla via Tiburtina. E oggi non ci sarebbe necessità di raddoppiarla, come si va facendo con molta fatica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">2. Il mare non bagna Roma</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">C’è un secondo malinteso, stavolta di natura ideologica, che ha impedito ai pianificatori perfino di immaginare il rapporto di Roma con il mare. L’interdetto nasce dal ripudio della retorica fascista - iniziata con il discorso di Mussolini in Campidoglio il 31 dicembre del 1925: “La terza Roma si dilaterà sopra altri colli, lungo le rive del fiume sacro, sino alle spiagge del Tirreno”, e poi cristallizzata nel misterioso piano della Cometa che prolungava la città verso il Litorale passando per il nascente quartiere dell’Eur. Misterioso perché è l’unico piano di Roma che ha avuto una coerente attuazione, pur non essendo note né le sue planimetrie né le sue norme. All’elaborazione del documento urbanistico aveva partecipato anche Piccinato, ma dopo la Liberazione lo rifiuta - come d’altronde aveva dimenticato anche la priorità del ferro del progetto Gur - forse nell’intento di oscurare o dimenticare la precedente collaborazione con il regime fascista.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La ripulsa è comprensibile e nobile come sentimento antifascista, ma è del tutto sbagliata come logica pianificatoria. Né può valere l’alibi della presenza di grandi interessi speculativi nel quadrante occidentale; semmai essi rendevano necessario un piano più forte e più attento proprio in quella direzione. Basta, invece, osservare una pianta a scala 50 mila per cogliere immediatamente la scarsa cura tecnica, la debolezza infrastrutturale, l’assenza di struttura, e ciò nonostante le grandi espansioni edilizie di Tor Pagnotta, Torrino e Spinaceto. Tutto questo rivela un incomprensibile rifiuto a organizzare il territorio occidentale, con effetti di disagio ambientale e sociale oggi molto intensi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Anche in questo caso il Prg/62 interrompe un percorso positivo della prima parte del Novecento, iniziato in epoca giolittiana con le iniziative industriali promosso dal sindaco Nathan e poi con l’ambizioso progetto di sviluppo del Litorale di Paolo Orlando, con i tessuti urbani di qualità a Ostia per merito del Sanjust e in seguito di Piacentini, come racconta bene Piero Ostilio Rossi in questo numero. Anche per le infrastrutture il quadrante si collocava all’avanguardia, con ben due assi su ferro ai lati del fiume, che sono rimasti gli unici fino a oggi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel secondo Novecento il Litorale diventa un’immensa periferia. Il mare non bagna Roma, parafrasando la narrazione di Anna Maria Ortese (1994) su Napoli. Si innesca la più virulenta delle plaghe abusive, che coinvolge tutti gli strati sociali, dal sottoproletariato del borghetto dell’Idroscalo ai piloti dell’Alitalia nelle ville dell’Infernetto. Peraltro, la grande struttura dell’Aeroporto non induce effetti di qualità nell’intorno e anzi sembra come se volesse saltare la plaga edilizia per cercare una relazione diretta con il centro della capitale. L’espansione speculativa dilaga nell’enorme spazio tra la città e il mare, senza trovare ostacoli né fisici né normativi. Con la sacrosanta eliminazione dei borghetti vengono trasferiti molti cittadini romani nelle case comunali di Ostia, subito abbandonate al degrado manutentivo, con effetti di sradicamento che aprono i varchi alla criminalità delle famiglie Spada e Fasciani. Gettato nell’incuria è tutto il formidabile patrimonio culturale e ambientale, dai porti antichi di Claudio e Traiano, alle dune, alle pinete, all’idraulica della bonifica. L’assenza di qualsiasi progetto di sviluppo favorisce la crescita di un’economia dell’appropriazione che si impadronisce dell’arenile e chiude il mare dietro un muro interminabile di stabilimenti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La capitale più mediterranea ha smarrito la relazione con il mare. Al contrario di altre città come Barcellona o Tel Aviv che hanno saputo trasformare i rispettivi waterfront come occasioni dello sviluppo economico e del buon vivere.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La malintesa ripulsa antifascista ha impedito per oltre mezzo secolo di riconoscere i grandi valori ambientali, non solo il mare, ma anche il Tevere e la Campagna romana, entrambi clamorosamente ignorati dalla mente del Prg/62. Da questa pesante eredità negativa deve partire oggi una grande riconversione ecologica per restituire a Roma la vitalità della sua natura ambientale e storica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">3. Dall’Asse attrezzato all’Anello autostradale</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La mente del Prg non è mai riuscita a pianificare l’altrove urbano. Cioè non è stata in grado di cambiare la forma urbis, di realizzare nuove polarità, di creare un’alterità spaziale, neppure quando era ancora possibile guidando l’espansione in atto. Non si può dire che sia mancata l’utopia, anzi il disegno di Piccinato è stata la più prometeica promessa della Roma novecentesca: spostare il centro e nel contempo cambiarne la geometria trasformandolo in un Asse attrezzato nella campagna orientale. Né prima né dopo si è mai pensato con lo stesso coraggio il cambiamento della capitale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Le cose, però, sono andate diversamente: invece dell’Asse attrezzato abbiamo avuto il Grande raccordo anulare. Invece della purezza del simbolo del piano, la promiscuità con l’anti-piano dell’abusivismo. Invece di una guida del cambiamento, la conservazione del già fatto. Invece della vittoria dell’illuminismo riformatore, la rivincita della vandea borgatara. Invece della volontà di potenza, la mestizia della rassegnazione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">C’è un rapporto tra l’asse e l’anello? Pur così diversi, sono legati l’uno all’altro da un filo nascosto. Il secondo è il negativo del primo, non solo nel senso banale di opposto, ma più profondamente come una contrapposizione che pur negando stabilisce una relazione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’asse voleva concentrare la mono funzione terziaria, l’anello ha reso possibile un ammasso eterogeneo di funzioni commerciali, residenziali, industriali e terziarie, ma entrambi hanno negato l’integrazione dei tessuti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’asse voleva delocalizzare il centro, l’anello si è contornato di piccole centralità, tanto deboli per quantità e qualità da accentuare la struttura centripeta.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Come è potuta accadere questa eterogenesi dei fini?</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ha pesato molto la presunzione dei pianificatori che hanno visto nascere il Gra già nel ‘46, ma lo hanno sottovalutato, pensando che sarebbe stato assorbito dal loro disegno assiale, come spiega Rosario Pavia in questo numero. E invece è accaduto che l’opera imprevista vincesse sulla sicumera delle previsioni. Sarebbe stato più saggio prendere atto e cercare una mediazione tra l’incipiente anello e il futuro asse, salvando il disegno del piano. Ciò avrebbe comportato l’organico inserimento del Gra nel progetto urbanistico della città. Questo semplice riconoscimento non solo non è venuto dagli urbanisti del ‘62 ma da nessuno dei successori. Per settanta anni quella parte di città, pur essendo il vulcano della trasformazione che spargeva la lava borgatara nella campagna, non hai mai ottenuto una pianificazione strategica. Perfino il Prg del 2008 non lo ha inserito nel pur lodevole strumento che si era dato: gli ambiti di programmazione strategica. Un’altra conferma della lunga durata della mente del Prg/62.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sul blocco dell’Asse attrezzato la ricerca storica dovrebbe approfondire le cause, studiando in modo particolare il conflitto tra le correnti della Dc. Non è un caso che la vittoria dell’anello contro l’asse sia determinata dal prevalere del galleggiamento doroteo sul dirigismo fanfaniano, allora insediato nelle Partecipazioni Statali (PPSS). Qui forme della città e forme della politica vengono quasi a coincidere.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dopo la vittoria, il Gra ha consolidato il suo potere urbanistico risolvendo un grave problema del Prg/62. La previsione di una città di 5 milioni di abitanti da servire solo con l’automobile, senza le concentrazioni favorite dai trasporti su ferro, aveva comportato il disegno di una rete stradale molto estesa ed articolata. Negli anni settanta però la popolazione si ferma al di sotto dei 3 milioni e anzi comincia a diminuire a favore dell’hinterland. Sull’area metropolitana poi si raggiungerà la popolazione di quasi 5 milioni, ma con una conurbazione molto diversa da quella pianificata nel ‘62.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In tale contesto diventa insostenibile l’investimento sull’enorme maglia stradale urbana, che infatti viene realizzata solo a tratti, per lo più nei segmenti interni alle lottizzazioni convenzionate e ai piani di zona della 167. Dall’incompiutezza discende l’evidente forma frattale della rete, con quello che comporta sugli ingorghi quotidiani.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Erano possibili solo due soluzioni del problema. La soluzione più limpida consisteva nel ridimensionare la maglia urbana a misura dei 3 milioni di abitanti nel confine comunale, mediante l’elaborazione di un nuovo Prg di scala metropolitana, ma era un’ipotesi irrealizzabile, poiché la Dc non era interessata alla pianificazione e il Pci nel frattempo aveva sacralizzato il piano del ‘62, pur non avendolo approvato. È prevalsa, quindi, la soluzione di ripiego, ovvero la realizzazione della vecchia maglia per segmenti di strade, poggiate sulle vecchie consolari, rimaste come erano, fino ai giorni nostri. Però non poteva bastare, e allora una sorta di genialità dorotea, presente in varia misura in tutti i partiti, scoprì che l’espansione dell’abusivismo e dell’edilizia pubblica poteva poggiare sul Gra. Bastava allargare la sua sezione stradale, passata dagli iniziali dieci metri agli attuali quasi cento, invece di realizzare la maglia. L’autostrada consentiva in breve tempo di offrire una minima accessibilità alle borgate e agli insediamenti terziari e commerciali, seppure a prezzo di un’infima qualità urbana e di una penuria infrastrutturale, che oggi è molto difficile sanare.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’anello è stato il grande riduttore di complessità del Prg/62. Ha concentrato su se stesso tutte le relazioni, legittimando ed eludendo la mancanza di reti nella conurbazione. Da qui deriva la sua potenza e la sua fragilità: non possiamo farne a meno, ma ci lascia bloccati nell’ingorgo. A tutto ciò, di solito, si risponde aggravando la causa della patologia, con la proposta di nuovi anelli autostradali. Invece, si dovrebbe disegnare una rete intermodale di trasporti e di viabilità a scala metropolitana, ma nessuna pianificazione si è mai cimentata con la sfida, dando ragione a posteriori al ripiegamento doroteo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La riduzione di complessità ha impresso la marcata forma frammentata su un’ estesa conurbazione a bassa densità. Gli insediamenti sono come tanti acini dei grappoli della vite, non hanno alcuna relazione tra loro e sono abbarbicati alle consolari e all’autostrada. La separazione è il carattere peculiare di questa periferia anulare e si riscontra a tutte le scale: tra i lotti delle famiglie di borgata, tra una borgata e l’altra, tra queste e i centri commerciali, i poli terziari isolati, i capannoni della logistica, gli smorzi e gli sfasciacarrozze; e tutto ciò è sempre più lontano e ostile rispetto alla città.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Lo strumento urbanistico che ha favorito la separazione è la lottizzazione convenzionata, inventata proprio dal Prg del 62, prima che venisse organicamente inserita nella successiva legge-ponte (Insolera 2011: 249). L’intento era positivo, poiché voleva impegnare i costruttori a realizzare interi quartieri con tutte le dotazioni necessarie, superando le vecchie speculazioni che avevano costruito le case senza i servizi. Nella realtà però le convenzioni sono divenute lo strumento principe dell’espansione immobiliare e hanno realizzato tante monadi chiuse al proprio interno, prive di qualsiasi relazioni con i contesti e con le preesistenze urbane.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La periferia anulare è composta da tante eterotopie, separate l’una dall’altra e ciascuna chiusa nel proprio mondo. L’idea della città lineare si è frantumata in mille pezzi intorno al Gra. È la frammentazione dei luoghi e delle vite descritta magistralmente dal Sacro Gra di Nicolò Bassetti e Gianfranco Rosi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’utopia dell’Asse attrezzato è caduta nell’eterotopia dell’Anello autostradale. Ecco l’incapacità della mente del Prg/62 di governare l’altrove urbano: quando lo pensa nel futuro prende le sembianze dell’unità organica, ma poi quando si trova ad attuarlo nel qui e ora esso si manifesta come eterogeneità spaziale e sociale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La caduta dell’utopia nell’eterotopia non riguarda solo il Prg/62, ma è una costante di tutta l’urbanistica romana del Novecento.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’utopia dell’equilibrio urbano del piano Sanjust - con la studiata composizione di villini, palazzi e intensivi, tutti ben proporzionati alle strade e agli spazi pubblici - viene stravolta dall’eterotopia delle palazzine - da allora quasi un culto romano - che frammentano i tessuti urbani come dadi gettati sul tavolo, secondo l’immagine di Carlo Emilio Gadda, forse condizionato dalla nostalgia delle siedlungen milanesi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’immaginifico schema regionale delle città satelliti ad opera del GUR sembra vaticinare la ben più prosaica diffusione dello sprawl metropolitano.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La figura della città compatta di Piacentini viene accompagnata dalla nascita delle prime borgate che innescano la grande frantumazione della periferia del dopoguerra.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La retorica del Mare dell’impero si tramuta nella più redditizia speculazione, borgatara e palazzinara delle aree verso il Litorale, svelando in negativo il mistero del piano della Cometa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">4. La dissonanza urbana</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">….</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">5. La povertà cognitiva</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">….</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">6. La razionalità dogmatica</div><div style="text-align: justify;">….</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">7. Una testimonianza personale</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’idea del parricidio, in tutta sincerità, è sostenuta da una testimonianza personale. Il mio rifiuto radicale, come spesso accade, è il capovolgimento di un’intensa relazione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Mi sono formato come militante del Pci nella periferia romana. Per noi giovani attivisti l’urbanistica era il pane quotidiano, non era affatto una tecnica, ma il “proseguimento della politica con altri mezzi”, come dicevamo parafrasando von Clausewitz. Oggi sarebbe impensabile: i militanti si formano sui social e vedono l’urbanistica come una disciplina astrusa e inutile. Per la nostra Bildung, invece, l’opera di Piccinato era sullo stesso scaffale dei Quaderni del carcere di Gramsci.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Soprattutto noi comunisti eravamo gli strenui difensori del Prg, pur non avendo votato a favore al momento dell’approvazione in Consiglio comunale. Il paradosso si spiega con il comportamento opposto della Dc, che ovviamente ne portava la responsabilità dell’approvazione come partito di maggioranza, ma mostrava ogni giorno di non stimarlo affatto e anzi cercava in tutti i modi di aggirarlo o bloccarlo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Inoltre, noi militanti comunisti eravamo alla testa del movimento popolare che rivendicava i servizi, il verde e le infrastrutture. Organizzammo centinaia di assemblee per discutere in ogni quartiere la Variante a verde e servizi predisposta per adeguare il Prg agli standard della legge-ponte. Oggi si parla nei convegni di “urbanistica partecipata”, noi non usavamo questo lessico, eppure mai come allora la pianificazione territoriale, perfino con le sue tecnicalità, è entrata nel dibattito popolare, influenzando anche la deontologia professionale degli urbanisti che sentivano il dovere di mettere i propri saperi a disposizione della mobilitazione civile.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per tutto questo ci parve che fosse diventato il “nostro piano”: non solo lo avevamo migliorato, ma anche orientato a favore dei ceti popolari.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quando arrivarono le giunte di sinistra di Argan, Petroselli e Vetere cominciò la vera attuazione del Prg. Solo in quel decennio si può dire che sia stato davvero in vigore; né prima né dopo le amministrazioni hanno mostrato la sincera volontà di rispettarne le previsioni. C’è un paradosso tra il breve tempo della cogenza e gli effetti di lunga durata.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">I principali difetti e le più gravi carenze della politica urbanistica delle giunte di sinistra sono proprio da addebitarsi all’eccesso di fedeltà al piano: comincia in quegli anni la grande espansione edilizia che proseguirà poi nello sprawl metropolitano; aumenta il deficit infrastrutturale, poiché gli investimenti pubblici, nonostante il grande balzo attuativo (circa 2 miliardi di euro l’anno, dieci volte l’attuale livello di investimento) non riescono a tenere il passo dello sviluppo della conurbazione delle localizzazioni del Prg sempre più lontane dal centro; si perde un decennio per correre dietro all’idea già invecchiata del Sistema Direzionale Orientale (Archibugi 2005).</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Su questo progetto curiosamente si consuma l’unica e la più malriposta infedeltà verso il Prg. Per l’attuazione, infatti, viene cancellato il previsto strumento dell’esproprio generalizzato e si introduce la lottizzazione convenzionata. Gli assessori di sinistra immaginano di spostare i grandi centri direzionali dello Stato con lo stesso modello attuativo delle palazzine nell’agro, in quel momento in grande sviluppo. Negli anni successivi, il Pci, passato all’opposizione, convinse la giunta Giubilo a correggere l’errore delle proprie giunte, ripristinando l’esproprio. La decisione fu presa con una votazione all’unanimità in Consiglio comunale e venne recepita e sancita nella legge per Roma capitale n. 396 del 1990. L’esproprio fu poi attuato dalle giunte Rutelli-Veltroni; e oggi si vanno realizzando faticosamente le opere di urbanizzazione. È stata una delle più contorte vicende della politica urbanistica di sinistra.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il paradosso politico fu determinato dall’improvviso ricambio generazionale del Pci romano. Non si usava allora il termine rottamazione, i modi erano più inclusivi, ma la sostanza non era molto diversa. Dopo la sconfitta nell’85 del sindaco Vetere – nonostante avesse realizzato un grande programma di opere pubbliche - i nuovi dirigenti condussero una serrata autocritica sulla politica urbanistica, non priva di un certo furore giovanile. Venne messa sotto accusa proprio la fedeltà delle giunte di sinistra verso il vecchio Prg e si elaborarono nuove proposte su quattro punti cruciali: a) riduzione delle enormi previsioni espansive approvate a fine consiliatura con il Piano poliennale di attuazione e il secondo Peep, che non si limitava purtroppo a ricucire le borgate, ma consumava altri terreni vergini della campagna romana; b) Variante di salvaguardia per cancellare le previsioni edificatorie nei preziosi sistemi ecologici dell’agro, raccogliendo una sensibilità ambientalista che in quegli anni si era accentuata tra i militanti e gli elettori; c) sradicamento della mala pianta dell’abusivismo, traendo le conseguenze nella vita interna di partito, mediante la rottura della cinghia di trasmissione con il sindacato delle borgate che continuava ad accarezzare la bestia illegale; d) invenzione della cura del ferro – un’espressione che poi ha avuto fortuna – sulla base di un ambizioso progetto integrato di ferrovie e metropolitane, presentato in un grande convegno all’Eur nel 1988. Non si trattava di punti isolati, anzi erano le innovazioni propedeutiche alla proposta di un nuovo piano per Roma. Il rifiuto della pianificazione del ‘62 rompeva definitivamente il tabù del Pci, che non aveva mai voluto metterla in discussione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sulla base di queste idee i dirigenti comunisti incontrarono altri orientamenti ideali, parteciparono al dibattito allora intenso sull’urbanistica e strinsero relazioni culturali e poi anche di amicizia con altre persone, per esempio Francesco Rutelli, Mimmo Cecchini, Daniel Modigliani, e i compianti Francesco Ghio e Maurizio Marcelloni. Da questo fecondo crogiolo culturale nacque nel 1993 il programma elettorale centrato sulla proposta di un nuovo Piano regolatore per Roma, che poi venne realizzato nel quindicennio successivo con le quattro giunte di Rutelli e Veltroni.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Non posso dilungarmi in questa sede sul bilancio di quella politica. In breve si può dire che del Prg approvato nel 2008 i lati positivi corrispondono alle rotture e i lati negativi alle fedeltà con il Prg del ‘62.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">È molto positiva la Variante delle certezze che ha cancellato tante previsioni edificatorie espansive e ha salvato gran parte della campagna romana. È di grande rilievo la ripartizione della rendita a favore del pubblico, innalzando, in caso di variante, fino al 66% della valorizzazione la quota a favore delle urbanizzazioni. Molto importanti sono anche gli ambiti di programmazione strategica – le Mura, il Tevere, l’Appia Antica, l’asse Flaminio-Fori-Eur – purtroppo rimasti finora tutti inattuati.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Pesano invece sul lato negativo della bilancia le famose centralità: non erano altro che le residue espansioni, ancora inattuate, del Prg/62; essendo tante di numero, piccole di pesi, scarse di qualità funzionale, e prive di relazioni con la periferia circostante hanno finito per accentuare la struttura centripeta che avevano contestato con il principio del policentrismo. Inoltre hanno aggravato il peso sul Gra, senza neppure considerarlo al pari degli altri ambiti di programmazione strategica, proseguendo inconsapevolmente la sottovalutazione di Piccinato. È stato chiamato il nuovo Piano di Roma ma si è trattato dell’ennesima variante del sempre vivo Prg/62.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In conclusione si pone la domanda: da che cosa deriva la lunga durata? Come mai un piano spesso contrastato dalle stesse amministrazioni ha comunque condizionato oltre settanta anni di storia urbanistica? La cogenza implicita deriva, come abbiamo visto, dalla dissonanza urbana, dalla povertà cognitiva e dalla razionalità dogmatica. Ancora di più hanno pesato i malintesi di lunga durata: il ferro servente e non sovrano della trasformazione, il mare che non bagna Roma e la caduta dall’utopia all’eterotopia. La mente del Prg/62 è malata e però ancora attiva.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Se non si compierà l’impietoso parricidio non si potrà né pensare né attuare una vera riforma urbanistica della capitale. Essa può cominciare proprio dai fallimenti cognitivi e operativi della lunga storia dell’urbanistica del secondo Novecento. La cattiva eredità che riceviamo serve a indicare, mediante il suo capovolgimento, l’agenda per la svolta da compiere in futuro: il trasporto su ferro sovrano e non più servo della trasformazione; la riconciliazione della città con gli immensi valori ambientali - il mare, i fiumi, i laghi, la campagna – così profondamente intrecciati ai paesaggi storici, a cominciare dall’Appia Antica; la progettazione della città del Gra, da assumere come il più grande tema di scienza urbana di questo secolo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">BIBLIOGRAFIA</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Archibugi F. (2005), Rome: A New Planning Strategy, Routledge, London.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Balducci A., Calvaresi C. (2018), Materiali per una nuova stagione delle politiche urbane, in Terzo rapporto sulle città. Mind the gap. Il distacco tra politiche e città, Urban@it, il Mulino, Bologna, p. 251-79.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Barbera L. V. (2019), Quaroni Muratori tra dialogo e silenzio, in Id. (a cura di), La città radicale di Ludovico Quaroni, Gangemi, Roma. p. 229-71.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Barucci P. (2013), Laurentino 38: “Maledetti quei ponti”, intervista a Francesco Erbani, in “La Repubblica” del 13 luglio.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Calderini M., Venturi P. (2018), Serve un nuovo paradigma di sviluppo per la rigenerazione urbana, in “SecondoWelfare.it” del 24 settembre.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Colucci M., Gallo S. (a cura di) 2021, Le strade per Roma, il Mulino, Bologna.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Cacciari M. (2013), Il potere che frena, Adelphi, Milano.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Gatti A. (2004), I 50 anni di professione e i padri del P.R.G, in “AR. Bimenstrale dell’Ordine degli architetti di Roma e Provincia”, n. 56, 2004, p. 50.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Insolera I. (2011), Roma moderna, Nuova edizione ampliata con la collaborazione di Paolo Berdini, Einaudi, Torino.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Lanzetta A. (2018), Roma informale. La città mediterranea del GRA, manifestolibri, Roma, p. 58.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Moravia et al. (1975), Contro Roma, Bompiani, Milano.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Morin E. (2000), La testa ben fatta, Raffaello Cortina, Milano.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nicolini R. (2018), Un romanzo d’architettura del 1934 a Roma. I diari e il trattato di Redenzio R.A.M.I. (Mario De Renzi), a cura di V. Palmieri, Libria, Melfi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ortese A. M. (1994), Il mare non bagna Napoli, Adelphi, Milano.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Pagano R. (2019), Perché Roma ha così poche metropolitane?, in METROXROMA [<a href="http://www.metroxroma.it/2019/06/perche-roma-cosi-poche-metro-parte-1/">http://www.metroxroma.it/2019/06/perche-roma-cosi-poche-metro-parte-1/</a>]</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Pietrolucci M. (2022), L’armatura infrastrutturale pubblica dell’espansione urbana tra Roma e il Mare. Osservazioni sui disegni dei Piani Particolareggiati del Piano Regolatore Generale del 1931 nel quadrante sud occidentale tra Porta Portese e Porta San Sebastiano, in “U3 Urbanistica Tre”, Gennaio, Roma</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Reale L. (2008), Densità, città, residenza. Tecniche di densificazione e strategie anti-sprawl, Gangemi, Roma, pp. 56-57.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Siti W. (2008), Il contagio, Mondadori, Milano, p. 313.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tocci W, Insolera I., Morandi D. (2008), Avanti c’è posto. Storie e progetti del trasporto pubblico a Roma, Donzelli, Roma.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tocci W (2009), L’insostenibile ascesa della rendita urbana, in “Democrazia e Diritto”, n. 1, Angeli, Milano.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tocci W (2020), Roma come se, Donzelli, Roma.</div></span><p align="justify" class="western" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br /></p><p style="text-align: justify;">
</p><div id="sdfootnote1"><p class="sdfootnote-western"><a class="sdfootnotesym" href="#sdfootnote1anc" name="sdfootnote1sym">1</a>Per
brevità si attribuirà l’intera paternità a Piccinato, ma si
dovrebbero considerare tanti altri padri, non solo gli altri
urbanisti Mario Fiorentino, Piero Lugli, Vincenzo Passarelli e
Michele Valori, ma soprattutto i tecnici dell’Ufficio per il Prg,
tra i quali Pietro Guidi, che è stato il vero padre operativo,
spesso in contrasto con Piccinato; (Gatti A. 2004).</p>
</div><p><span style="font-size: medium;"></span></p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-82113420225126887332022-10-31T09:40:00.004+01:002022-10-31T17:58:20.202+01:00Scuole Aperte a Roma<p><span style="font-size: large;">Il Comune di Roma ha avviato il <a href="https://www.comune.roma.it/web/it/notizia.page?contentId=NWS972611">programma per l'apertura delle scuole nel pomeriggio e nel fine settimana</a>. Oltre cento istituti hanno risposto al bando e ottenuto il finanziamento per svolgere attività di contrasto alla povertà educativa e per la sostenibiità ambientale, l'arte, l'intercultura, la solidarietà sociale, la rigenerazione dei quartieri ecc. </span></p><p><span style="font-size: large;"><span><a href="https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/scuola_aperta_leaflet_retro.pdf">L'iniziativa è stata presentata</a> nella mattinata di giovedì 27 al Teatro India dall'assessora Claudia Pratelli, insieme con i colleghi Catarci, Gotor e Patané, i consiglieri Fermariello e Marinone e con il sindaco Gualtieri. Nel pomeriggio è stato chiesto un commento </span><span>ad alcuni discussants: Franco Lorenzoni, Walter Tocci e Annalisa Corrado. </span></span></p><p><span style="font-size: large;">Qui potete vedere il <a href="https://www.youtube.com/watch?v=tKeLoHGxkoQ">video della giornata.</a> </span></p><p><span style="font-size: large;">Il mio intervento si trova al minuto 4:13; dopo il brillante speech di Franco e prima di quello altrettanto bello di Annalisa. </span></p><p><span style="font-size: large;">Nel convegno è stata presentata anche la nuova offerta comunale di iniziative didattiche gratuite per le scuole; qui trovate la <a href="https://www.comune.roma.it/web/it/informazione-di-servizio.page?contentId=IDS975062">Mappa della Città Educante.</a></span></p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-79253213096940923332022-10-23T11:11:00.004+02:002022-10-23T11:31:16.757+02:00La Roma di Pasolini<p><span style="font-size: medium;">L'anno pasoliniano si conclude con il <a href="https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2021/12/100-anni-nascita-pier-paolo-pasolini-mostre-roma/">ciclo delle mostre romane</a> "Tutto è santo" al Palazzo delle Esposizioni, a Palazzo Barberini e al MAXXI. Si era aperto il 5 marzo nel centenario della nascita. Tra i tanti libri pubblicati, il primo uscito proprio a marzo è stato curato dal mio amico <a href="http://www.castelvecchieditore.com/prodotto/il-lupo-avra-il-sorriso/">Luciano De Fiore, <i>Il Lupo avrà il sorriso?, </i>per l'editore Castelvecchi</a>. Si tratta di sei conversazioni organizzate dal curatore con Piero Colussi, Massimo De Angelis, Gaetano Lettieri, Antonio Monda, Bruno Moroncini. Nella sesta Luciano ed io abbiamo discusso intorno al rapporto di Pasolini con Roma, con la vita e la forma della città.</span></p><p><span style="font-size: medium;">Di seguito potete vedere il video della nostra conversazione oppure potete leggere il testo, pubblicato nel libro, che la rielabora e aggiunge le note. </span></p><p><a href="https://www.youtube.com/watch?v=RII5NBS_c7k&t=17s"><span style="font-size: medium;">Qui il video</span></a></p><p><span style="font-size: medium;"><a href="https://drive.google.com/file/d/1wpjFFuRkZgPgiEd9W891Czy1cpqp60h8/view?usp=sharing">Qui il testo</a> tratto da L. De Fiore (a cura di), <i>Il lupo avrà il sorriso?</i>, Castelvecchi, Roma 2022, pp. 97-115</span></p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-230246579272050892022-09-09T19:09:00.006+02:002022-09-09T19:36:52.300+02:00L'ultimo saluto a Salvatore Biasco<span style="font-family: arial; font-size: medium;"><i>Oggi abbiamo dato l'ultimo saluto a Salvatore Biasco, nell'aula Magna della Facoltà Teologica Valdese. Per ricordare il valente intellettuale, il politico appassionato e l'amico carissimo sono intervenuti Giuliano Amato, Vincenzo Visco e il sottoscritto. <br />Di seguito potete leggere il mio intervento.</i><br /></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quando arrivava una telefonata o una mail da Salvatore era spesso una chiamata all’impegno politico e culturale. Aveva creato negli ultimi anni un network di persone esperte in diversi campi con le quali promuoveva studi e seminari, sotto il titolo significativo <a href="https://www.casadellacultura.it/1219/governare-la-societ-agrave-del-dopo-covid">“Ripensare la cultura politica della sinistra”</a>. Non si poteva resistere alla sua sollecitazione: era convincente nel proporre i temi da trattare, contagiava anche i più scettici con il suo dissimulato entusiasmo e nel contempo si caricava per primo l’onere dell’organizzazione spingendo tutti gli altri a fare qualcosa. In lui in ogni momento si esprimeva la curiosità della conoscenza, la passione politica e la generosità d’animo.<span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ancora nel mese di luglio ci aveva inviato una mail dandoci i compiti per le vacanze e invitandoci a una riunione per il 29 settembre. Per telefono lo avevo sentito affaticato e in parte anche scoraggiato, ma era ansioso di concludere il lavoro di questi anni pubblicando gli atti dei seminari già svolti. Come in un presagio della fine sentiva l’urgenza di portare a compimento l’opera.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tra i partecipanti al network, in un rapido giro di mail di questi giorni, è stato spontaneo concordare di vederci proprio come ci aveva convocati lui, in quel giorno e con quei compiti. La pubblicazione dei documenti dei seminari sarà anche un’occasione per onorare la sua memoria di studioso rigoroso e di politico appassionato.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nella scelta dei temi aveva un gusto spiccato per la fecondità dell’inattuale. Contro il deprimente mainstream era portato a rilanciare i grandi temi politici della sinistra, senza mai cadere nella nostalgia, ma cercando le ragioni contemporanee per una nuova trasformazione sociale e culturale. Questa era la chiave dei seminari: sulla generatività dei corpi intermedi contro la sterilità dei leader solitari; sulle politiche pubbliche capaci di alimentare la coesione sociale; su una nuova idea di socialismo per inverare i valori originari nei conflitti della nostra epoca. Molta cura dedicò al seminario di confronto tra diverse generazioni di studiosi sulle grandi fratture del mondo; volle che per ogni sessione ci fossero un relatore giovane a fianco di un altro più anziano. La curiosità verso i più giovani non si limitava solo all’attenzione personale, nei riguardi di studenti, ricercatori e militanti politici, ma era un modo per mettere alla prova le sue e le nostre certezze e confrontarsi con molteplici angoli visuali.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tutte queste iniziative erano mosse dalla volontà, direi quasi da un assillo, di contribuire tramite la produzione culturale al rilancio della politica. Sentiva forte l’esigenza di trovare interlocutori politici in grado di ascoltare e di misurarsi con i più avanzati risultati della ricerca e dei saperi. Qui si sono consumate molte delusioni e amarezze, che però non hanno mai scalfito il suo impegno. D’altronde, sapeva bene che non si trattava solo di una mera mancanza di disponibilità di questo o di quel dirigente di partito, ma dipendeva da un processo più profondo di separazione tra politica e cultura, che si era consumato soprattutto in Italia, quasi per reazione agli eccessi della precedente stagione dell’intellettuale engagé o addirittura organico. Come testimonia il suo libro dei primi anni Duemila, intitolato <i><a href="https://www.marsilioeditori.it/libri/scheda-libro/3179729/per-una-sinistra-pensante">Per una sinistra pensante</a></i>, fu tra i primi a capire che l’esaurimento di quel vecchio modello avrebbe dovuto sollecitare la ricerca di un nuovo ruolo degli intellettuali nell’organizzazione politica. Invece, già allora sembrava un tema demodé; come in altri campi, alla destrutturazione del passato non subentrò mai la costruzione di una vera innovazione, nonostante il meritorio contributo di tante fondazioni e associazioni vecchie e nuove, tutte sostenute da Salvatore, la cui offerta, però, non ha trovato mai la domanda culturale dei partiti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Così la separazione si è accentuata fino a diventare quella reciproca indifferenza che alla fine ha danneggiato sia la politica sia la cultura di sinistra. I politici, tranne alcune eccezioni, sono diventati sempre più superficiali e quindi meno autorevoli, fino al livello che abbiamo sotto gli occhi. E gli intellettuali, in gran parte ma fortunatamente non tutti, sono ripiegati nell’autosufficienza disciplinare oppure al contrario nella spettacolarizzazione mediatica; ma entrambe le posture, pur così diverse, si sono rivelate incapaci di elaborare un convincente e duraturo discorso pubblico, incapaci di incidere sul senso comune e di coinvolgere il sentimento popolare nella trasformazione del Paese.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Salvatore ha continuato ad ammonire sugli effetti negativi della separazione e ha tentato per almeno un ventennio di colmare la distanza, cercando nuove vie, incoraggiando chi mostrava una disponibilità, portando un contributo sempre ricostruttivo e mai demolitorio.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Di tutto questo mi è capitato di discutere a lungo con lui, godendo, insieme ad altri amici, dell’accoglienza sua e della carissima Valeria nella loro bella casa. E ho imparato molto dal suo smisurato sapere, che disseminava generosamente, quasi senza farlo vedere. Ho ammirato la sua tenacia e la sua intelligenza, l’ho seguito nelle sue imprese. Nel corso degli anni la stima si è evoluta nell’amicizia e nell’affetto.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Come sanno gli amici, Salvatore ha avuto una particolare capacità di farsi voler bene. Senza ricorrere a modi accattivanti, anzi con la sobrietà del suo tratto umano, ma soprattutto per un’originale impronta del suo carattere che ne faceva una persona speciale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Capita a ciascuno di noi di apprezzare di volta in volta e singolarmente un valente intellettuale curioso del mondo e della vita, oppure di seguire un appassionato promotore di impegno civile e politico, o anche di godere dell’attenzione fraterna di un amico. Ma è raro che queste qualità si presentino nella stessa persona, tutte insieme e contemporaneamente e al massimo grado, proprio come accadeva con Salvatore.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Gli volevamo bene perché era una persona autentica, capace di comporre le sue doti in una personalità ricca e aperta verso gli altri.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ci mancherà tanto, lo ricorderemo e lo additeremo come esempio per le nuove generazioni, alle quali aveva dedicato gran parte della sua opera culturale e umana.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-28149631485661694312022-08-25T14:58:00.006+02:002022-09-09T19:15:26.154+02:00Sulle disuguaglianze di mortalità tra i quartieri di Roma<p><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Sulle disuguaglianze nella mortalità a Roma è uscito un libro molto interessante ad opera di Lionello Cosentino e Carlo Saitto: <a href="https://pensiero.it/catalogo/libri/pubblico/la-sanita-non-e-sempre-salute">La sanità non è sempre salute. Dalle disuguaglianze nella mortalità tra i municipi di Roma a un'idea diversa di sanità per tutti. </a></b></span></p><p><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Oltre una ricchissima analisi dei dati, il libro offre proposte davvero innovative per ripensare il Sistema Sanitario sulla base dei principi originari della riforma sanitaria riguardo alla prevenzione e alla cura nel territorio, la cui necessità è stata dimostrata drammaticamente dall'epidemia del Covid. </b></span></p><p><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Per farsi un'idea dello studio possono essere utili <a href="https://pensiero.it/in-primo-piano/pagine-aperte/un-servizio-sanitario-per-la-salute-e-per-lequita">l'intervista a Carlo Saitto</a> e la <a href="https://www.recentiprogressi.it/archivio/3850/articoli/38343/">recensione di Stefano Cagliano</a>. </b></span></p><p><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Gli autori mi hanno chiesto di scrivere l'introduzione, che è stata poi pubblicata con il titolo: <i>La cura della malattia del servizio sanitario</i>". Di seguito potete leggerne l'incipit.</b></span></p><p><br /></p><p align="justify" class="western" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Verdana, serif;">Non è certo un libro da tenere sul
comodino per leggerlo prima di dormire Potreste non prendere sonno.
La morte delle persone a Roma è il tema. L’inquietudine, però, è
neutralizzata dalla ricercata trattazione statistica dell’argomento.
L’attenzione del lettore viene rivolta alle cause sociali e
politiche della mortalità. Se il libro non </span><span style="font-family: Verdana, serif;">è
dedicato alle riflessioni sulla caducità della vita, alimenta almeno
una presa di coscienza delle inaccettabili disuguaglianze di salute
nella Capitale</span><span style="font-family: Verdana, serif;">.</span></span></p><p align="justify" class="western" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Verdana, serif;">Questo sentimento cresce nello scorrere
delle pagine, nel susseguirsi dei diagrammi, nell’elaborazione dei
dati, così diversi ma convergenti nell’esito: i poveri muoiono più
dei ricchi; ancora di più gli analfabeti rispetto ai laureati; in
generale di più gli abitanti della periferia rispetto a quelli del
centro. </span>
</span></p><p align="justify" class="western" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Verdana, serif;">Non si può accettare che nei quartieri
intorno a Tor Bella Monaca (Municipio </span><span style="font-family: Verdana, serif;">VI</span><span style="font-family: Verdana, serif;">)
la probabilità di morire sia del 25% superiore a quella dei
quartieri intorno a Parioli (Municipio </span><span style="font-family: Verdana, serif;">II</span><span style="font-family: Verdana, serif;">).
Se fossimo in grado di estendere a tutta la città il tasso di
mortalità dei quartieri benestanti si avrebbero circa 4500 decessi
in meno ogni anno a Roma. </span>
</span></p><p align="justify" class="western" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Verdana, serif;">Questo è forse il dato più
rappresentativo del libro </span><span style="font-family: Verdana, serif;">ch</span><span style="font-family: Verdana, serif;">e
</span><span style="font-family: Verdana, serif;">fornisce due misure: quella
dell’</span><span style="font-family: Verdana, serif;"><i>ingiustizia di salute</i></span><span style="font-family: Verdana, serif;">
e quella dell’</span><span style="font-family: Verdana, serif;"><i>epidemia della
povertà</i></span><span style="font-family: Verdana, serif;">. Concetti dirimenti
sui quali vale la pena di riflettere</span><span style="font-family: Verdana, serif;">.</span></span></p><p align="justify" class="western" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Verdana, serif;">1. </span><span style="font-family: Verdana, serif;">L</span><span style="font-family: Verdana, serif;">’</span><span style="font-family: Verdana, serif;"><i>ingiustizia
di salute</i></span><span style="font-family: Verdana, serif;">
</span><span style="font-family: Verdana, serif;">va
i</span><span style="font-family: Verdana, serif;">ntesa alla maniera di
Marmot,
come la parte della disuguaglianza che può essere eliminata con gli
strumenti disponibili nel nostro grado di civiltà, </span><span style="font-family: Verdana, serif;">secondo
una concezione adeguata dell’equità di risultato e non solo di
accesso</span><span style="font-family: Verdana, serif;">. In teoria,
infatti, nulla impedisce a Tor Bella Monaca di applicare le stesse
modalità di cura, di promuovere i comportamenti di prevenzione, di
ridurre i rischi sociali, cioè di garantire le medesime condizioni
in base alle quali muoiono meno persone a Parioli, a pochi chilometri
di distanza nella stessa città. Come mettere in pratica tutto ciò
dovrebbe essere il compito di un ambizioso programma sanitario, il
quale però non sarebbe sufficiente se non fosse accompagnato da una
più ampia politica volta a rimuovere le disuguaglianze economiche,
ambientali ed educative. In ogni caso, solo nella misura in cui
avremo raggiunto in parte l’obiettivo potremo dire Roma è meno
ingiusta.</span></span></p><p align="justify" class="western" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Verdana, serif;">2. </span><span style="font-family: Verdana, serif;">L</span><span style="font-family: Verdana, serif;">’</span><span style="font-family: Verdana, serif;"><i>epidemia
della povertà</i></span><span style="font-family: Verdana, serif;"> </span><span style="font-family: Verdana, serif;">si
riferisce a</span><span style="font-family: Verdana, serif;"> quell’aumento di
4500 morti che si verifica tra i cittadini a basso reddito ogni anno,
da tanto tempo, in modo sistematico. Incredibilmente è paragonabile
alla media annua del numero di morti provocati dall’epidemia
Covid.
Però con una differenza fondamentale: nella lotta al virus sono
state prese misure drastiche, si è mobilitata la ricerca scientifica
mondiale, si è deciso il più grande investimento pubblico europeo,
mentre non si parla quasi mai dell’</span><span style="font-family: Verdana, serif;"><i>epidemia
della po</i></span><span style="font-family: Verdana, serif; text-align: left;"><i>vertà</i></span><span style="font-family: Verdana, serif; text-align: left;"> e non si
approntano adeguate politiche di contrasto. Non avete mai sentito la
notizia di questi numeri al TG della sera. Nei programmi elettorali
di solito si promette quante buche stradali verranno coperte, ma
nessun candidato si è mai impegnato a ridurre la mortalità in
periferia. Spero, quindi, che il libro possa essere una pietra
d’inciampo nel discorso pubblico su Roma. E che il lettore,
arrivato all’ultima pagina, esclamerà: “non me ne ero accorto
prima, è davvero un’ingiustizia inaccettabile, tutti devono
impegnarsi a rimuoverla, i governanti devono dare risposte certe”.</span></span></p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-20642398864715897182021-10-08T12:13:00.008+02:002021-10-10T10:35:38.218+02:00Lo stupore di Petroselli<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;"><span><i>La memoria di Luigi Petroselli a quaranta anni dalla scomparsa è stata celebrata il 7 ottobre per iniziativa della Fondazione Gramsci e dell'Assocazione Berlinguer nella sala del Tempio di Adriano a piazza di Pietra, a Roma. Dopo l'introduzione di Giuseppe Pullara e il saluto di Roberto Gualtieri ho tenuto il discorso commemorativo che potete leggere di seguito oppure <a href="https://www.radioradicale.it/scheda/649354/petroselli-il-pci-e-roma">seguire in video</a>. </i></span><i>Il testo è stato pubblicato anche su <a href="https://www.strisciarossa.it/aiutiamo-roma-a-tornare-grande-capitale-europea-nel-ricordo-delle-sfide-di-petroselli/">Strisciarossa</a>.</i></span></p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><br /><div style="text-align: justify;">Quando mi capita di raccontare l’opera di Petroselli a un giovane appassionato dei problemi di Roma, avverto sempre il suo stupore, mentre mi rivolge la domanda, ma era davvero così bravo? E come è stato possibile, mi chiede, che in soli due anni facesse tante cose importanti?</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Noi che abbiamo avuto il privilegio di conoscerlo, di lavorare con lui, di aver imparato da lui, proprio noi che pensiamo di sapere tutto di lui dovremmo essere capaci di ricordarlo e di studiarlo con la curiosità del mio giovane interlocutore.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">D’altronde è stato così anche durante la sua vita, da durugente di partito e da sindaco. All’inizio del mandato c’era una diffusa incredulità sulle possibilità di successo di quello che era stato fino a quel momento solo uomo di partito. Ma ben presto amici e avversari si accorsero di aver sbagliato la previsione. </div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Siamo in grado di stupirci ancora di Petroselli quaranta anni dopo? Non gli renderemmo onore facendone un santino. Se vogliamo ravvivarne la memoria va compreso nella temperie del suo tempo, nei turbamenti del suo animo, nelle tremende sfide politiche che ha affrontato.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span><a name='more'></a></span><b><div style="text-align: justify;"><b>La faglia storica</b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Non solo ha fatto tutto in due anni, ma soprattutto in anni cruciali, nei quali si aprono problemi che nessuno sarà in grado di risolvere nel successivo quasi mezzo secolo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tra il 79 e l’81 cambia verso la storia del mondo, finisce il ciclo dei così detti Trenta Gloriosi e inizia quella rivoluzione conservatrice che poi si è fatta regime in grado di resistere a tutti i suoi insuccessi, la bassa crescita, le bolle, le disuguaglianze.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’impero sovietico prepara la propria rovina con l’invasione dell’Afghanistan, che diventa un dannato teatro di guerra fino ai giorni nostri.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La Chiesa del convegno diocesano del ‘74 si era inchinata verso la sofferenza dei Mali di Roma, ma con Giovanni Paolo II si innalza di nuovo come potere trionfante, poi smentito dalle clamorose dimissioni di Ratzinger.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La crisi italiana, dopo l’assassinio di Moro, comincia ad avvitarsi su se stessa, passando attraverso una sequela di promesse che non riescono ad affermarsi come soluzioni durature, da Craxi a De Mita, dall’Ulivo a Berlusconi, e poi con un ritmo sempre più compulsivo dal rottamatore, al comico, al ruspista.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">I partiti storici che avevano governato la rinascita cominciano a perdere contatto con la realtà del paese, quelli di governo si arroccano nel potere scivolando lentamente verso Tangentopoli, e il Pci comincia il suo travaglio ideologico scivolando lentamente verso la Bolognina.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In due anni la vicenda italiana e quella mondiale sono scosse dall’urto tra un’epoca che declina e un nuovo ciclo che s’impone. Per il suo carattere storico Roma più di altre città avverte come un sismografo i movimenti tellurici del passaggio d’epoca. In questa faglia storica emerge la grandezza di Petroselli che attraversa i conflitti portando in salvo il patrimonio di valori e lottando contro il tempo avverso. È la grandezza della politica quando si misura con il <a href="https://www.libreriauniversitaria.it/politica-destino-tronti-mario-luca/libro/9788889829158">destino storico</a>.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Petroselli dimostra che proprio in quel momento a Roma è necessario il sindaco comunista: quando cioè comincia l'epoca che porterà al distacco delle masse dalla politica, che oggi si misura con la partecipazione al voto sotto il 50%, proprio in quel momento il rappresentante del movimento di emancipazione delle classi subalterne è in grado di rigenerare il rapporto tra popolo e istituzioni. E davvero mai come in quei due anni la città si è riconosciuta con tanta intensità nel Campidoglio. La soluzione dei problemi quotidiani per Petroselli è l'occasione per chiamare i cittadini a partecipare al cambiamento e alimentare il senso di appartenenza alla comunità cittadina. Questo insegnamento è ripreso più avanti dai nostri sindaci, prima da Rutelli e poi in modo particolare da Veltroni. Credo che da giovanissimo consigliere comunale Walter, proprio con l’esempio di Luigi, abbia sviluppato quella sua spiccata capacità di connettere anche una piccola opera alla narrazione del futuro di Roma.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Lo stile di governo di Petroselli anticipa la riforma istituzionale dell'elezione del sindaco. Pur all'interno del sistema proporzionale inventa una relazione diretta con i cittadini, non come sarà in seguito per destrutturare i partiti, ma anzi per rinvigorirne la funzione democratica; non per alimentare un narcisismo, ma per dare fiducia all'azione collettiva. Utilizza forme di comunicazione innovative per quei tempi: le risposte in diretta nelle trasmissioni di Video Uno, il <a href="https://www.youtube.com/watch?v=JfGMORLYzNQ">docufilm</a> con Ninetto Davoli e Sergio Citti, e in particolare il ricevimento dei cittadini in Campidoglio; talvolta capita che qualcuno entri nella sua stanza dicendo - "nun devo chiede niente, volevo solo capì se è vero che ce ricevi, e mo’ sto bene" - e se ne va.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per la sua riconferma nelle elezioni dell’81 ottenne un risultato strabiliante, con 130 mila preferenze e la percentuale di lista più alta della vetta del ‘76, il migliore risultato nelle città italiane. In soli due anni recuperò tutti i consensi perduti solo qualche mese prima della sua elezione nelle politiche che si tennero dopo la fine dei governi Andreotti. Dimostrò che si poteva tornare a vincere, anche se non poteva bastare la leva amministrativa, perché la sconfitta del ‘79 si era consumata con crolli del 10% proprio nelle borgate e segnalava un logoramento di natura politica del radicamento popolare.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Posso sbagliare, ma credo che avesse una percezione del rischio di declino del suo partito in quei difficili anni ottanta. Non bisogna dimenticare che fece il sindaco in una fase di grande disorientamento del vertice comunista, tra il 79 e l’81, dopo la presa d’atto del fallimento del compromesso storico e prima della proposta di alternativa democratica. Era stato tra i più convinti nel porre fine all'intesa con la Dc, ma poi ha temuto che il passaggio all'opposizione potesse alimentare l'illusione di un'autosufficienza delle virtù del Pci, di una regressione difensiva, e perfino di un rigurgito di settarismo. Era invece convinto che proprio il passaggio d'epoca andasse attraversato con coraggio politico, con una innovativa cultura di governo, con un rilancio dell'unità a sinistra. Sulla <i>vexata questio</i> dei rapporti con i socialisti aveva dimostrato a Roma di saper coniugare il forte spirito unitario e il ruolo propulsivo, mai subalterno, nell'alleanza. Due posture che nel frattempo si divaricavano tra i massimi dirigenti nazionali del partito, chi per eccesso in un senso chi per eccesso nell'altro.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Alla fortuna delle giunte di sinistra, purtroppo lo dimentichiamo spesso, apportarono preziosi contributi i socialisti romani. Alberto Benzoni aprì il Campidoglio ai movimenti libertari degli anni settanta. Perluigi Severi elaborò <a href="https://www.libreriauniversitaria.it/doppia-capitale-roma-burocratica-moderna/libro/9788822003577">soluzioni riformiste</a>, che allora sembravano azzardate a noi comunisti, ma poi furono riprese dalle amministrazioni di Rutelli e Veltroni. I due prosindaci, così diversi, ma entrambi ispirati dall’idealità socialista, stabilirono una sincera amicizia con il loro sindaco, come si manifestò nel discorso di Pierluigi, il momento più commovente nel giorno dell’addio.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nella tragica mattina di quaranta anni fa Petroselli espose apertamente nel Comitato Centrale queste sue critiche alla linea politica prevalente. E appena ebbe finito di parlare il suo cuore cessò di battere. Chi era presente racconta che mostrava i segni della fatica accumulata nel duro lavoro di sindaco e nelle tensioni delle trattative per la sua rielezione. E forse si sarà aggiunto anche lo stress emotivo nel parlare per la prima volta in disaccordo con Berlinguer, al quale era legato da un lungo rapporto di collaborazione. La sera prima un fraterno amico e stretto collaboratore nel partito lo sentì per telefono molto preoccupato per il discorso che avrebbe fatto, ma anche determinato nella responsabilità di esprimere apertamente la sua opinione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Che misterioso destino, per un dirigente che era stato sempre ortodosso, trovarsi in dissenso solo in due momenti della vita, da giovane sull'invasione sovietica a Budapest e in punto di morte sulla crisi del Pci degli anni ottanta.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Anche se non lo dava a vedere sapeva bene che continuando con quei ritmi di lavoro andava incontro alla morte. Agli amici più cari, quando cercavano inutilmente di convincerlo a rallentare, rispondeva citando Epicuro: “La morte non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><b><div style="text-align: justify;"><b>L’autenticità</b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Qual’era allora la vera umanità di Petroselli? Noi quadri di partito conoscevamo bene la ruvidezza del carattere e rimanemmo stupiti nel vederlo da sindaco così tanto capace di mettersi in sintonia con le persone. Eppure il contrasto tra severità ed empatia era solo apparente.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Innanzitutto, perché la durezza era sciolta da una dissimulata curiosità per le persone; aveva una straordinaria capacità di entrare in relazione con esponenti di mondi lontani dal suo e curava l’ascolto nel partito in modo imprevedibile; spesso sembrava non aver recepito una proposta, ma nei giorni seguenti la faceva propria suscitando lo stupore del proponente.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La severità era applicata prima di tutto a se stesso. La corazza gli serviva a dissimulare la timidezza e a proteggere la profonda sensibilità umana, che affiora anche nelle sue poesie giovanili.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sentiva intensamente il rapporto tra la politica e la vita. Ne parla in una lettera ad Aurelia: “le battaglie del lavoro non furono mai solo battaglie contro gli oppressori, ma anche battaglie con te stesso e con l’ambiente che sta attorno a te e con il passato che sta dentro di te”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La severità era lo stile che in quel tempo esprimeva la responsabilità e l’appartenenza a una causa collettiva. Così interpretava la peculiarità del partito comunista italiano, non come un’organizzazione che bastava a se stessa, ma come un’infrastruttura democratica al servizio del riscatto delle classi subalterne. Bisogna leggere il libro di Angela Giovagnoli per capire che fin dalle prime esperienze giovanili sentì l’adesione al partito come un’immedesimazione con le speranze dell’umanità popolare. Dopo un’assemblea a Vallerano non fece a tempo a tornare a Viterbo e volle dormire in sezione che in quel momento era occupata da un mucchio di grano, un contributo in natura al finanziamento del partito. Non accettò l’ospitalità nelle case dei compagni con una motivazione stupefacente: “Voglio dormire sul grano e gustarmi il profumo che è anche quello dei contadini”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questa curiosa immagine mi ricorda un personaggio di Italo Calvino: Gurdulù si immedesima nelle cose che incontra, si tuffa nello stagno per assomigliare ai pesci. È lo scudiero del <i>Cavaliere inesistente</i>, il quale, invece, è tanto preso dai suoi principi cavallereschi da perdere il contatto con la realtà: è il dramma della separazione tra l’ideologia e la vita. Al contrario in Petroselli il cavaliere e lo scudiero sono la stessa persona. Il totus politicus comporta l’immedesimazione con l’umanità popolare.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">E tutto ciò si esprime al meglio nell'empatia del sindaco, sia nei momenti dolorosi sia in quelli gioiosi. Arrivava per primo, spesso inaspettato, nei luoghi insanguinati dalla violenza e dal terrorismo: varcò la porta del giornale il Secolo d'Italia distrutta dalle bombe, la prima volta per un comunista, lasciando stupefatti e riconoscenti gli avversari di sempre del MSI. E nei momenti di festa era sempre pronto a valorizzare le passioni civili che sgorgavano dalle speranze di quel tempo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’empatia però non era solo uno stile personale, improntava anche i contenuti delle politiche comunali. L’invenzione dei centri anziani attivò una formidabile partecipazione della terza età alla vita dei quartieri; le attività di Città come scuola, organizzate dall’assessora Roberta Pinto, mobilitarono insegnanti e genitori per il tempo pieno e il rinnovamento della didattica; la complicità con il movimento delle donne contribuì alla realizzazione dei consultori e dei nidi, le assemblee di borgata per il piano Acea socializzarono le competenze degli ingegneri con il mestiere degli edili che avevano costruito le proprie case; le conferenze dei servizi pubblici offrirono occasioni di confronto tra i lavoratori comunali, gli utenti e gli assessori; lo sviluppo del decentramento avvicinò l’amministrazione ai cittadini; le manifestazioni di “Corri per il verde”, inventate da Giuliano Prasca, indicarono al Comune dove realizzare i nuovi parchi; le varianti urbanistiche per i servizi furono discusse nelle assemblee dei quartieri, l'<a href="https://waltertocci.blogspot.com/2021/09/ricordando-nicolini-villa-ada.html">Estate Romana di Nicolini</a> fece scoprire ai romani il privilegio di vivere nella città eterna.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Concludendo sul dilemma della sua umanità, possiamo dire che la severità del capo politico e la generosità del sindaco erano tenute insieme dall'autenticità della persona. Tutti avvertivano in lui la coerenza tra i principi e la pratica. Il suo metodo era: fare ciò che si dice e dire ciò che si fa. La trasparenza della politica coincideva con la sostanza della politica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La clamorosa popolarità, per dirla con le parole di Franca Prisco, qui presente, che abbraccio, la clamorosa popolarità di Petroselli deriva proprio dalla sua autenticità. La gente povera, anche quella meno politicizzata, sente che il sindaco è dalla sua parte. La stima e l’affetto di tutti si rivela nei volti addolorati di donne e uomini che sfilano per giorni davanti al suo feretro nell’aula Giulio Cesare.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">E il riconoscimento sincero viene anche dagli avversari. Gianni Letta, che ringrazio per la sua presenza qui oggi, ne onorò la memoria sulle colonne de Il Tempo con queste parole: "Chi, come noi, non può essere neppure per ipotesi sospettato di indulgenza verso i comunisti, deve confessare che considera invidiabile la ricchezza di abnegazione e sacrificio che è il patrimonio storico del partito dei comunisti".</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><b><div style="text-align: justify;"><b>La parte e il tutto</b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Petroselli è orgogliosamente rappresentante della sua parte politica e ciò nonostante riesce ad essere percepito come il sindaco di tutti. Non c’è contraddizione, anzi una tensione creativa esalta entrambi i compiti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il suo operato da sindaco è preparato dal lavoro di opposizione che organizza nei primi anni settanta come segretario del partito. Sotto la sua guida i comunisti romani sono protagonisti delle grandi battaglie ideali di quegli anni, dalla lotta per il disarmo e la pace nel mondo, all’attuazione dei valori costituzionali, all’ampliamento dell’unità antifascista. E sono la forza decisiva nella mobilitazione per il NO al referendum sul divorzio, che raccoglie proprio nelle borgate percentuali di consenso ai massimi livelli nazionali, nonostante le preoccupazioni della vigilia. È merito delle militanti comuniste che dialogano con le elettrici da donne a donne sui grandi temi della famiglia e dei diritti. La cultura femminista diventa esperienza politica di massa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’organizzazione di partito raggiunge una diffusa capillarità, come non si era mai vista prima e come non sarà mai più in seguito. I militanti accompagnano e promuovono la partecipazione in tutti i comitati di quartiere, negli organi scolastici, nelle lotte sindacali, nelle istanze delle categorie, nella produzione culturale, nelle riforme degli apparati statali. Come scrive <a href="https://www.ibs.it/contro-roma-libro-vari/e/9788858131848">rispondendo a Moravia</a>: “oggi Roma è una delle città più democratiche del mondo”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il fermento di partecipazione popolare scosse anche il mondo cattolico. Il convegno sui Mali di Roma liberò le energie di trasformazione che promanavano dalla nuova sensibilità del Concilio.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Petroselli diede un giudizio caustico - con il convegno la Chiesa si è dimessa dal governo con la Dc, disse – ma non strumentalizzò la divaricazione. Anzi negli stessi giorni avviò un’intesa istituzionale con il sindaco democristiano Darida, rafforzando nel contempo l’unità con i socialisti. Non era una scelta obbligata, anzi la giunta in quel momento era debolissima e poteva essere facilmente abbattuta. Invece, i comunisti si rimboccarono le maniche, il capogruppo Ugo Vetere divenne un sindaco di fatto, e riuscirono insieme ai democristiani e ai socialisti ad avviare i provvedimenti che poi saranno sviluppati dalle giunte di sinistra, come il piano di edilizia pubblica e il risanamento delle borgate.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Fu l'applicazione più brillante della politica del compromesso storico. A differenza dei governi Andreotti nei quali il Pci rimase impantanato, a Roma l'intesa con la Dc lo rafforzò come soggetto del cambiamento.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sulle realizzazioni delle giunte di sinistra sottolineo due momenti cruciali: il risanamento delle periferie e il progetto Fori.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel trentennio precedente lo sviluppo speculativo aveva accumulato un pauroso deficit di infrastrutture. Per colmarlo si attuò, anche per merito del successore - il caro compagno Ugo Vetere - un gigantesco programma di opere pubbliche per scuole, giardini, servizi primari per circa 2 miliardi di euro l’anno, circa dieci volte il livello di questi anni. La stessa macchina comunale che oggi, pur avendo maggiori poteri di allora, si affanna con le buche, a quei tempi seppe realizzare la più estesa rete infrastrutturale italiana, oltre mille chilometri di acquedotti, illuminazione, strade e fogne. Fu decisivo il coinvolgimento e la motivazione dei lavoratori e dei dirigenti comunali. Il sindaco e gli assessori non chiedevano loro favori, ma sapevano motivarli per la riuscita degli obiettivi. Quindici anni dopo da vicesindaco conobbi quei dirigenti ed erano ancora orgogliosi di aver lavorato con Petroselli come autentici <i>civil servant</i>.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">È stata la più grande redistribuzione di risorse pubbliche e favore dei ceti popolari durante il Novecento. I punti salienti furono la realizzazione dei servizi nelle borgate abusive, lo sviluppo a grande scala dei quartieri di edilizia popolare e l’eliminazione delle baracche.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Conservo un intenso ricordo della demolizione del borghetto di Pietralata, di cui fu protagonista l’assessore, il compagno Giulio Bencini, che ringrazio per la sua presenza qui. La mattina presto arrivò una carovana di camion e ruspe guidata dall’ingegner Vergari, autorevole direttore del Servizio Giardini, allora la più professionale tra le strutture comunali. L’ingegnere, una persona di destra, sembrava un generale di corpo d’armata investito da Petroselli di conquistare la vittoria sul campo. Infatti, in una sola giornata – da non crederci oggi – il Comune demolì le casupole, realizzò al loro posto un giardino pubblico e trasferì gli abitanti negli alloggi nuovi a duecento metri di distanza. La sera una festa liberò la tensione accumulata durante la demolizione. Sui volti di donne e di uomini la dignità di aver conquistato un diritto, quella incontenibile fierezza delle persone che si esprime nel momento del riscatto sociale. Noi comunisti ne eravamo orgogliosi e credevamo di aver eliminato per sempre la vergogna delle baracche. Purtroppo non abbiamo evitato che in quelle periferie sorgessero le nuove baracche dei sottoproletari del mondo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nella storia moderna di Roma solo Petroselli è riuscito a liberare lo sviluppo economico dal <a href="https://tabook.it/libro/vezio-de-lucia-ella-baffoni/la-roma-di-petroselli/9788876156281">giogo secolare della rendita</a>. Fece cambiare mestiere ai “palazzinari” trasformandoli in moderni imprenditori. Li convinse ad abbandonare il vecchio gioco a monopoli sulle aree fabbricabili e a concentrarsi sulla capacità imprenditoriale nelle costruzioni. Il Comune, infatti, assegnò loro le aree che aveva espropriato ai proprietari per pubblica utilità, eliminando in radice il fenomeno della speculazione e orientando gli investimenti pubblici e privati nella realizzazione di moderni quartieri popolari dotati di tutti i servizi. Negli anni successivi la riforma venne svuotata, ma è sempre rimasta un modello esemplare. Molti imprenditori furono orgogliosi di aver partecipato alla modernizzazione. E alcuni di loro piansero sulla bara di quell’uomo politico che in passato avevano percepito come il principale avversario.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il progetto Fori ancora oggi è frainteso negli obiettivi ed è ridotto a un contenzioso archeologico su un’area delimitata. Invece Petroselli lo concepì come una strategia di trasformazione dell’intera città, proiettando in una visione tutta politica la proposta che fino ad allora era stata <a href="https://www.libreriauniversitaria.it/storia-moderna-fori-roma-insolera/libro/9788842059103">elaborata nei circoli intellettuali</a> da Adriano La Regina, Leonardo Benevolo, Antonio Cederna, Italo Insolera e altri.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">C’era anche l’ambizione di rielaborare la romanità. Da sempre era stata catturata dalla retorica antichistica e dal privilegio delle elite. Ora la memoria di Roma antica doveva arricchire la vita popolare e suscitare la trasformazione moderna della città. A tal fine inventò le domeniche a piedi nei Fori. Migliaia di romani si stupirono nel poter passeggiare nella storia, si riconobbero tra loro come protagonisti del cambiamento. E passò subito all’azione eliminando la strada che separava il Campidoglio dal Foro repubblicano e pedonalizzando l’area tra il Colosseo e l’arco di Costantino, che divenne poi il teatro della proiezione del Napoleon di Abel Gance, con la partecipazione del governo francese in una serata da grande capitale europea.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Successivamente il progetto Fori è stato accantonato e a tratti demonizzato. Tuttavia si sono realizzate alcune condizioni al contorno che oggi lo rendono pienamente fattibile. È in attesa solo di un nuovo sindaco che ne abbia la volontà.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Lo stradone poggiato malamente sugli antichi Fori <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2017/05/la-piazza-del-mondo.html">può essere smantellato</a>. Già è stato eliminato il traffico privato e si può rinunciare anche agli autobus una volta concluso il cantiere della metro C.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’eliminazione dello stradone toglie a quel luogo l’estranea superfetazione assiale e consente di riconoscerlo per ciò che era, un insieme di piazze aperte alla vita urbana di tutti i giorni, per fare una passeggiata, per darsi un appuntamento, per partecipare alla vita pubblica. Invece di chiuderli in un recinto museale a pagamento, come hanno imposto le ubbie ministeriali, i Fori imperiali e quello repubblicano possono diventare i più prestigiosi spazi pubblici contemporanei, accessibili direttamente dalle stazioni della metropolitana e connessi mediante itinerari pedonali con i rioni e con i colli circostanti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Mi piacerebbe contribuire a superare la querelle storico-politica che in passato ha bloccato il progetto. Da sinistra si è sbagliato nel dare impropriamente un significato antifascista allo smantellamento. E da destra si è sbagliato nel celebrare i fasti imperiali con la grande strada dritta, che è più debitoria del macchinismo novecentesco, molto meno della romanità antica. Chi intende valorizzare la memoria dell’impero dovrebbe apprezzare meglio la riscoperta dei Fori come piazze dell’urbe, invece dello stradone che le ha interrate. Forse un pacato dibattito culturale oggi potrebbe elaborare una simbologia condivisa di quel luogo che appartiene a tutti i romani e ai cittadini del mondo. Se ci fosse destra qualcuno interessato ne potremmo riparlare.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Con la stesso spirito vorrei discutere con i conservatori modernisti che vogliono salvaguardare l’assialità come segno moderno. Segnalo il paradosso di un’arteria a sei corsie, larga quanto il Gra, che però non serve più al traffico meccanizzato. E se non svolge più la sua funzione diventa solo un monumento al breve mito dell’automobile. È una sacralizzazione del macchinismo, piuttosto che un esempio della razionalità novecentesca. Forse quel luogo ha da celebrare memorie più durature e molteplici.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Inoltre, la connessione deve ampliarsi all’Appia antica con la costituzione di un sistema archeologico e paesaggistico unitario dal Campidoglio fino ai Castelli. Sarebbe <a href="https://www.quodlibet.it/libro/9788874627769">il più bel parco del mondo</a>, una nuova interpretazione della vocazione cosmopolita di Roma.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questo è stato il passaggio di testimone tra i due grandi sindaci. Argan chiamò la cultura architettonica di quel tempo a immaginare la città del futuro, in un convegno intitolato <a href="https://www.professionearchitetto.it/mostre/notizie/8259/Roma-interrotta"><i>Roma Interrotta</i></a>, perché si basava sull’idea che la carta del Nolli di oltre due secoli prima fosse stata l’ultima opera moderna. Dei progetti presentati dai prestigiosi architetti in quella occasione si è persa la memoria ma la vera risposta alla domanda di Argan venne due anni dopo da Petroselli: la sua proposta sul sistema Fori-Appia è il superamento della Roma Interrotta, è la più ambiziosa idea politica del Novecento romano ed è ancora foriera di una visione per il secolo che viene.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il parco archeologico riguarda non solo la direttrice dei Castelli ma propaga nell’intera area metropolitana un nuovo primato del paesaggio e della storia, che ribalta l’impronta fisica della vecchia capitale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">A distanza di tempo si vede meglio che questa idea è strettamente connessa all’altro capolavoro, il risanamento delle periferie. Come dicevo, le vecchie borgate diventarono quartieri dotati dei servizi. Tuttavia sono rimasti pur sempre insediamenti isolati, abbarbicati a bassa densità sulle consolari e sul Gra, e circondati dall’Agro romano. Se li vediamo da una foto satellitare sembrano inondati dalle aree verdi, le quali, però, non essendo curate accumulano scarti nei margini e diventano occlusioni urbane. Ci vorrebbe un programma borrominiano a grande scala, ex malo bonum, per trarre il bene dal male. La bassa densità è dannosa per i trasporti, ma ha comunque il vantaggio di aprire i quartieri verso la natura, come non accade più nelle metropoli italiane che hanno saturato il territorio.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Occorre quindi <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2020/12/in-senato-la-presentazione-online-del.html">capovolgere la logica territoriale della vecchia capitale</a>. Dalla distopia della frammentazione metropolitana all’utopia della città giardino, che abbiamo riscoperto con il Covid. La Campagna romana non dovrà più essere concepita come un vuoto da riempire col cemento, ma come il pieno di natura e di storia che è ancora in grado di offrire una buona vita ai romani. A partire dalla ricomposizione dei cicli vitali dell’acqua, dell’aria, dell’energia, della terra, del cibo si possono attivare nuovi processi economici, innovazioni tecnologiche, servizi di qualità e la cura del ferro per i trasporti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">A fine Ottocento la cultura europea si interessò all’Agro romano, e chiese ai dirigenti del nuovo Stato che cosa ne avrebbero fatto di quelle paludi malariche descritte dai viaggiatori del Grand Tour. Nel Novecento si è data la risposta peggiore con la disseminazione dei coriandoli edilizi. Nel nuovo secolo la rinascita della Campagna Romana può diventare un caso esemplare della transizione ecologica avviata dall’Europa dopo il Covid.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ecco come i due capisaldi di Petroselli, il risanamento delle periferie e l’idea Fori-Appia, possono riguardare ancora il nostro futuro. Lo dice lui stesso, nel discorso conclusivo alla conferenza urbanistica, con una meditazione storica che riletta oggi presenta una pungente attualità:”.. [Roma], come in tutti i periodi di crisi, si interroga in modo nuovo sul passato, che è un modo di parlare del presente e del futuro, quando [essi] sono incerti”. Sembra la citazione di <a href="https://www.einaudi.it/catalogo-libri/filosofia/filosofia-contemporanea/sul-concetto-di-storia-walter-benjamin-9788806143947/">Walter Benjamin</a> sull’immagine storica che “balena nell’istante del pericolo”. È l’ambizione di ravvivare la memoria come forza di trasformazione della città. L’antico non può essere abbandonato nelle secche dell’antichità, ma va rielaborato nella contemporaneità come pensiero dell’avvenire.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><b>Dedica a Gualtieri</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Concludendo, queste riflessioni sull’eredità del nostro maestro oggi desidero dedicarle a Roberto Gualtieri. Nel commentare i risultati del primo turno ha indicato la vera sfida che si gioca al ballottaggio: se Roma tornerà grande città di rango europeo oppure se ripiegherà nei suoi antichi difetti. Siamo d’accordo con lui e faremo di tutto in questi giorni per la vittoria della nostra alleanza.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Caro Roberto, sai bene che il compito è arduo, però hai intorno a te una leva di ottimi amministratori che sono cresciuti negli ultimi anni, e non ti mancherà mai l’aiuto della nostra generazione più anziana.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per formazione culturale e per esperienza politica conosci il pensiero storico come attività creativa, come politica in lotta con il destino, come coscienza civile della modernità. Sei in grado, quindi, di pensare e agire la capitale nell’unico modo possibile, come opera storica in divenire.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Hai presentato un programma di governo ambizioso e anche realistico. Lo riassumo in modo semplice e impegnativo: aiutare Roma a riscoprire la capacità di stupire se stessa e il mondo.</div></span><span><div style="text-align: justify;"><br /></div></span></div>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-38492573112511730792021-09-13T19:38:00.007+02:002021-12-14T12:15:13.981+01:00La riforma istituzionale per Roma<span style="font-size: medium;"><span style="font-family: arial;"><i>Sono stato consultato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati sulla riforma istituzionale della Capitale. Di seguito potete leggere il testo dell'audizione che si è svolta il 13 maggio del 2021.</i></span><br /><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Onorevoli deputati,</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">è una buona notizia l’avvio della discussione parlamentare sulle istituzioni di Roma Capitale. Affinché sia proficuo il confronto tra le parti politiche è necessario, a mio avviso, il rischiaramento del discorso pubblico sulla riforma della capitale.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Nel corso di un trentennio si sono affastellate argomentazioni eterogenee, alcune fondate e altre meno. Spesso sono state avanzate soluzioni senza chiarire i problemi. Si sono contrapposte questioni di breve periodo e di lunga durata. E non si è mai trovata una sintesi tra la funzione nazionale e la forma territoriale<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote1sym">1</a>.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Se si eliminano i problemi inesistenti e i radicati fraintendimenti il confronto politico diventerà più trasparente per l’opinione pubblica e nel contempo si potrà concentrare intorno alle opzioni realmente differenti, al fine di trovare le necessarie mediazioni.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">In tal senso propongo alcune riduzioni di complessità del dibattito.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La riforma istituzionale deve occuparsi del futuro della capitale, non della gestione ordinaria, alla quale devono adempiere le amministrazioni locali con i poteri e finanziamenti disponibili, come accade per le altre città italiane.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La soluzione migliore consiste nell’istituzione per via costituzionale della Regione Capitale, ma deve essere inserita in una riforma complessiva del sistema regionale italiano.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Nel frattempo si possono attuare e migliorare le leggi vigenti per connettere la funzione della capitale alla riforma dell’assetto metropolitano di Roma.<span><a name='more'></a></span></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><b>1. La retorica dei poteri speciali</b></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Non mancano gli strumenti per la gestione ordinaria della città. Le disfunzioni che sono sotto gli occhi di tutti derivano in gran parte da problemi di efficienza e di efficacia nell’uso delle risorse disponibili. Chi non è in grado di risolverli spesso si giustifica invocando i “poteri speciali”, una retorica tanto efficace sul piano comunicativo quanto vuota di contenuti. Non si è mai capito di quali competenze aggiuntive avrebbe bisogno il Comune. Quando c’è stata l’occasione per definirle in sede legislativa, infatti, si è svelata l’inconsistenza della questione.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Nei primi anni Duemila furono attribuiti al Sindaco funzioni speciali per la gestione del traffico nell’ambito della legislazione sulla Protezione Civile. Dopo gli annunci in pompa magna si è persa la memoria di quelle norme, rivelatesi del tutto inutili rispetto alle funzioni già disponibili nell’amministrazione capitolina.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Più organicamente la legge così detta del “federalismo fiscale”, la n. 42 del 2009, ha indicato nell’articolo 24 una serie di competenze aggiuntive in materie molto ampie come i beni culturali, lo sviluppo economico, i trasporti, l’urbanistica ecc., rinviando la precisa definizione ai decreti legislativi, che furono poi effettivamente approvati (156/2010 e 61/2012). A distanza di un decennio anche quelle norme sono cadute nel dimenticatoio e l’unico effetto pratico è stato il cambio del nome Comune di Roma in Roma Capitale, che ha suscitato soltanto un lavorio di stampa della nuova carta intestata e di verniciatura delle fiancate delle automobili della Polizia Municipale.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Oltre l’inutilità si è rivelata però anche l’incongruenza di quell’approccio legislativo. L’applicazione dell’articolo 24 avrebbe potuto accrescere le competenze del Comune solo togliendole alla Regione e allo Stato. Al di là della praticabilità politica, non appare un’operazione corretta e utile sul piano istituzionale.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Nelle competenze sottratte la Regione dovrebbe scrivere leggi e delibere differenziate tra il capoluogo e il resto del territorio. Ritrovarsi un’istituzione regionale storpia e indebolita, però, sarebbe un danno anche per Roma. Al contrario, le città europee che hanno compiuto i “balzi della rana” nelle traiettorie di sviluppo sono state sostenute da forti e ben strutturate aree regionali, come Barcellona con la Catalogna e Monaco con la Baviera.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Inoltre, l’eventuale sottrazione di competenze allo Stato potrebbe intaccare delicate garanzie di interesse generale, come lo sviluppo della concorrenza, la tutela dei beni culturali, la trasparenza nei procedimenti ecc.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Da tutto ciò deriva che la retorica dei “poteri speciali” è inutile e in parte dannosa.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La funzione di capitale non è riconducibile a competenze esclusive e autoreferenziali, ma si alimenta con le buone relazioni tra lo Stato e la città. Queste possono essere sostenute da strumenti di coordinamento già presenti nella legislazione ordinaria – protocolli di intesa, patti territoriali, accordi di programma – e altri eventualmente determinati in base al comma 6 dell’articolo 24, il quale esplicitamente richiama l’esigenza di adeguati “raccordi istituzionali” tra la capitale e lo Stato.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">L’approccio collaborativo è molto più vantaggioso dei fantomatici poteri speciali, poiché non è limitato ad alcune competenze settoriali ma è in grado di mobilitare tutte le funzioni dello Stato nello sviluppo di politiche urbane condivise con le amministrazioni locali, per esempio: la promozione internazionale, i beni culturali, i trasporti ferroviari, la sicurezza urbana, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, la scienza e la tecnologia, l’apertura delle scuole giorno e sera, ecc.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">L’approccio collaborativo non può essere sancito dalle norme, ma deve essere curato dalle classi politiche nazionali e locali. Ciò comporta innanzitutto l’abbandono dell’atteggiamento rivendicativo molto diffuso nella politica romana dell’ultimo decennio. Anzi, bisogna ricordare anche ai candidati per le prossime elezioni che governare Roma non può mai diventare una rivendicazione municipale, ma è sempre una responsabilità nazionale e internazionale.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Qualsiasi richiesta il Comune avanzi allo Stato deve dimostrarsi valida anche nell’interesse del Paese. Allo stesso modo la politica nazionale deve capire che Roma è una risorsa preziosa per la proiezione dell’Italia nel mondo.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><b>2. La Regione Capitale</b></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">L’obiettivo della riforma riguarda la valorizzazione della funzione di capitale e la sua collocazione nell’ordinamento delle istituzioni locali italiane. La migliore soluzione consiste nell’istituzione della Regione della Capitale, con lo stesso assetto delle altre regioni, senza ricorrere a uno status speciale. Sarebbe il presupposto per ricostruire la responsabilità verso se stessa e verso il Paese.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">È la riforma necessaria per costruire il futuro di Roma, dopo l’esaurimento del vecchio modello otto-novecentesco di capitale. Questo è stato sostenuto da tre grandi rendite che però non avranno più la stessa forza nel secolo che viene: il centralismo statale è insidiato dall’alto, dal basso e di lato, dall’integrazione europea, dal protagonismo regionale e dalle liberalizzazioni dei monopoli pubblici; lo sviluppo della rendita immobiliare nella Campagna romana è divenuto insostenibile sia per l’ambiente sia per gli alti costi dei servizi a rete; la retorica del passato non basta più per il riconoscimento di Roma nell’epoca della globalizzazione.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Di tutto ciò oggi si avvertono gli effetti negativi che affaticano la vita cittadina e impoveriscono il tessuto produttivo. Come accade sempre a conclusione di un ciclo storico, si aprono domande tanto difficili quanto appassionanti: di quale economia vivrà Roma? Quale nuova forma urbana si darà? Come riuscirà a rielaborare la sua storia nella cultura contemporanea?</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Le nuove sfide impongono un ampliamento di orizzonti della capitale. Non regge più il vecchio binomio Nazione-Città, bisogna costruire il futuro nella coppia Mondo-Regione. La sempre latente vocazione cosmopolita deve essere sviluppata mediante nuove relazioni internazionali nella cultura, nell’economia, nella cooperazione euromediterranea. La riconversione ecologica della Campagna romana deve essere mirata alla realizzazione di una struttura regionale di alta qualità produttiva, infrastrutturale e ambientale.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Per realizzare le nuove missioni della Città Mondo e della Città Regione occorrono i poteri regionali, in particolare la competenza legislativa, le funzioni di promozione internazionale e di pianificazione di area vasta.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La Regione Capitale consentirebbe anche una semplificazione dell’assetto istituzionale assorbendo le funzioni della Città Metropolitana. I confini della nuova regione sarebbero presumibilmente più piccoli di quelli attuali e più grandi di quelli della Città Metropolitana, corrispondenti quindi a quelli della Functional Urban Area definita dallo studio Ocse-Eurostat sulla base dei processi territoriali in atto.<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote2sym">2</a></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La definizione dei confini, però, non può essere solo frutto di analisi tecniche e di criteri pianificatori. Alla base di una solida istituzione ci sono sempre ragioni di appartenenza motivate dalle relazioni sociali e dal sentire collettivo, le quali possono essere riconosciute solo dalla partecipazione dei cittadini alla riforma. Tutte le popolazioni del Lazio dovranno essere chiamate tramite referendum comunali, dopo un’adeguata informazione e un débat public<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote3sym">3</a>, a scegliere se aderire alla Regione Capitale oppure se passare alle regioni confinanti.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">A compimento della riforma, la nuova istituzione potrebbe chiamarsi Regione Roma, che è sicuramente il nome più suggestivo rispetto al debole nome Lazio<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote4sym">4</a>. Anche per il piccolo comune della provincia far parte dell’istituzione intitolata alla città eterna sarebbe un vantaggio di visibilità internazionale. E non si perde nulla se l’immaginario di Roma viene rappresentato da un’istituzione di area vasta. Nessuno direbbe che Londra non è rappresentata dalla Greater London e dal suo sindaco.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Nel resto del territorio laziale, però, non è accettabile la formazione di una regione a ciambella, come pure è stato proposto nel dibattito<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote5sym">5</a>. Sarebbe una soluzione ridicola e aumenterebbe il numero delle regioni, che invece andrebbe ridotto. Bisogna porre un freno alla tendenza municipalistica della classe politica romana che rivendica i poteri regionali senza farsi carico dei problemi di assetto del resto della Regione e soprattutto alla scala nazionale. Non si può realizzare la Regione Capitale prescindendo da un ripensamento del modello italiano di regionalismo.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">D’altro canto, tale ripensamento si rende necessario proprio perché è ormai matura la consapevolezza del fallimento di tutti i modelli di regionalismo degli ultimi venti anni: le incongruenze della riforma del Titolo V nel 2001, le promesse mancate del federalismo fiscale, il neocentralismo della revisione costituzionale bocciata dal referendum, il regime differenziato che aggraverebbe le divergenze del sistema di governo, già evidenziate nelle difficoltà di coordinamento delle politiche contro la pandemia.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Rimane aperta la soluzione mai perseguita in passato e l’unica possibile in un Paese segnato da storici squilibri territoriali, quella cioè di un regionalismo cooperativo con lo Stato. Per sedersi intorno al tavolo e collaborare alla definizione delle politiche nazionali può essere di aiuto la riduzione del numero delle regioni. Sarebbe l’occasione per superare l’incredibile dispersione attuale di non poche regioni di piccole dimensioni, paragonabili a quelle dei municipi romani.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Nel nuovo assetto di macroregioni, come sono state proposte nel dibattito scientifico e nei disegni di legge, si avrebbe la possibilità di istituire una Regione più piccola, ma motivata dalla funzione della Capitale.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><b>3. La Città Metropolitana e i Comuni urbani.</b></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La revisione costituzionale richiede tempi lunghi e implica non semplici incognite politiche. Nel frattempo, però, si può approvare per legge ordinaria una riforma non solo compatibile ma propedeutica alla successiva istituzione della Regione Capitale. Francamente non riesco a capire perché si debbano contrapporre i due momenti che invece possono essere pianificati in una visione organica e in un processo graduale di attuazione.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La legge ordinaria non dovrebbe ricominciare daccapo, ma limitarsi a portare a compimento i propositi già formulati nella legislazione vigente. Dopo la dichiarazione costituzionale della capitale contenuta nel Titolo V il Parlamento ha approvato due soluzioni normative – il già richiamato articolo 24 della legge 42/2009 e le disposizioni della legge Delrio 56/2014 – che muovono da approcci molto diversi, ma a ben vedere possono convergere in un esito comune. In un certo senso le norme vigenti disegnano alcuni punti fermi su un foglio bianco. Se li colleghiamo con un tratto di penna viene fuori la figura di un ottimo assetto istituzionale. Vediamo come si può procedere.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Ripeto, non mi convince la logica dei poteri speciali che ispira l’articolo 24. Tuttavia è una norma vigente e sarei ben contento di essere smentito se in futuro si potessero definire competenze aggiuntive conformi alle materie indicate. Comunque, lo stesso articolo, come si è visto, apre anche la possibilità di un approccio diverso: il comma 6, infatti, indica la via molto più concreta della concertazione delle politiche pubbliche tra Stato e città.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Per lo sviluppo della mia proposta, però, è ancora più importante il comma 9, incredibilmente sempre trascurato, che recita: “..dall'istituzione della città metropolitana di Roma capitale, le disposizioni di cui al presente articolo si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale”.<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote6sym">6</a> Alla lettera ciò significa che oggi la funzione di capitale è già collocata nella Città Metropolitana istituita il 1 gennaio 2015. Ad essa, non più al Comune, dovrebbero essere attribuiti i finanziamenti stanziati per la capitale. Inoltre, al sindaco metropolitano e non più a quello cittadino – ruoli diversi pur assegnati oggi alla stessa persona – spetterebbe il compito di interloquire con il Governo e il Parlamento, di coordinare le politiche pubbliche, e perfino di partecipare agli eventi del cerimoniale di Stato.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Il comma 9 assicura la piena convergenza dell’articolo 24 della legge 42/2009 con le norme della legge 56/2014. È il ponte che collega le diverse sponde della legislazione vigente e consente un nuovo cammino della riforma.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La legge Delrio è stata già stata attuata in parte e dovrebbe essere completata, almeno prima di approvarne un’altra.<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote7sym">7</a> Lo Statuto della Città Metropolitana ha scelto a favore dell’elezione diretta degli organi, il Sindaco e il Consiglio metropolitano. È una decisione tanto rilevante da orientare tutti gli adempimenti successivi delle diverse istituzioni.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">In primo luogo, mi permetto ricordare agli onorevoli deputati la necessità che il Parlamento approvi la legge elettorale per le Città Metropolitane, non solo per Roma ovviamente. È curioso questo ritardo, perché ormai in Italia si sfornano a getto continuo leggi elettorali e di solito l’ultima peggiora la precedente. Si potrebbe, quindi, andare a ritroso, ripristinando la vecchia legge provinciale, come propongono gli onorevoli Fassina e Magi. Quella soluzione consente l’elezione del sindaco a doppio turno e il riparto proporzionale degli eletti basato sui collegi, in modo da assicurare un rapporto ravvicinato con gli elettori in piccoli ambiti territoriali, evitando le preferenze che sarebbero una sciagura in una circoscrizione elettorale tanto vasta come quella della Città Metropolitana romana.<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote8sym">8</a></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Sul piano amministrativo la decisione assunta dallo Statuto apre un corposo processo di riforma. Purtroppo nessuna iniziativa è stata presa dal 2015 a oggi.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">I Comuni della provincia dovrebbero procedere agli accorpamenti per aree omogenee, superando l’estrema frammentazione attuale di 121 amministrazioni, con evidenti miglioramenti nell’efficacia e nell’efficienza delle risorse pubbliche.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Il Comune di Roma è obbligato a effettuare “la ripartizione del proprio territorio in zone dotate di autonomia amministrativa”. Non vi è alcun dubbio che esse debbano corrispondere ai Municipi, anche mediante eventuali revisioni dei confini.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Dunque, spetta al sindaco cittadino attuare gli indirizzi del sindaco metropolitano e non dovrebbe essere difficile trattandosi della stessa persona. In base alle norme vigenti si dovrebbero potenziare le competenze dei Municipi fino quasi a raggiungere lo status di Comuni urbani. Non si tratta di proseguire sulla vecchia strada del decentramento, ma di costituire nuovi livelli di governo dotati, come dice la legge, di “autonomia amministrativa”.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Il percorso della riforma istituzionale, quindi, è già avviato, e non vale la pena cambiare di nuovo la direzione di marcia, anzi è necessario portarlo a compimento con sollecitudine. Ciò richiede però di trarre tutte le conseguenze del nuovo assetto, purtroppo non adeguatamente evidenziate nel dibattito politico e scientifico.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La prima conseguenza è il forte ridimensionamento dell’apparato centrale del Comune in seguito alla trasformazione dei Municipi verso i Comuni urbani. A conclusione del processo rimarrebbero a livello comunale solo le funzioni della pianificazione e dei grandi servizi, le quali però coincidono in gran parte con le competenze che assumerà una Città Metropolitana pienamente funzionante e legittimata dall’elezione diretta. Mantenere questo residuo della vecchia amministrazione comunale potrebbe causare sprechi, sovrapposizioni e interferenze con le nuove amministrazioni valorizzate dalla riforma, sia quella metropolitana sia quelle di prossimità.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La seconda conseguenza è il dualismo politico-amministrativo che in seguito all’elezione diretta si potrebbe creare tra la Città Metropolitana e il Comune. In molte materie nascerebbero contenziosi di competenze e interdizioni delle decisioni. Sul piano politico il sindaco metropolitano e quello cittadino - a quel punto ruoli attribuiti a persone diverse - inevitabilmente tenderebbero a conquistare spazi di potere e di visibilità, come è già evidente oggi nei conflitti permanenti tra la Pisana e il Campidoglio. Roma può vivere con due papi, ma non con due sindaci.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Per evitare questi effetti negativi si deve completare la legge Delrio, realizzando un passo successivo perfettamente coerente con la sua logica istituzionale, ma nascosto dalle incertezze politiche che ne condizionarono l’approvazione.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">L’attuazione coerente della legge 56/2014 implica l’eliminazione del Comune di Roma. Solo togliendo questo macigno si apre la via istituzionale per la crescita dei Comuni Urbani e il pieno sviluppo della Città Metropolitana.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">D’altro canto non si perde nulla, poiché la vecchia amministrazione comunale è ormai fuori scala rispetto ai processi di cambiamento e alle esigenze della popolazione. È troppo grande e nel contempo troppo piccola. Nonostante l’ampiezza del suo territorio, è piccola rispetto alle trasformazioni demografiche, economiche, logistiche e ambientali che ormai investono gran parte dell’area regionale. Eppure è troppo grande rispetto alla gestione amministrativa della vita dei quartieri e dei servizi alla persona.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">In seguito all’eliminazione del Comune tutte le tessere trovano posto nel puzzle istituzionale.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">I Comuni Urbani migliorano il governo di prossimità e il rapporto con i cittadini.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">I Comuni Provinciali migliorano la qualità amministrativa tramite gli accorpamenti per aree omogenee.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La Città Metropolitana organizza il governo strategico dell’area vasta e svolge la funzione di capitale secondo il comma 9 dell’articolo 24 della legge 42/2009.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Essa si scioglierà a sua volta nella Regione Roma quando sarà approvata anche la legge costituzionale, in perfetta continuità tra i due tempi della riforma della capitale.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><b>4. Non mancano i soldi per la gestione ordinaria, sono crollati gli investimenti</b></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Il crollo degli investimenti pubblici è la causa principale della crisi della città: la mancanza di futuro, le occasioni perdute, il ritardo tecnologico, il collasso delle manutenzioni, la fragilità del territorio, gli autobus in fiamme e i rifiuti per strada, ecc.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Si tratta di una tendenza italiana – secondo alcuni osservatori il principale fattore del declino del Paese<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote9sym">9</a> - ma è molto più intensa a Roma che in altre città. Ed è frutto di un’incredibile collaborazione tra le amministrazioni statali e locali, che sembrano andare d’accordo solo per spingere in basso la capitale. Il fare e il non fare, la volontà e l’inconsapevolezza, i programmi e le emergenze, tutto contribuisce a un processo univoco e inesorabile che toglie risorse agli investimenti e aumenta la spesa corrente.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Per farsene un’idea basta ricordare gli esempi dei due fondi statali per la funzione di capitale, uno per gli investimenti e l’altro per la spesa corrente.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Il primo fu istituito dalla legge 396 del 1990, una legge organica che scaturì da un costruttivo confronto tra i partiti durato per tutti gli anni ottanta e venne approvata in un impegnato dibattito parlamentare con la partecipazione dei massimi esponenti politici e di prestigiosi intellettuali come Antonio Cederna.<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote10sym">10</a> Essa ha portato buoni frutti alla città sostenendo la realizzazione di opere importanti come l’Auditorium, il tram 8 e la ferrovia S. Pietro-Cesano, con una media di circa 200 milioni di investimenti l’anno.<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote11sym">11</a> È stata però cancellata nel 2012, quasi di sottecchi, inserendo un comma scellerato, n. 6, nel decreto legislativo n. 61 in attuazione dell’articolo 24 della legge 42/2009. Per inciso, basta il confronto tra le modalità di approvazione e quelle di abrogazione della legge per riassumere la decadenza della legislazione negli ultimi trenta anni. La decisione non suscitò alcuna discussione pubblica, anzi ottenne incredibilmente il consenso della giunta comunale di allora e nessuna delle successive amministrazioni ne ha chiesto il ripristino.<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote12sym">12</a></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Una sorte opposta, nello stesso periodo, ha avuto il fondo statale per le spese correnti della capitale (Polizia Municipale, nettezza urbana, illuminazione pubblica, acqua, ecc.): nel 1990 era di soli 30 milioni ma successivamente è arrivato a 540 milioni, una somma ritenuta sufficiente dalle stime degli uffici comunali.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Alla funzione di capitale, quindi, lo Stato non riconosce più un finanziamento per opere strategiche, ma non lesina sul rimborso degli straordinari dei vigili urbani. È un paradosso rispetto alle altre capitali europee sostenute, invece, da grandi programmi infrastrutturali di interesse nazionale.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">È sintomatico che negli stessi anni il fondo investimenti sia stato azzerato e quello per la spesa corrente sia aumentato di quasi venti volte. La medesima tendenza, infatti, ha segnato tutte le altre politiche locali e nazionali, come si può verificare con alcuni esempi.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Per quanto riguarda la spesa corrente le risorse disponibili nel bilancio comunale sono compatibili con la gestione ordinaria della città. Nonostante il lamento di diversi politici romani i contributi ordinari dello Stato sono più alti rispetto a tutte le altre città italiane. Il livello pro capite dei trasferimenti statali e regionali è di 334 euro, a Milano 329, Torino 232, Napoli 172, Bologna 149, Firenze 116.<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote13sym">13</a></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Le aliquote fiscali e alcune tariffe, per esempio quella dei rifiuti, sono ai livelli massimi nazionali.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">D’altro canto, occorre ricordare che Roma è svantaggiata dai criteri di riparto dei trasferimenti che fanno in gran parte riferimento al numero degli abitanti, ma non alla superficie urbanizzata, la quale è tanto estesa da contenere le prime nove grandi città italiane. Questa enorme dispersione territoriale determina alti costi di gestione in tutti i servizi a rete - dai trasporti, ai rifiuti, alla manutenzione stradale, ecc. - non adeguatamente considerati nei fabbisogni standard definiti a livello nazionale. È però una responsabilità storica tutta in capo alle classi dirigenti romane aver esteso in modo abnorme per oltre un secolo i tessuti urbani favorendo l’appropriazione privata della rendita immobiliare a discapito dei beni pubblici. E ciò dovrebbe dimostrare almeno la necessità di fermare l’espansione edilizia nella campagna e recuperare la città esistente.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Comunque, le risorse attualmente disponibili per la spesa corrente non sono neppure pienamente utilizzate, a causa di una crescente inadeguatezza attuativa della macchina comunale. L’ultimo bilancio consuntivo del 2018 ha fatto emergere la considerevole cifra di 545 milioni non spesi: è come se non fosse stato utilizzato per un anno il contributo dello Stato al funzionamento della capitale.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Ancora più grave, però, è la scarsa efficienza e la debole efficacia della spesa: ai cittadini sono erogati servizi di gran lunga più poveri in quantità e qualità rispetto alle risorse impegnate. Un caso clamoroso si trova nella principale voce di spesa: il contratto di servizio per il trasporto è finanziato dal Comune per produrre una percorrenza totale di autobus di 101 milioni di Km in un anno, ma l’Atac ne offre ai cittadini solo 80 milioni, e con la ben nota bassa qualità .</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Per quanto riguarda gli investimenti comunali c’è stata una grave penalizzazione nel 2008 in seguito al parziale commissariamento del bilancio. La presa in carico da parte dello Stato del ripiano dei vecchi mutui ha ampliato i margini di utilizzazione della spesa corrente su obiettivi non sempre commendevoli. Quando questa si espande è sempre difficile tornare indietro. Infatti, lo squilibrio non è stato riassorbito negli anni successivi e si è creata un’anomalia strutturale nella dotazione delle risorse in conto capitale rispetto alle altre città. La quota degli investimenti rispetto alle spese totali a Roma è solo il 4%, mentre a Napoli il 20%, Firenze 17%, Torino 14%, Milano 12%, Bologna 9%.<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote14sym">14</a></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Nonostante la bassa dotazione, anche in questo settore del bilancio pesa negativamente la cronica incapacità della macchina amministrativa di utilizzare le risorse disponibili: nella contabilità del 2019 risultano ben 824 milioni che non hanno trovato attuazione in opere pubbliche.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Inoltre, c’è la difficoltà del Comune nell’utilizzare i finanziamenti disponibili dalla legislazione statale. Emblematico è il caso dei trasporti su ferro. Da tre anni lo stanziamento di 425 milioni per la manutenzione straordinaria delle metro A e B non è stato ancora messo in opera, nonostante le quotidiane chiusure di stazioni e scale mobili. Nei bandi di finanziamento statale per la cura del ferro l’amministrazione comunale non ha presentato nuovi progetti di metropolitane, a differenza di altre città, e di conseguenza ha ottenuto solo il 12% delle risorse, invece Torino il 22% e Milano il 43%.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Infine, nel decennio 2009-18 anche gli investimenti diretti dello Stato e delle grandi aziende partecipate sono crollati, circa dieci volte, da 488 a 45 euro/abitante, raggiungendo una somma totale di 2493 euro/abitante, circa tre volte più bassa dei 7175 di Milano.<a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote15sym">15</a> La diminuzione dell’investimento statale è stata più forte a Roma che nel resto del Paese, come è evidente per esempio nella politica della conoscenza: sono stati finanziati progetti strategici nelle grandi città italiane – Human Technopole a Milano, IIT a Genova, Istituto per l’Intelligenza artificiale a Torino, Scuola Normale a Napoli – ma nessuna iniziativa ha riguardato la capitale, nonostante le sue rilevanti risorse scientifiche e tecnologiche.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">Da tutto ciò si evince la necessità di superare lo squilibrio tra investimenti e spesa corrente.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La città riceve dallo Stato cospicui trasferimenti per la gestione ordinaria, a cominciare proprio dal fondo dedicato alla funzione di capitale. Spetta alle amministrazioni locali utilizzare con efficienza ed efficacia queste risorse per migliorare i servizi urbani, senza chiedere trattamenti di favore rispetto agli altri comuni italiani.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">La riforma istituzionale, invece, deve promuovere un impegno coordinato delle amministrazioni locali e statali per la capitale del futuro. In tale direzione il ripristino del fondo di Roma Capitale della legge 396/90 può essere l’inizio di una nuova concertazione tra tutte le istituzioni per un grande programma di investimenti. I finanziamenti del programma europeo Next Generation saranno il primo banco di prova. Per non perdere l’occasione storica, però, occorre al più presto rafforzare e qualificare tutte le strutture tecniche preposte all’attuazione delle opere.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">In conclusione mi permetto di riassumere le diverse proposte in una sorta di agenda della legislazione per Roma.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">1. Legge costituzionale per l’istituzione della Regione Capitale nel contesto di una riforma nazionale del regionalismo.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">2. Legge elettorale per le Città Metropolitane, non solo per Roma.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">3. Eliminazione del Comune di Roma tramite un processo graduale di crescita dei Comuni Urbani e della Città Metropolitana, come attuazione conseguente della legge 56/2014.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">4. Rielaborazione e arricchimento delle parti migliori dell’articolo 24 della legge 42/2009: i “raccordi istituzionali” adeguati allo sviluppo di politiche di concertazione tra lo Stato e la Capitale previsti al comma 6; l’attribuzione della funzione di Capitale alla Città Metropolitana prevista al comma 9.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;">5. Ripristino del fondo di finanziamento della legge 396/1990 come avvio di un più generale rilancio degli investimenti per la capitale.</div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><b>NOTE</b></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote1anc">1</a>Per un approfondimento delle analisi e delle proposte rinvio al libro appena pubblicato per Donzelli: Roma come se, pp. 215-60</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote2anc">2</a> Istat, Forme, livelli e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia, appendice 1, 2017.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote3anc">3</a> Introdotto in Francia nel 1996 con la legge Barnier e ora recepito anche in Italia dal Codice degli appalti e regolamentato con il dpcm del 10 maggio 2018, n. 76, ma limitatamente a opere pubbliche puntuali e non per le riforme istituzionali.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote4anc">4</a> «[…] non esiste qualcuno il quale si presenti ad altri dichiarandosi laziale, mentre invece c’è chi si dichiara siciliano, o romagnolo, trentino o toscano: vale solo nel gergo degli appassionati del calcio la qualifica “laziale” […]. E lì ci si ferma»: A. Caracciolo, La regione storica e reale cit., in A. Caracciolo (a cura di), Il Lazio, Einaudi, 1991, p. 6.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote5anc">5</a> Fondazione Luigi Einaudi, Lazio senza Roma, giugno 2000.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote6anc">6</a>Il comma 9 ha avuto una sorte travagliata: è stato cancellato dall’articolo 18 della legge 95 del 2012 che abrogò illegittimamente le provincie, un testo scritto con palese ignoranza giuridica proprio dal “governo tecnico” di Monti. L’illegittimità fu ovviamente dichiarata dalla Corte con la sentenza n. 220 del 2013. Secondo un orientamento consolidato della stessa Corte l’eliminazione di un’abrogazione fa rivivere la norma originaria. Successivamente sono intervenuti sulla materia i commi 101-3 della legge 56/2014, anch’essi piuttosto confusi, ma non in conflitto esplicito con l’attribuzione della funzione capitale alla Città Metropolitana. A mio avviso, quindi, si deve ritenere vigente il comma 9, e in ogni caso si potrebbe ripristinarne e arricchirne il contenuto nella nuova legge qui in discussione.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote7anc">7</a>Purtroppo si è affermata la tendenza ad approvare sempre nuove leggi, senza neppure attendere che le precedenti siano applicate e soprattutto valutate negli esiti positivi e negativi. In tanti campi della legislazione, a cominciare dagli Enti Locali, ci vorrebbe una moratoria della legislazione, conservando per un po’ di tempo le norme esistenti anche se non appaiono perfette, consentendo però alle amministrazioni di adattarsi e semmai correggere le disfunzioni in via operativa.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote8anc">8</a> F. Marchianò, La competizione elettorale intrapartitica nelle comunali di Roma. Voto di preferenza e micropersonalizzazione, comunicazione al xxix convegno della Società italiana di scienza politica, Arcavacata di Rende, 10-12 settembre 2015.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote9anc">9</a>P. Ciocca, Tornare alla crescita, Donzelli, 2018.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote10anc">10</a> La legge 396/90 aveva disposto una serie di interventi sul tessuto urbano ed extra-urbano della città di Roma, al fine di adeguarne l'assetto e le strutture all'assolvimento del ruolo di capitale della Repubblica. In particolare: la conservazione, la valorizzazione e il restauro del patrimonio artistico-monumentale; l'esecuzione di alcuni interventi di risanamento ambientale, di recupero urbano e di riqualificazione delle periferie, l'adeguamento dei servizi di trasporto e delle infrastrutture per la mobilità urbana e metropolitana anche mediante la definizione di un sistema di raccordi intermodali; la qualificazione delle università, dei centri di studio e di ricerca nonché la creazione di nuove strutture; la costituzione di un polo europeo dell'industria dello spettacolo e dell'informazione e la realizzazione di un sistema congressuale-espositivo; l'adeguata sistemazione delle istituzioni internazionali operanti in Italia e aventi sede nella capitale; nonché disposizioni in relazione alle espropriazioni (art. 7).</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote11anc">11</a> Il bilancio delle attività promosse dalla legge si trova nella Relazione trasmessa al Parlamento il 15 luglio 2002, Doc.LXXXIV, n. 1 - http://leg14.camera.it/_dati/leg14/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/084/001/pdfel.htm</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote12anc">12</a>Oggi sarebbe impensabile una legge organica per Roma Capitale come la 396/1990, priva di rinvii a decreti legislativi, elaborata a lungo, alimentata da opinioni diverse, proiettata al futuro. Tutte le norme sulla capitale approvate negli anni Duemila sono contenute in singoli articoli di testi più generali, non più in un provvedimento interamente dedicato alla questione. La legislazione è ormai ridotta a contenitori omnibus di norme frammentate, eterogenee e improvvisate, che infatti vengono modificate dopo pochi mesi. Questa pioggia incessante di piccole gocce normative è la causa principale del collasso delle amministrazioni nazionali e locali. Eppure non viene mai messa in discussione. Per l’approfondimento del problema rinvio al mio saggio: Dal troppo al niente della mediazione politica, in “Costituzionalismo.it”, n. 2/2017.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote13anc">13</a> Addirittura il vantaggio della capitale è maggiore di come appare in questi numeri se si considerano due anomalie: a) la Regione Lazio finanzia i trasporti romani molto meno rispetto a quanto facciano le altre regioni con i rispettivi capoluoghi. Ciò significa che nel valore totale di 334 euro/abitante il contributo dello Stato è relativamente ancora più alto; b) l'amministrazione comunale riceve, tramite la gestione commissariale dei vecchi mutui, un finanziamento aggiuntivo di circa 300 milioni, che non appare nel dato pro capite di 334 euro. Nel confronto con le altre città, tuttavia, gli alti livelli di trasferimenti vengono in parte compensati nel totale delle entrate da un basso livello di risorse autonome, a causa della vasta evasione delle tariffe, delle sanzioni amministrative, dei tributi e dei proventi patrimoniali.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote14anc">14</a>M. Causi, Il bilancio del Comune di Roma e la città, pubblicato online dall’Associazione Roma Ricerca Roma.</div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-family: verdana; text-align: justify;"><a href="https://www.blogger.com/#sdfootnote15anc">15</a>A. Bassi, Investimenti pubblici: Milano riceve più risorse di Roma, in “Il Messaggero” del 17 novembre 2019.</div></span><div id="sdfootnote15">
</div>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-635504751239840512021-09-01T17:30:00.008+02:002022-09-21T10:45:41.104+02:00Ricordando Nicolini a villa Ada<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;"><i>Ho partecipato al dibattito in ricordo di Nicolini il 25 luglio a villa Ada: <a href="https://villaada.org/event/la-bella-estate-di-roma/">La Bella Estate di Roma. Le politiche culturali prima e dopo l'estate romana di Renato Nicolini. quali visioni possibili?</a></i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;"><i>Di seguito potete leggere il testo del mio intervento, che poi è stato pubblicato come introduzione al bel libro curato da <a href="https://www.edizioniefesto.it/collane/prima-repubblica/memorie/506-renato-nicolini-la-gioiosa-anomalia">Marco Testoni, Renato Nicolini. La gioiosa anomalia, Edizioni Efesto</a>.</i></span></p><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Quando mi capita di ricordare Renato Nicolini sono combattuto tra due sentimenti divergenti, di dolore e di speranza.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Di dolore perché mi manca il colloquio con lui; ho il rimpianto di non aver passato più tempo insieme negli ultimi anni. Ma il dolore più intenso è in un certo senso collettivo e lo esprimo a nome della nostra generazione, anche se non sono autorizzato, e forse molti miei coetanei non sono neppure d’accordo. Per la nostra generazione intendo i dirigenti del Pci del tempo. Noi non lo abbiamo compreso e non lo abbiamo sostenuto come avremmo dovuto. E lui ne ha sempre sofferto, pur senza darlo a vedere. Non a caso il suo ultimo articolo, scritto un mese prima della morte, è una dura critica rivolta alla sua, alla nostra, generazione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’altro sentimento, la speranza, mi prende quando incontro giovani che comprendono Nicolini meglio di noi, pur non avendolo conosciuto di persona, e soprattutto attualizzano la sua opera, anche inconsapevolmente, e la rendono generativa di altre opere.<span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per questo è interessante parlarne qui stasera con cari amici che sono più giovani di me, con Stefano Simoncini, con Camilla De Boni e con Christian Raimo, che nel suo libro <a href="https://www.libraccio.it/libro/9788832963939/christian-raimo/roma-non-e-eterna-vita-morte-e-bellezza-di-una-citta.html">Roma non è eterna</a> ha dedicato uno splendido capitolo a Renato, indicando ben 14 cose che ci mancano di lui. E ciascuno di noi potrebbe aggiungerne altre, in una sorta di gioco della memoria.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Che cosa ci manca di lui? A chi manca? Perché ci manca? Forse perché è stato il più grande politico romano del secondo Novecento.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La grandezza di un politico consiste nell’anticipare i processi storici e aprire nuove prospettive. Sappiamo tutto dei piccoli politici di oggi che non sono niente di diverso da quello che appaiono. Dei grandi politici, invece, la comprensione è lenta, difficile e soprattutto postuma.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’opera nicoliniana va collocata in quella faglia storica tra la fine dei Trenta Gloriosi e l’inizio del ciclo reaganiano, la cui scossa tellurica ha provocato effetti devastanti che durano ancora oggi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tutto cambia in quegli anni, soprattutto il rapporto tra Politica e Cultura. Le giunte di sinistra erano il frutto di un’alleanza tra il movimento di emancipazione delle borgate e i fermenti culturali del dopoguerra. Era stata la grande stagione che chiamavamo Intellettuali e Popolo, ma finisce proprio in quella faglia storica. Nicolini è l’unico politico in grado di comprendere che non ci saranno quel Popolo e quegli Intellettuali. È l’unico ad indicare una via d’uscita originale e appunto incompresa. Ho un ricordo amaro delle dure reprimende che gli rivolgevano gli intellettuali organici nelle riunioni al chiuso di via dei Frentani o di Botteghe Oscure.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Immaginate se alla morte di Petroselli fosse diventato sindaco Nicolini, come qualcuno propose timidamente nelle segrete stanze; forse non era possibile per il Pci prendere tale decisione, ma certamente avrebbe avuto effetti imprevedibili.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quel Popolo non c’è già più alla fine degli anni settanta: i legami sociali della periferia cominciano a frantumarsi, nuove eterogeneità sociali sono innescate dai processi sociali postfordisti, uno spaesamento segna la vita metropolitana.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L'<a href="https://www.quodlibet.it/libro/9788822900418">Estate Romana</a> risponde a queste incipienti paure sociali, più che alla paura del terrorismo come pure ha raccontato la vulgata. La piazza nicoliniana, per un breve momento, ricompone i legami che si vanno sciogliendo nella società. Sotto la volta della basilica di Massenzio, prima dedicata ai concerti per l’élite, seduti sulle panche si sentono popolo, per l’ultima volta, lavoratori e perdigiorno, intellettuali e fagottari, famiglie di borgata e indiani metropolitani, anziani e giovani. Dopo Nicolini, per mezzo secolo nessun politico è più riuscito a ricomporre l’eterogeneità sociale. E oggi ci provano solo i demagoghi, i ruspisti, i rottamatori e i comici invecchiati che non fanno più ridere.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In quella breve ricomposizione è protagonista il popolo di Massenzio. Il successo dell’Estate Romana, infatti, è merito non solo dell’Assessore e della sua fantastica squadra ma anche della complice risposta popolare, del modo peculiare dei romani di vivere quegli eventi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il capolavoro consiste nel mettere in risonanza le avanguardie culturali degli anni settanta con l’umanità romana, come estremo tentativo di rielaborare in chiave post-novecentesca il rapporto tra politica e cultura.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dobbiamo ribellarci allora alla definizione di “effimero”, un termine divulgato dai suoi avversari. Più appropriata, invece, è l’espressione cara a Renato di Meraviglioso urbano, inteso come esercizio popolare dello stupore. Il circo a piazza Farnese, il teatro sperimentale a via Sabotino, i poeti a Castelporziano, le installazioni della Transavanguardia accanto alle Mura Aureliane, la festa al Traforo dove finisce l’anno vecchio e comincia quello nuovo, sono tutte esperienze ludiche dello spazio pubblico che suscitano nuovi immaginari urbani. L’ironia delle installazioni contribuisce a scardinare la rappresentazione urbana ancora ingabbiata nelle rigidità del moderno. I cittadini sono coinvolti nel gioco di immaginazione di una città altra.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Proprio in quegli anni Henri Lefebvre aveva teorizzato il rapporto tra il diritto alla città e le esperienze ludiche dello spazio pubblico, ma quel nesso trova una sperimentazione originale solo a Roma, che in quegli anni si afferma come una capitale europea dell’avanguardia culturale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dopo Nicolini la politica ha rinunciato a coltivare l’immaginazione, anzi ultimamente ha delegato a occuparsene le grandi piattaforme digitali, da Google, ad Amazon, Airbnb ecc. Sono ormai i signori dei bit a governare le nostre emozioni.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Però qui si affaccia l’altro sentimento che dicevo all’inizio, la speranza cioè nel vedere rinascere l’immaginario urbano dal basso. C’è un fermento di esperienze culturali spontanee ma anche progettuali, fragili ma anche dirompenti, frammentate ma anche propense a coalizzarsi. Sono tutte espressioni postume dell’ironia nicoliniana, inaspettati modi d’uso della città che immaginano nuovi luoghi urbani facendosi beffe delle funzioni svolte in precedenza da quegli stessi spazi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’ironia è oggi la lingua comune delle migliori esperienze sociali e culturali.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">C’è ironia nella street-art che colora i palazzi grigi della periferia. È un’opera essenzialmente nicoliniana l’affresco di Kentridge che estrae dalle muffe dei muraglioni dei Lungotevere le immagini auliche dei <a href="https://artepiu.info/kentridge-murales-roma-tevere/">Trionfi e Lamenti</a>.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">C’è ironia nel Museo dell’Altro e dell’Altrove che colloca l’arte in una vecchia fabbrica di prosciutti sulla Collatina.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">C’è ironia nei coworking che producono l’immateriale nelle vecchie officine dove di batteva il ferro.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">C’è ironia nel prendersi cura dell’ameno laghetto sgorgato dalla rottura di falda provocata da una fallita speculazione nella fabbrica inquinata della Snia.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">C’è ironia nell’associazione Nonna Roma che salta la generazione di Mamma Roma e porta da mangiare agli affamati, come presupposto di un ripensamento del Welfare in chiave mutualistica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Se vi pare pertinente questo gioco potremmo continuare l’elenco, utilizzando la <a href="https://www.artemagazine.it/mostre/item/13446-a-villa-ada-un-esposizione-interattiva-rende-omaggio-a-renato-nicolini-l-assessore-alla-cultura-che-invento-l-estate-romana">piattaforma dell'Estate Romana</a> predisposta da De Boni e Simoncini, in modo che ciascuno possa aggiungere altri esempi di ironia nicoliniana attivi in città. E poi si potrebbe trarne una sintesi; ci vorrebbe una sorte di Manifesto dell’ironia romana. Sarebbe l’occasione per ricominciare a immaginare la capitale. Bisogna ingaggiare una lotta contro la dittatura del presente.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Qui è la vera differenza con mezzo secolo fa. L’ironia che veniva dall’alto con Nicolini ora riemerge dal basso. Al contrario, oggi la classe dirigente non solo non sa realizzare ma neppure immaginare il cambiamento della città. E forse proprio questa sterilità le procura un malessere psichico, una sorta di invidia inconsapevole che si palesa nella repressione di tutte le esperienze di creatività sociale. Dieci anni fa il bellissino tetro Valle fu sgomberato, mettendo fine a una suggestiva sperimentazione, con la scusa della prossima ristrutturazione, ma è rimasto con le porte sbarrate. Sorte analoga è toccata a tante altre realtà culturali, come il cinema Palazzo, il centro Lucha y Siesta, la più innovativa esperienza femminista contro la violenza maschile. Mancano sempre più gli spazi per la produzione culturale, proprio mentre rimangono inutilizzati tanti immobili pubblici. E l’invidia dall’alto si manifesta anche nel demenziale apparato normativo che soffoca ormai quasi tutti gli spettacoli dal vivo. Se qualcuno volesse replicare le manifestazioni dell’Estate Romana arriverebbero i carabinieri, poiché sarebbero tutte illegali.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quali politiche culturali sono possibili oggi, ci chiede il titolo del nostro dibattito. Se dobbiamo rispondere pensando a Nicolini ci accorgiamo subito che il titolo è andato troppo avanti, sono necessari tre passi indietro, alla ricerca dei presupposti ineludibili.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">1. Non ci saranno vere politiche culturali se non si rigenera una relazione feconda tra Politica e Cultura. E siccome tale rigenerazione non può avvenire dall’alto, dalla Politica, per come è ridotta oggi, è la Cultura che deve assumersi il compito. Non per un ritorno nostalgico all’intellettuale engagé, ma più intrinsecamente come arte, come estetica che mettendo in forma il tempo e la vita esprime già una sua politicità, tanto ineffabile quanto cogente. Renato non è stato solo un formidabile Assessore alle politiche culturali, ma l’inventore di un’estetica che mette in forma la politica della città.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">2. Per le vere politiche culturali non bastano gli innovatori, abbiamo bisogno di avanguardie. Non sembra ma c’è una differenza: gli innovatori godono del consenso che cresce insieme alle loro realizzazioni; al contrario le avanguardie procedono per rotture del senso comune, per ribaltamento dei canoni, per diaspore nell’organizzazione culturale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Occorre rompere la cappa di conformismo e riscoprire la dimensione conflittuale delle produzioni culturali. La sinistra sembra averlo domenticato, mentre lo sapeva bene la Destra Storica di Quintino Sella quando immaginava Roma come capitale del “cozzo delle idee”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Oggi si rischia di fare il santino di Nicolini, poiché lo celebrano anche quelli che lo hanno duramente avversato. Non dimentichiamo che il nostro amico è sempre stato una pietra di inciampo, è rimasto fino alla fine in sintonia con le avanguardie culturali del suo tempo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">3. Le politiche culturali rischiano di disperdersi nel progettificio, in una sequela di bandi che non sedimentano né stili né conoscenze, in un bricolage urbano che non suscita alcuna immaginazione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Al contrario l’immaginario romano è diventato folgorante quando la cultura ha incontrato il sentire popolare, come è accaduto con l’Estate Romana e in generale con il cinema del dopoguerra.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ecco la sfida per il futuro. Solo un nuovo riconoscimento tra le avanguardie culturali del nostro tempo e il carattere di lunga durata dell'<a href="https://waltertocci.blogspot.com/2021/07/roma-citta-eccedente.html">eccedenza dell'umanità romana</a> potrà sprigionare un’energia di trasformazione della capitale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sapranno attivarla i giovani eredi di Nicolini, anche inconsapevolmente. Questa è la speranza che volevo condividere con voi qui a Villa Ada.</div></span><p class="western" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;">
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<p align="left" class="western" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
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</p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-39151654427441959222021-07-20T18:24:00.001+02:002021-07-20T18:24:53.864+02:00Roma, città eccedente<div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: arial;">Ho avuto un bel confronto sul libro <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2021/01/una-sintesi-di-roma-come-se.html">Roma come se</a> con la redazione di DINAMOpress. Il dialogo è stato <a href="https://www.dinamopress.it/news/roma-citta-eccedente-intervista-a-walter-tocci/">pubblicato sulla rivista il 14 giugno 2021</a> e potete leggerlo di seguito. Le domande sono in corsivo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><i>1. Negli anni Cinquanta, la sinistra romana (nonostante il dissenso più o meno esplicito delle segreterie nazionali) declina creativamente i riferimenti teorici marxisti, adattandoli alla situazione concreta di una città in mano alla rendita fondiaria, individuando nel soggetto proletario delle borgate l'equivalente dell'operaio industriale nelle città del nord. Un investimento politico, sociale e culturale (spesso di vera e propria costruzione mitopoietica) che definisce la scena e gli attori dello scontro di classe fino alla soglia degli anni Ottanta, quando le trasformazioni urbane, economiche e demografiche cambiano definitivamente il campo di gioco. Quelle stesse trasformazioni che oggi sembrano confermare l'egemonia della rendita (non solo immobiliare ma anche finanziaria) come un blocco di potere al centro del governo della città.</i></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><i><br /></i></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><i>Oggi le vecchie rendite (Stato, speculazione edilizia, patrimonio simbolico) si sono esaurite e purtroppo anche la capacità contestativa della sinistra si è ridotta. Quali sono, oggi, i soggetti (possibili) della trasformazione nella città-regione post coloniale e se (e come) definiscono un nuovo statuto della partecipazione politica?</i></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Avete ragione, il movimento popolare delle borgate era ispirato da riferimenti marxisti applicati creativamente alla questione urbana. Però si potrebbe utilizzare anche la chiave interpretativa a voi cara della “potentia” spinoziana, come groviglio di bisogni e aspettative che resiste al potere e genera nuove passioni. Ho avuto il privilegio di conoscere quella stagione di lotte, seppure nella fase declinante degli anni settanta, e conservo un ricordo vivissimo di quella energia politica che si innalzava sopra la miseria delle borgate, di quella emancipazione che immaginava il futuro pur nell’indigenza quotidiana, di quei diritti conquistati camminando nel fango e nella polvere. Era un movimento che spostava le montagne: a Roma non c’è mai stata, né prima né dopo, una simile potenza di trasformazione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span><a name='more'></a></span><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">È scaturita dall’incontro tra la grande politica del breve Novecento e l’eccedenza dell’umanità romana di più lunga durata. L’eccedenza è un’energia che trabocca qualsiasi contenitore normativo, è l’eccezione che cerca un’adesione immediata alla vita, è una manifestazione per eccesso del belliano “volgo spropositato”. Non va idealizzata, è l’humus della solidarietà ma anche dell’appropriazione, della generatività ma anche della dissipazione. Che gli esiti opposti appartengano allo stesso ceppo antropologico riescono a spiegarlo solo il cinema e la letteratura, valorizzando la spiccata narratività del paesaggio umano e fisico di Roma.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Da quasi mezzo secolo, però, con il venir meno della grande politica questa eccedenza ha perso potere e si è dispersa, si è frantumata. È diventata porosa, e di conseguenza assorbe come una spugna le tendenze dominanti, ma nel contempo dai suoi pori risale lo scontento che pervade il discorso pubblico e plebeizza perfino gli strati borghesi, come dimostra il successo del neoromanesco nei media e nel marketing.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Nella mancanza del lavoro e dei suoi diritti si affiancano senza alcuna mediazione sia il risentimento sia la subordinazione, cova l’esasperazione verso l’establishment, ma non si accende il conflitto sociale. La fine dell’altrove temporale dell’emancipazione ripiega nella ricerca di un altrove spaziale, sia in positivo nei luoghi delle creatività sociale sia in negativo nelle ossessive recinzioni securitarie. La mancanza di rappresentanza politica è surrogata dall’immedesimazione nelle “vite degli altri” proposte dalla fiction mediatica e consumistica, prima i personaggi dello sport, dello spettacolo, del reality e oggi anche i leader politici. Tra questi la gente apprezza chi la spara più grossa, perché ha la sensazione che finalmente qualcuno è in grado di gridare al suo posto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Sono almeno quarantanni - da quando è finito il movimento delle borgate - che l’eccedenza popolare è alla ricerca disperata di una rappresentanza politica. Tutte le nuove tendenze sono state percepite prima dalla periferia e solo più tardi dai quartieri borghesi: il potere sbardelliano che liberò gli istinti proprietari degli ex abusivi, il riformismo accattivante della sinistra, la destra sociale, il grillismo, il leghismo. Le infatuazioni sono sempre più brevi, vengono rapidamente surclassate dalle successive. Alle ultime è stata affibbiata l’etichetta di populismo, ma sono solo surroghe dell’assenza di popolo. Anzi, sono una sterilizzazione politica dei conflitti sociali, che vengono sublimati nella lotta alla Casta e allo Straniero.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Da sinistra, invece, non vengono neppure le surroghe, ma solo il refrain “torniamo in periferia”, per lo più declamato da chi non c’è mai stato.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Tutto ciò però mostra anche una possibilità. L’eccedenza di umanità non è domata, è ancora in grado di sviluppare una potentia di trasformazione della città. Riconoscere e mobilitare questa energia popolare è l’unica via per la rinascita della politica di sinistra.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><i>2. Tu scrivi: «Chissà se il mormorio sociale si trasformerà in un nuovo discorso pubblico: raccontare Roma come se potesse ancora stupire se stessa e il mondo. Se vogliamo essere realisti, oggi non si può fare di più che immaginarlo». Il ricorso all’utopia che segna questo libro è speranza o non rassegnata disperazione?</i></span></div> <div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La speranza, quando è autentico sogno di una cosa, è connessa alla disperazione. Ernst Bloch se ne intendeva dell’utopia e la fondava sulla fame, sul disperato bisogno del pane della vita. Con le debite proporzioni, mi pare di scorgere in città una tendenza a scacciare la disperazione. Se è vero che essa non produce ancora un movimento, lascia però affiorare alcune tracce. Dovremmo lavorare per prolungarle, ampliarle e connetterle, fino a indicare un percorso.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">In una delle prime opere blochiane le <a href="https://www.garzanti.it/libri/ernst-bloch-tracce-9788811607403/">Tracce</a> (Spuren, ed. 1930) presentano la stessa forma della speranza (Hoffnung): in quanto “occasioni insufficienti di pensiero” e di azione mettono in luce che “qualcosa manca nel presente”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Le possiamo trovare nel formicolio delle esperienze sociali, non solo per un nostro interesse ideologico verso ciò che viene dal basso, ma perché esse sono più protese al futuro, proprio mentre le classi dirigenti rimangono prigioniere del passato. Da un lato la consapevolezza della sfida antropologica che viene dal mondo migrante e dall’altro l’ossessiva ripetizione delle emergenze sbarchi; la creazione di nuove economie civili e i vani tentativi di ripristinare le vecchie rendite; l’invenzione del nuovo mutualismo sociale e l’incapacità di gestire perfino i residui del vecchio Welfare.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Tutto ciò negli anni passati era maturato nelle avanguardie sociali, ma durante la pandemia ha trovato una risonanza nel sentire diffuso della gente. Il piccolo virus è riuscito a svellere l’ideologia dell’individualismo proprietario degli ultimi quaranta anni. È in atto un rischiaramento a livello popolare, le narrazioni dominanti hanno perduto l’innocenza, si riscopre la necessità di sortire insieme dalle difficoltà della vita, nella tempesta globale si cerca la zattera dei beni comuni, a cominciare dal servizio sanitario pubblico e territoriale. Non durerà molto: se questo sentimento solidale non troverà una rappresentazione politica potrà anche capovolgersi in nuove forme di egoismo sociale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Le tracce si vedono anche nella dimensione intellettuale. C’è un fiorire di studi sulla città, soprattutto di giovani ricercatori, spesso precari, con una marcata vocazione sociale. In alcuni casi le ricerche escono dall’ambito accademico e influenzano il discorso pubblico, basta pensare al successo delle <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788868439880">Mappe della Disuguaglianza di Lelo, Monni, Tomassi</a>. Nei contenuti c’è stato negli ultimi anni uno scollinamento. Vengono meno i pamphlet sul disastro della città. Gli autori e i lettori si sono stancati di ritornare sempre sui soliti guai. Si è raggiunto l’apice nel 2018 con la riedizione laterziana dell’invettiva <a href="https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858131848">Contro Roma</a> pubblicata da Moravia e altri letterati nel 1974. Invece, i saggi pubblicati negli ultimi anni si interrogano sul futuro della città, pur evitando ingenue aspettative che sarebbero incongrue a Roma, dove perfino il cinema di fantascienza ha rischiato il grottesco, come dimostra Raimo in <a href="https://www.ibs.it/roma-non-eterna-vita-morte-libro-christian-raimo/e/9788832963939">Roma non è eterna</a>. Il compito di esaltare la sofferenza è passato dalla saggistica alla narrativa, che sempre più lo assolve nel senso dell’irredimibile, come <a href="https://www.einaudi.it/approfondimenti/nicola-lagioia/">La città dei vivi</a> di Nicola Lagioia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">È in atto, a mio avviso, un passaggio dal momento dello sdegno a quello dell’indignazione. Sembrano simili, ma sono sentimenti molto diversi. Il primo è accecato dal disprezzo del suo oggetto, non ne vede le tensioni interne e neppure le possibili dinamiche, e di conseguenza rimane attaccato al presente. Al contrario, l’indignazione vede le differenze, prende parte nei conflitti e immagina le alternative; per esempio la campagna di Cederna contro <a href="https://www.ibs.it/vandali-in-casa-ebook-antonio-cederna/e/9788858117866">I Vandali in casa</a> riuscì a salvare l’Appia antica; il convegno su I Mali di Roma del 1974 schierò il mondo cattolico a favore del movimento di emancipazione delle borgate.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Al di là del giudizio di valore e degli insuccessi pratici bisognerebbe riconoscere al grillismo la dignità di una potente rappresentazione politica, altrimenti non si spiegherebbero i consensi oltre il 60%, superiori a quelli di ogni altro fenomeno politico romano. È stata la massima rappresentazione dello sdegno. La sua vittoria non poteva far altro che instaurare la dittatura del presente. Nei primi anni dell’amministrazione era inibito qualsiasi ragionamento sul futuro della città. E persino i suoi oppositori si sono adeguati scegliendo le buche come principale argomento polemico. È prevalsa l’idea che la crisi di Roma fosse tanto grave da rendere prioritari solo i provvedimenti urgenti e minimali. Proprio questo approccio ha aggravato tutti i problemi. <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2021/04/non-mancano-i-soldi-per-migliorare-la.html">Potrei dimostrare</a>, anche tecnicamente, che il collasso dell’Atac e dell’Ama è derivato dal rifiuto di pianificare a medio termine i trasporti e il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti. In mancanza di scelte strategiche, i provvedimenti contraddittori hanno ingarbugliato la gestione, fino allo sfinimento dei servizi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Con la retorica del fare le piccole cose vengono a mancare la lucidità e la tensione per realizzare sia le grandi sia le piccole cose. Al contrario, solo una visione progettuale, anche se non sarà realizzata in toto e anzi verrà modificata in corso d’opera, fornisce il quadro di coerenze necessario per le scelte a breve termine. Se non stabiliamo una meta non siamo in grado neppure di capire dove fare il primo passo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Quando non è ingenuo, il realismo è sempre frutto di un’intenzione, anche senza scomodare Husserl. Quindi, vi ringrazio della citazione del brano che dice: “Se vogliamo essere realisti, oggi non si può fare di più che immaginare” il futuro. Però, per me è decisiva la frase successiva: “Neppure il fare di meno sarebbe prova di autentico realismo”.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><i>3. Le grandi trasformazioni urbane richiedono capacità di progetto, di costruzione di altri immaginari e strumenti nuovi per amministrare i territori. Nel libro, per realizzare quanto descrivi dettagliatamente, si immagina una trasformazione totale delle istituzioni attraverso la «creazione di una nuova Regione della capitale che unifichi tutti i poteri legislativi, amministrativi e rappresentativi», lasciando ai Comuni, fra i quali ci sarebbero anche gli attuali Municipi, l’amministrazione della vita quotidiana. Attualmente la pianificazione del territorio è demandata ai piani regolatori comunali. Quali nuovi strumenti sono ipotizzabili per disegnare la città che garantiscano la cooperazione e partecipazione dei cittadini alle decisioni che riguardano le loro vite e siano in grado di evitare la competizione e i conflitti d’interesse, assicurando uno sviluppo omogeneo ed equilibrato dell’intera regione? Come si può riportare l’urbanistica a essere la disciplina capace di rappresentare l’interesse pubblico, ribaltando quella che sembra essere diventata la regola unica del pianificare: rendere tutta la città disponibile alla rendita?</i></span></div> <div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Si presenta un’occasione storica. Con l’esplosione della bolla nel 2008 si è sfiancata la belva immobiliare. Nel lungo Novecento ha devastato la campagna romana, ha consumato brandelli di territorio, realizzando uno dei più estesi sprawl europei, ma nell’ultimo decennio ha perso l’aggressività, a causa del crollo dei prezzi delle costruzioni soprattutto in periferia. E quindi potrebbe essere addomesticata come un animale da soma adatto a trainare il carro dei beni comuni. Si dovrebbe devolvere gran parte della valorizzazione immobiliare a favore degli investimenti pubblici, generalizzando una regola già prevista nel piano regolatore per il caso particolare di variante urbanistica. Si dovrebbe reinvestire nei beni comuni almeno il 66% della rendita determinata dalle trasformazioni, invece del misero 6-7% ottenuto nei grandi insediamenti degli anni novanta, come Bufalotta e Ponte di Nona. La crescita del valore della città andrebbe a favore dei cittadini, invece di essere estratta dall’idrovora finanziaria globalizzata.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Se si perde l’occasione di domarla, la bestia potrebbe tornare aggressiva quando riprenderà il ciclo internazionale. Non è solo una questione di riparto dei valori immobiliari, bisogna potenziare la capacità dei cittadini di influire sulle trasformazioni dell’habitat. A tale obiettivo andrebbe mirata la riforma istituzionale. A me pare necessario eliminare l’attuale Comune e trasferire i suoi poteri e le sue risorse in alto verso la Città Metropolitana - e poi la Regione Capitale - per realizzare il governo strategico dell’area vasta, e in basso per trasformare gli attuali Municipi in Comuni, come nuove istituzioni di prossimità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">In questo momento nella Città Metropolitana gli uffici tecnici hanno avviato, con l’ausilio delle università e nella disattenzione del ceto politico, l’elaborazione del piano strategico seguendo un approccio mai visto a Roma, ma diffuso a livello internazionale. Non un piano astratto e normativo, ma un insieme di politiche che esaltano processi già in atto nell’innovazione sociale: agricoltura periurbana, sviluppo locale nelle periferie, piattaforme collaborative, cambiamenti climatici e officine municipali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Quando era assessore Giovanni Caudo svolse una lunga campagna di consultazione nei Municipi che avrebbe portato a ripensare dai quartieri il piano regolatore, se la consiliatura non fosse stata bruscamente interrotta dalla defenestrazione del sindaco ad opera del suo partito.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Sono solo due piccoli esempi di come dovrebbe cambiare la politica urbanistica. Ma per domare la bestia occorre di più, non basta neppure l’istituzione dei Comuni, bisogna arricchire la democrazia urbana con nuove istituzioni di quartiere, membrane generative tra governo e partecipazione, luoghi anfibi tra il formale e l’informale. Si possono fare alcuni esempi: le scuole aperte giorno e sera, come centri civici dell’apprendimento sociale della trasformazione urbana; i mercati rionali come nodi del ciclo vitale di alimentazione dalla campagna e di riconversione ecologica del sistema metropolitano; le officine municipali come luoghi di socializzazione dello smart-working, di ricomposizione dei lavori precari e di attivazione di lavori di qualità nei servizi urbani, incrociando anche le esperienze di nuovo sindacalismo, dalle vostre Clap al sindacato di strada promesso da Landini.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">A proposito del realismo, questa urbanistica dal basso è oggi più vitale di quella della classe dirigente. È stato stimato che giacciono nei cassetti comunali circa 600 strumenti urbanistici sedicenti “attuattivi” (piani di recupero, zone 0 e toponimi, progetti di rigenerazione, Print, Prusst ecc.), senza aprire neppure un cantiere, e meno male bisogna dire per alcuni casi. È esaurito il vecchio modello basato sulla proliferazione normativa e l’alimentazione della rendita. Negli stessi anni però grandi quartieri popolari (Ostiense, Pigneto, Torpignattara, Centocelle, Tufello ecc.) sono stati trasformati attraverso processi osmotici e informali dagli stili di vita dei giovani, da produzioni culturali autogestite, da nuove forme di mutualismo. Certo, anche con effetti negativi, come la gentrification che espelle i residenti. Ma se tali processi fossero sostenuti da nuove politiche pubbliche, si potrebbe guidare una trasformazione più inclusiva e di alta qualità urbana.</span></div> <div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><i>4. Durante la presentazione del sito <a href="https://www.ricercaroma.it/#">"Roma Ricerca Roma"</a> hai ricordato l'esperienza politica di Renato Nicolini e la sua capacità di connettere le avanguardie che venivano dalla stagione degli anni Settanta con un nuovo sentimento popolare, generando così un nuovo immaginario urbano. Oggi a Roma esistono una grande quantità di collettivi di studio e ricerca sulla città, così come molte esperienze di sperimentazione culturale o di autorganizzazione mutualistica, spesso nei territori più periferici. In che modo a tuo parere, questo insieme variegato e disconnesso di realtà può contribuire a un'immaginazione differente della città e a un nuovo statuto della partecipazione politica?</i></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Si, negli ultimi tempi mi capita spesso di ricordare Renato, con sentimento e ragione. Mi incuriosisce anche la rielaborazione della sua opera da parte di tanti giovani che non lo hanno conosciuto, e forse proprio per questo lo comprenderanno meglio di noi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Altro che effimero, è stato uno dei più grandi politici della Roma del secondo Novecento; ha aperto un sentiero nuovo, purtroppo interrotto, nel rapporto tra politica e cultura. Alla fine degli anni settanta era ormai esaurito il vecchio modello “Intellettuali e Popolo”, cioè l’alleanza tra il movimento di emancipazione delle borgate e le rivoluzioni dei saperi della sociologia, dell’urbanistica, della medicina, della pedagogia, dell’arte contemporanea, del cinema e della letteratura. Nicolini capisce che non esistono più quegli “intellettuali” e quel “popolo” e inventa una nuova relazione tra le avanguardie culturali di quegli anni e l’eccedenza dell’umanità romana. Si crea un nuovo riconoscimento dei cittadini tra loro e verso la città.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Sotto le volte della basilica di Massenzio si ritrova, forse per l’ultima volta, il popolo romano, non più quello del movimento di emancipazione, ma quello della nuova eterogeneità sociale che proprio in quegli anni si dispiega nei processi produttivi e nella vita metropolitana, e che in seguito non sarà più ricomposta da nessuna politica. Da quel breve riconoscimento scaturisce un nuovo immaginario ludico inteso come diritto alla città, che poi si diffonde in Italia e incontra le nuove tendenze della cultura europea, in particolare francese: <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/La_condizione_postmoderna">La condizione postmoderna</a> di Lyotard esce nel 1979, uno degli anni più belli dell’Estate Romana.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Purtroppo il Pci non comprese a pieno la sua invenzione – immagina se Nicolini fosse stato eletto sindaco dopo Petroselli, come alcuni proposero nelle segrete stanze – e anzi ne frenò lo sviluppo, rimanendo vincolato all’esangue modello nazional-popolare. Quel ritardo ha lasciato in eredità alla sinistra romana l’incomprensione dei linguaggi giovanili e alla lunga l’esaurimento del rapporto fecondo tra politica e cultura, sostituito nei momenti migliori da mere “politiche culturali”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Il sentiero interrotto di Nicolini, però, oggi riappare nella foresta urbana ed è percorso da nuovi viandanti politici e culturali. Guardo con curiosità all’alleanza che si va consolidando tra ricercatori sociali e attivisti urbani. In tutte le esperienze di base che hai richiamato c’è un intreccio tra condivisioni di saperi e generatività sociale. Non è più solo la vecchia partecipazione rivendicativa, ma siamo di fronte a un’inedita elaborazione di cultura urbana.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Si potrebbe tentare anche un’analisi sociologica della discontinuità col passato. I vecchi intellettuali vicini al Pci – professori, urbanisti, sociologi, cineasti, letterati – vivevano nei quartieri borghesi ed erano spinti dall’ideologia verso la periferia. Al contrario, oggi i protagonisti sono lavoratori intellettuali precari che, proprio per i bassi redditi, vivono in periferia e mettono i loro saperi a disposizione dell’azione collettiva. Non per un’ideologia esogena ma per una ricerca endogena alla vita urbana. Ne scaturisce una nuova relazione tra politica e cultura, certo più debole e frammentata di quella precedente, ma anche più autentica e incontenibile. Hai ragione, emergono esperienze che preludono a un nuovo statuto della partecipazione politica. Mi chiedete in che modo possano crescere, ma non so dare una risposta esaustiva.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Negli ultimi tempi, esse hanno camminato contro vento a causa del malgoverno comunale, basti pensare alle continue minacce di sgomberi e di canoni esorbitanti. Le difficoltà pratiche le hanno spesso costrette sulla difensiva, tuttavia mi pare sia cresciuta anche la voglia di fare forza comune per incidere sul discorso pubblico e sulle scelte amministrative. La coalizione per il regolamento dei beni comuni, al di là del giudizio sullo strumento, ha proposto una prima rappresentazione di un’altra città. La piattaforma programmatica elaborata dal <a href="https://www.movimentopop.it/roma-puo-rifiorire/">Movimento POP</a> è forse il miglior contributo al dibattito elettorale. E anche noi come Associazione Roma Ricerca Roma cerchiamo di connettere gli studi sulla città con le pratiche sociali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Nel complesso però stiamo parlando di avanguardie culturali che ancora non hanno trovato un’intensa relazione con l’eccedenza dell’umanità romana, come riuscì invece nel dopoguerra all’intellettualità dell’emancipazione e alla fine dei Trenta Gloriosi all’immaginario nicoliniano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Oggi è molto più difficile, ma se in forme inedite le avanguardie contemporanee incontreranno l’energia popolare, cambierà il discorso pubblico su Roma.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-87955494131256880152021-04-14T11:25:00.001+02:002021-04-14T11:25:12.216+02:00Non mancano i soldi per migliorare la capitale<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Che Roma non si possa governare per mancanza di soldi è un piagnisteo molto diffuso nel discorso pubblico. Ad alimentarlo contribuiscono proprio i politici più inadempienti, che cercano così di nascondere le proprie responsabilità. D'altro canto i media non svolgono inchieste documentate e si occupano solo degli sproloqui politici o delle voci sulle candidature.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Emblematiche sono le occasioni mancate negli <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2015/04/ancora-la-cura-del-ferro.html">investimenti per i trasporti</a>. <span></span></span></p><a name='more'></a><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">1) Nel 2017 sono stati stanziati dallo Stato ben 425 milioni di euro per la manutenzione straordinaria delle metro A e B e per l'acquisto dei nuovi treni. L'amministrazione comunale non ha saputo investire neppure un euro, proprio mentre chiudevano le stazioni e si bloccavano le scale mobili.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">2) Il governo Gentiloni ha istituito nel 2018 un bando annuale per il finanziamento della cura del ferro nelle grandi città italiane. Nelle prime due annualità l'amministrazione capitolina non ha presentato progetti di nuove metro, a differenza di altri grandi Comuni, e di conseguenza ha ottenuto solo il 12% del fondo nazionale, mentre a Torino è andato il 22% e a Milano il 43%. Se avesse presentato i progetti preliminari - già studiati dagli uffici tecnici - dei prolungamenti delle linee A e B avrebbe sicuramente ottenuto una quota maggiore delle risorse nazionali. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: verdana;">3) Di solito il CIPE finanzia il proseguimento delle opere già in cantiere. Mentre era in costruzione il lotto della metro C da S. Giovanni al Colosseo si poteva ottenere il finanziamento del successivo tratto nel centro storico, almeno fino a Ottaviano e poi allo Stadio Olimpico. Era necessaria una richiesta dell'amministrazione capitolina, corredata di un progetto preliminare, secondo le procedure vigenti. In tal modo sono stati finanziati i prolungamenti</span><span style="font-family: verdana;"> a Milano e a Napoli</span><span style="font-family: verdana;">. Invece, in cinque anni la sindaca Raggi non ha presentato al Ministero dei Trasporti i progetti dei successivi lotti della metro C, pur avendo ricevuto circa 10 milioni dal fondo nazionale per l'attività di progettazione. Per coprire l'inadempienza alla fine del 2000 ha fatto presentare però un emendamento ai suoi parlamentari, chiedendo tre miliardi nella legge di bilancio. Sapeva benissimo che non poteva essere approvato in assenza di un progetto, ma è servito a inscenare una protesta demagogica contro lo Stato che trascura la capitale. I parlamentari del PD, purtroppo, hanno avallato la manovra, invece di spiegare all'opinione pubblica che per finanziare la metro C non servono gli emendamenti demagocici, ma ci vogliono i progetti fattibili. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Non solo rimangono inutilizzati i finanziamenti disponibili nei fondi statali, ma il Comune non è in grado di investire neppure le risorse del proprio bilancio. Come si vede nella figura seguente, il livello degli investimenti possibili ma non realizzati è cresciuto fino a raggiungere 824 milioni. Sarebbero sufficienti, ad esempio, per finanziare con le sole risorse comunali il prolungamento della metro A da Battistini a Torrevecchia e della metro B da Rebibbia a Casal Monastero. </span></p><p><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"><br /></span></p><p><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjitBmYxDbTryDzfXW-btNeuWRhyVAlfm1PnIlbE9K3ALyW9_ILHIX6F9Quny1ZhUs6fU8kQrhiNWxt7ly_utx1GzcNWGFJ67vC0sPed_HWxq57_8QpMRmz_Lu2-2yaBqpnBAvsWYPNNcA/" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="510" data-original-width="946" height="346" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjitBmYxDbTryDzfXW-btNeuWRhyVAlfm1PnIlbE9K3ALyW9_ILHIX6F9Quny1ZhUs6fU8kQrhiNWxt7ly_utx1GzcNWGFJ67vC0sPed_HWxq57_8QpMRmz_Lu2-2yaBqpnBAvsWYPNNcA/w640-h346/image.png" width="640" /></a></div><br /><br /><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: verdana;">Il crollo degli investimenti pubblici è la causa principale della crisi degli ultimi dieci anni: le occasioni perdute, il collasso delle manutenzioni, la fragilità del territorio, gli autobus in fiamme e i rifiuti per strada ecc. Il confronto con le altre città sugli</span><span style="font-family: verdana;"> investimenti procapite</span><span style="font-family: verdana;"> è allarmante: </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: verdana;">Roma 67, </span><span style="font-family: verdana;">Firenze 309, Napoli 290, </span><span style="font-family: verdana;">Milano 276, Torino 221, Bologna 128 euro/abitante </span><span style="font-family: verdana;">(bilanci consuntivi 2018).</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">L'incapacità di investire le risorse dipende soprattutto dall'indebolimento degli uffici tecnici comunali, ormai depauperati di professionalità nella progettazione e nella pianificazione. Sono in sofferenza anche le strutture ingegneristiche nel settore dei trasporti: l'Atac è stata collocata, <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2018/04/saggio-crisi-atac-tocci.html">senza alcuna reale necessità</a>, in procedura fallimentare e non riesce a eseguire gli appalti; la società Roma Metropolitane è in liquidazione proprio mentre dovrebbe sfornare progetti per le infrastrutture. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">C'è però una seconda ragione tutta politica nel crollo degli investimenti, e richiede una breve spiegazione storica.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">In questo mandato della sindaca sono state realizzate opere per 200-300 milioni l'anno, mentre con i sindaci del consenso, Rutelli e Veltroni, si raggiungeva circa un miliardo l'anno. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Quei forti investimenti per la città vennero raccontati come "buco" di bilancio, dalla sciagurata campagna di Alemanno che convinse ampi settori dell'opinione pubblica, avvalendosi della superficialità di gran parte dei media. La menzogna servì a giustificare l'accordo della "pajata" con Tremonti, Bossi e Polverini, in base al quale si modificò la struttura del bilancio comunale. Si spostarono ingenti risorse dagli investimenti alla spesa corrente per consentire al sindaco appena eletto di consolidare il consenso foraggiando interessi corporativi e sussidi discrezionali. Le amministrazioni successive non sono più riuscite a modificare quella struttura di bilancio.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Infatti i dati del consuntivo 2018 confermano l'anomalia tutta romana di una quota del 4% di investimenti rispetto alle spese totali, molto più bassa rispetto alle altre città:</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Roma 4%, Napoli 20%, Firenze 17%, Torino 14%, Milano 12%, Bologna 9%.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Tuttavia, l'incapacità attuativa dell'amministrazione oggi pesa anche sulla spesa corrente. Nel consuntivo del 2018 emerge un residuo non speso di ben 545 milioni. Si tratta di una somma ingente; per esempio corrisponde grosso modo al livello della spesa sociale di un anno. Possiamo immaginare, quindi, quanti servizi aggiuntivi per i cittadini e le persone bisognose si potevano erogare se ci fosse stata un'amministrazione capace di attuare le previsioni.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: verdana;">Infine, bisogna smentire un altro luogo comune sui presunti svantaggi che la città sopporterebbe per la funzione di capitale. Si citano di solito le spese per le manifestazioni, la vigilanza, i trasporti e la nettezza urbana, ma sono ampliamente coperte dall'apposito fondo statale:</span><span style="font-family: verdana;"> una volta era di soli 30 milioni, poi per merito delle amministrazioni di centrosinistra è stato innalzato a 540 milioni, una somma ritenuta congrua dagli stessi uffici comunali. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Inoltre, se si considerano tutte le voci dei trasferimenti sia statali sia regionali il finanziamento della capitale risulta superiore a quello delle altre città italiane. Ecco i valori procapite:</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Roma 334, Milano 329, Torino 232, Napoli 172, Bologna 149, Firenze 116.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: verdana;">Addirittura il vantaggio della capitale è maggiore di come appare in questi numeri se si considerano due anomalie: a) la Regione Lazio finanzia i trasporti romani molto meno rispetto a quanto facciano le altre regioni con i rispettivi capoluoghi. Ciò significa che nel valore totale di 334 euro/abitante il contributo dello Stato è relativamente ancora più alto; b) </span><span style="font-family: verdana;">l'amministrazione comunale riceve, </span><span style="font-family: verdana;">tramite la gestione commissariale dei vecchi mutui,</span><span style="font-family: verdana;"> un finanziamento aggiuntivo di circa 300 milioni, che non appare nel dato procapite di 334 euro.</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Infine, anche le entrate provenienti da tributi e tariffe sono molto alte: le aliquote Irpef e Imu raggiungono i livelli massimi e la Tari è stata aumentata del 25% ai tempi di Alemanno.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">A fronte di cospicui prelievi sui redditi familiari la qualità dei servizi diventa sempre più scadente. Anche da questo punto di vista si conferma che non è un problema di disponibilità delle risorse, ma di una drammatica incapacità di gestire con efficacia i soldi dei cittadini.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: verdana;">Ho trattato </span><span style="font-family: verdana;">questi argomenti nell'ultimo capitolo di <i><a href="https://waltertocci.blogspot.com/2021/01/una-sintesi-di-roma-come-se.html">Roma come se</a></i>, in particolare nel paragrafo "Non è un problema di soldi". A suo tempo mi sono avvalso di alcuni appunti che generosamente mi ha preparato Marco Causi, il quale ora li ha sviluppati in un saggio che tratta organicamente la questione. Si intitola <i>Il bilancio del Comune di Roma e la città</i> ed è stato pubblicato nel <a href="https://www.ricercaroma.it/roma-non-sa-spendere-i-soldi-che-ha-lanalisi-di-marco-causi/">sito dell'Associazione Roma Ricerca Roma</a>. Ne consiglio la lettura a chi vuole saperne di più.</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: medium;">Approfondire questo aspetto paradossale della crisi di Roma è molto importante. Mettere in evidenza le tante risorse non spese serve a togliere alibi agli amministratori inadempienti. E nel contempo aiuta a focalizzare i nodi da sciogliere nel prossimo confronto elettorale. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: medium;">Il prossimo Sindaco dovrà risolvere due problemi urgenti e in un certo senso preliminari allo svolgimento del programma di governo. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: medium;">In primo luogo dovrà innalzare l'efficacia della spesa per migliorare la qualità e la quantità dei servizi, mettendo a frutto non poche risorse che il Comune riceve sia dai cittadini sia dallo Stato.</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: medium;">In secondo luogo dovrà potenziare la capacità attuativa dei programmi di spesa e di investimenti. Non solo per utilizzare i fondi già disponibili, ma sopratutto per preparare l'amministrazione a impegnare le risorse che verranno dall'Europa con il programma Next Generation Eu. Con esse si potranno risolvere i vecchi squilibri e avviare una nuova prosperità civile, culturale ed economica. Un'occasione storica che la città non può mancare.</span></span></p><p><br /></p><p><br /></p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-52768585220220657182021-03-17T22:19:00.000+01:002021-03-17T22:19:01.756+01:00In ricordo di Rossella Panarese<p><span style="font-family: times; font-size: medium;">È venuta a mancare <a href="https://www.repubblica.it/spettacoli/tv-radio/2021/03/01/news/e_morta_rossella_panarese_autrice_e_voce_di_radio3_scienza-289711036/">Rossella Panarese</a> autrice e voce di Radio3 Scienza. Nei giorni scorsi <a href="https://www.youtube.com/watch?v=7NnwkXl4TRc">ci siamo ritrovati molti amici per ricordarla</a>. Di seguito potete leggere la mia breve testimonianza.</span></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Conservo un caro ricordo dell’ultimo saluto con Rossella. Desidero condividerlo con voi come una piccola testimonianza del suo inconfondibile stile, della tenerezza dissimulata dal riserbo, della sobria eleganza dei sentimenti che affiorava nel suo sorriso e nella sua parola.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Mi chiese di ricordare a Radio3 l’opera di <a href="https://www.blogger.com/#">Pietro Greco</a>, il carissimo amico che avevamo appena pianto insieme. Rimasi stupito però che la richiesta non venisse direttamente da lei ma dai suoi collaboratori e che anzi non mi avesse neppure risposto quando la chiamai per saperne di più. Mi stupiva poiché per sette anni avevamo lavorato insieme in Campidoglio. Curava la comunicazione della nostra politica dei trasporti con professionalità e autorevolezza. Ci confrontavamo ogni giorno e mi rassicurava la sua serenità nell’affrontare anche le emergenze più difficili. È stata un’esperienza appassionante, non solo per me, per il gruppo di belle persone che lavoravano al terzo piano del palazzo senatorio e credo anche per lei. Ma quando arrivò l’agognata chiamata della Rai la felicità illuminò il suo volto, capii che era quella la sua vera vocazione e quasi mi dispiacque di averla trattenuta tanto tempo a parlare di treni. Rimase sempre tanto affetto tra noi ma non ci frequentammo nei venti anni successivi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Perciò ero emozionato di partecipare alla sua trasmissione. Solo più tardi ho capito che mi aveva cercato senza farmi sentire la sua voce per non rivelarmi la malattia. Ci scambiammo solo dei messaggi dopo la trasmissione. Nell’ultimo mi diceva che le aveva fatto piacere ascoltare la mia voce, ma forse voleva solo farsi perdonare per avermi negato la sua voce. Era un delicato silenzio per dirmi addio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Eppure tutti noi ascolteremo ancora la sua voce, non solo perché la radio ci consentirà di non dimenticarla. Rossella continuerà a parlare nei nostri cuori.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-72524149808281356152021-03-05T17:14:00.004+01:002021-03-19T12:01:59.728+01:00Il PD di Milano celebra il centenario del PCI<p><span style="font-family: times; font-size: medium;">Il partito democratico milanese mi ha chiesto di introdurre il dibattito dedicato al centenario del Pci. L'iniziativa, svoltasi il 26 febbraio con il titolo "La sinistra tra rappresentanza e valori", è stata organizzata da Alessandro Capelli e ha visto la partecipazione di Valentina Cuppi, Elena Lattuada, Pierfrancesco Majorino e Mattia Santori. Di seguito si può leggere il testo del mio intervento.</span></p><p><br /></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Negli ultimi tempi mi ha preso la passione di coltivare i frutti antichi, i giuggioli, i cornioli, i sorbi, gli azzeruoli, e poi le mele e le pere scomparse, con quei sapori e quei profumi che, mi dispiace dirvelo, non trovate al supermercato. In queste settimane sono alle prese con gli innesti e le potature, mi prendo cura degli alberi per prepararli alla rigenerazione della primavera. Mi domando se porteranno frutti, e so che dipenderà da due fenomeni: se sarà generosa la linfa che sorge dal terreno e se sarà ricco il movimento dell’impollinazione animato dalle api e dal vento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">I miei alberi antichi assomigliano ai vecchi partiti di sinistra, i quali portavano frutti al Paese poiché si alimentavano della linfa che saliva dal radicamento sociale e assorbivano il polline che veniva dai movimenti culturali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Qui è avvenuta la grande mutazione: ai partiti di oggi manca sia la linfa sociale sia l'impollinazione culturale.</span></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><span><a name='more'></a></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Non si alimentano più dal basso, ma dall'alto. Non sono in grado di agire sulla trasformazione sociale, ma solo di operare con le leve statali e amministrative. E infatti le usano in modo bulimico, fino a produrre l'alluvione normativa che ormai invade tutti i campi della vita pubblica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Paradossalmente, nel trentennio della privatizzazione a ogni costo la politica si è statalizzata, si è accasata nella dimensione amministrativa. Il politico è diventato un funzionario, e agisce solo in quanto presidia una carica pubblica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il ribaltamento della sorgente modifica i contenuti del governo. Il radicamento produceva la tendenza all'eguaglianza perché rispondeva ai bisogni delle classi subalterne. La politica statalizzata, al contrario, è più direttamente influenzabile dagli interessi delle classi dirigenti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Inoltre, la differenza che veniva dall'impollinazione culturale è stata sostituita dalla omologazione dell’apparenza mediatica. Questa, per sua natura tende a semplificare, a perdere i chiaroscuri della vita reale, ad appiattire la molteplicità delle culture, a non riconoscere le energie del cambiamento, a non comprendere la complessità sociale, che infatti si scopre solo dopo le elezioni.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">È venuta meno la politica generativa, per usare un’espressione del mio amico Mauro Magatti. Allora non l’avremmo chiamata così, usavamo un lessico diverso, ma l’agire politico generava nuova vita sociale. Al contrario, il politico statalizzato, a volte inconsapevolmente, rischia di conservare lo status quo. E il politico spettacolare si fa prendere la mano dall’ansia di demolire o rottamare. Sia la conservazione sia la demolizione inibiscono la capacità generativa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ciò è evidente perfino nel linguaggio politico. La parola riforma è ridotta a indicare la mera approvazione di una legge, accompagnata da uno slogan ad uso dei talk-show. Si è smarrito il significato pregnante di riforma come processo di trasformazione che coinvolge gli attori sociali, le avanguardie culturali e le sensibilità popolari.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per fare un esempio negli ultimi venti anni ogni ministro ha approvato una riforma epocale della scuola; nessuna ha mai cambiato la didattica ma tutte hanno lasciato in eredità voluminosi tomi di norme che asfissiano la vita scolastica. Al contrario, in passato i risultati migliori e duraturi, per esempio la scuola elementare e dell’infanzia, sono scaturiti dalle avanguardie pedagogiche degli anni sessanta, rilanciate dalle associazioni degli insegnanti e dei genitori, sostenute dalle 150 ore delle lotte sindacali, dalle buone pratiche degli enti locali, poi tutte queste innovazioni sono state generalizzate dai partiti e solo alla fine hanno ottenuto il sigillo delle leggi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Allo stesso modo, la più importante innovazione produttiva italiana, i nostri distretti industriali studiati in tutto il mondo, non sono stati istituiti per decreto legge, ma generati dalla politica, quella democristiana lombardo-veneta e adriatica e quella comunista tosco-emiliana, accompagnando la trasformazione industriale di antichi saperi artigianali, con la coesione sociale, le relazioni sindacali partecipative, il governo di prossimità, e le identità territoriali. Quei partiti governavano i processi utilizzando una panoplia di strumenti sociali, culturali, e anche amministrativi. I partiti di oggi faticano a governare il Paese poiché da un lato la società è diventata più complessa ma dall’altro gli strumenti si sono impoveriti, riducendosi solo a norme e slogan.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La politica generativa non riguardava solo il governo della società ma più profondamente la dignità delle persone. Quando chiesero al grande Di Vittorio di riassumere il risultato più importante raggiunto dalla sinistra italiana, non si avventurò a elencare le molteplici conquiste nei diversi settori della vita sociale e democratica, ma se la cavò raccontando un apologo: "Nel mio paese di Cerignola abbiamo insegnato ai braccianti a non togliersi la scoppola, a non inchinarsi più di fronte al padrone delle terre, ma a guardare avanti a testa alta con la dignità di chi è consapevole dei propri diritti”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Con il linguaggio di oggi diremmo che il bracciante di Cerignola è un caso di empowerment, di presa di consapevolezza dei propri diritti. Sappiamo dirlo in modo più sofisticato rispetto alle parole semplici di Di Vittorio, ma molto meno siamo in grado di metterlo in pratica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Qui forse è più intensa la divaricazione tra la forza del passato e la responsabilità del presente. La sinistra italiana nei suoi momenti migliori ha significato proprio questo: dare potere a chi non ce l’ha, promuovere il riscatto delle classi subalterne.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ho avuto il privilegio nella mia militanza giovanile di conoscere il capolavoro del Pci nelle borgate romane, quel sottoproletariato raccontato da Pasolini che acquisisce una matura coscienza politica e diventa protagonista dell’emancipazione sociale e dell’ampliamento della democrazia a favore di tutti i cittadini. Ricordo con emozione come quella politica si radicava nelle sofferenze della miseria, della mancanza di beni essenziali, di acqua, luce e fogne e scuole e riusciva però, tramite la mobilitazione sociale, a infondere nelle persone una fiducia nell’avvenire.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Oggi in quelle periferie sono ormai superate le miserie del dopoguerra, l’esclusione è diventata però più pervasiva e ineffabile, e manca la politica che genera le aspirazioni verso avvenire.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questa oggi è la madre di tutte le disuguaglianze: come ha evidenziato un fine studioso della globalizzazione, Arjun Appadurai, l’immaginazione del futuro è inibita ai soggetti esclusi dai vantaggi del mondo nuovo, non solo i poveri ma i giovani e perfino alcuni ceti produttivi, ed è invece alla portata delle classi sociali che godono dei frutti della conoscenza e dell’apertura delle frontiere. Si ripresenta in forme nuove il compito della sinistra di dare potere a chi non ce l’ha. Come sapremo assolverlo? E come può aiutarci la cura della memoria.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La celebrazione dei cento anni del Pci dovrebbe trascurare le sue dottrine e le sue certezze, quasi tutte travolte dalla storia, e mettere in luce invece le sue anomalie e i suoi paradossi, dove si annidano significati ancora fecondi per noi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il partito comunista è stato molto di più dei suoi errori, ha svolto una funzione reale ben al di là della sua stessa ideologia, ha cambiato il paese meglio di come era scritto nei suoi programmi. Il mito comunista ha mobilitato le energie sociali per rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza, di cui parla il mirabile articolo 3 della Costituzione. La sua politica generativa ha realizzato un’infrastruttura democratica che ha consentito a milioni di persone di partecipare alla vita pubblica, dall’ultimo paesino del Mezzogiorno alle fabbriche del Nord.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questi meriti, però, si esauriscono alla metà degli anni settanta. Negli anni ottanta la generatività è ormai spenta, tranne un caso positivo. Il Pci di Berlinguer accoglie l’impollinazione del movimento delle donne e si mobilita per la vittoria nel referendum sull’aborto, che salva il principio di autodeterminazione della donna, uno dei diritti più avanzati nella legislazione europea.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nessun leader successivo della sinistra italiana ha compreso come Berlinguer la cultura femminista. Non è un caso quindi l’esito di oggi, l’esclusione delle donne nella nostra delegazione al governo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">A mio avviso – ma mi rendo conto che è un’interpretazione controversa - proprio nel 1976, mentre si raggiungeva l’apice dei consensi, iniziava una lunga decadenza che è approdata allo scioglimento dell’89 e ha proiettato la sua ombra nei decenni successivi. Purtroppo i partiti che sono venuti dopo hanno ereditato più i caratteri della decadenza che quelli della generatività. Forse anche per questo i leader di formazione comunista che hanno guidato il Pd non sono riusciti a realizzare il progetto originario esposto da Pietro Scoppola, di un partito post-novecentesco che avrebbe dovuto rendere protagonisti i suoi elettori. L’invenzione delle primarie fece ben sperare, ma non dovevano servire solo per scegliere i leader nei giorni festivi, avrebbero dovuto assicurare la partecipazione alle scelte nei giorni feriali e mobilitare continuamente l’elettorato. In tal modo si sarebbe rilanciata la funzione di infrastruttura democratica, pur in un contesto radicalmente diverso. E invece ci sono volute le Sardine per mobilitare l’elettorato del Pd nella campagna elettorale decisiva contro Salvini, proprio in Emilia-Romagna, dove il partito è più forte ed è dotato di grandi risorse.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Concludo quindi per dire che il futuro del PD dovete prenderlo in mano voi giovani nativi democratici con lo sguardo aperto al secolo nuovo. Non fatevi incantare dalla nostalgia della nostra generazione. La nostalgia è una sirena affascinante e ingannatrice che porta alla luce le vittorie e dimentica i fallimenti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Vi sarà più utile una terapia della memoria, cioè un esame critico del passato che consenta di prendere il meglio di quella storia, di estrarre dal fango delle sconfitte le radici dei frutti antichi da coltivare ancora in campi più fertili.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div>
</span><p></p><p class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span face=""Verdana","sans-serif"" style="color: black; mso-bidi-font-weight: bold;"><o:p> </o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;"><span face=""Verdana","sans-serif"" style="color: black; mso-bidi-font-weight: bold;"><o:p> </o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;"><span face=""Verdana","sans-serif"" style="color: black; mso-bidi-font-weight: bold;"><o:p> </o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;"><span face=""Verdana","sans-serif"" style="mso-bidi-font-weight: bold;"><o:p> </o:p></span></p><br /><p></p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-71250042216516636442021-02-23T13:23:00.007+01:002021-02-23T13:26:04.046+01:00Politica e Scienza in ricordo di Pietro Greco<p><span style="font-family: times; font-size: medium;">Radio3 Scienza mi ha chiesto di ricordare Pietro Greco nell'ambito di un ciclo di <a href="https://www.raiplayradio.it/playlist/2021/01/Rai-Radio-Playlist-Item-24da876e-b4ff-417f-b807-a83f6fb17526.html">cinque lezioni</a> dedicate alla sua memoria. </span></p><p><span style="font-family: times; font-size: medium;">Di seguito potete leggere il testo del mio intervento oppure <a href="https://www.raiplayradio.it/playlist/2021/01/Rai-Radio-Playlist-Item-24da876e-b4ff-417f-b807-a83f6fb17526.html">ascoltare il podcast</a>.</span></p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Buongiorno, sono Walter Tocci. Questa è una delle cinque Lezioni per Pietro che Radio3Scienza ha voluto dedicare al collega e giornalista Pietro Greco, una delle voci di questo programma, prematuramente venuta a mancare il 18 dicembre 2020. Ogni lezione ruota attorno ad un tema tra quelli che a Pietro stavano più a cuore, come quello di oggi, dedicato al rapporto tra politica e scienza.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ho conosciuto Pietro Greco dagli scranni del Parlamento. Mi occupavo di politica dell’università e della ricerca e ho avuto il privilegio di poter contare sul suo contributo. Mi offriva proposte concrete, che subito facevo mie e riportavo nel dibattito parlamentare. Di solito venivano respinte, ma non ci perdevamo d’animo, né io né lui, e riprendevamo l’iniziativa insieme al movimento di ricercatori che in quei primi anni duemila si batteva contro gli scriteriati tagli ai fondi per la ricerca e la mortificazione di quella ricerca curiosity driven, di cui Pietro ha sottolineato sempre l’importanza. E discutevamo dei suoi scritti sul passato e sul futuro della scienza; nessuno di quei colloqui mi è rimasto indifferente, ogni volta ho imparato qualcosa di nuovo.</div><span><a name='more'></a></span><span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">D'altronde, per Pietro l’elaborazione culturale era anche un contributo all’azione politica. Fin da ragazzo, come raccontano i suoi coetanei, quando si mise alla testa di una singolare mobilitazione studentesca che chiedeva di studiare di più e meglio. Poi nella vita non si è più messo alla testa, ma ha sempre contribuito alla buona politica per la scienza.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Non è stato solo un ottimo giornalista, non solo un raffinato storico della scienza, è stato anche un intellettuale impegnato. Con la sua passione civile e la capacità di comunicare la scienza in modo semplice e rigoroso, ha cercato di influire sulle decisioni politiche attraverso la strada più lunga e più dritta: accrescere la consapevolezza dei cittadini sul valore della conoscenza.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questa strada apre una prospettiva nuova: se in passato la crescita della democrazia ha istituito i diritti civili, poi quelli politici e infine quelli sociali, oggi deve espandere anche i diritti della cittadinanza scientifica. Il contributo più originale di Greco, un vero assillo teorico della sua ricerca e una motivazione di impegno politico, è stato proprio l’approfondimento del concetto di cittadinanza scientifica. La intendeva come il diritto all’accesso alla conoscenza, come il superamento delle disuguaglianze cognitive, come il beneficio sociale della scienza nel senso originario di Bacone, come la responsabilità della cura della Terra e dei viventi, come la libertà degli scienziati dai condizionamenti politici ed economici, che è anche una garanzia per la democrazia e il benessere dei cittadini.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quel concetto poteva sembrare astruso, non è stato adeguatamente compreso, ma ha ricevuto una conferma dalla vicenda drammatica del Covid. Da circa un anno nella vita quotidiana di miliardi di persone hanno fatto irruzione i problemi della scienza, dai quali dipendono le possibilità di salvare vite umane, scaturiscono le ansie e le speranze delle persone, discendono le sorti dei governi, le economie dei territori e le relazioni internazionali tra gli stati. All’improvviso abbiamo scoperto quanto sia importante la comunicazione corretta dei risultati della ricerca, l’autorevolezza e la trasparenza delle decisioni scientifiche, l’accesso dei ceti popolari ai frutti della conoscenza, dalle cure preventive alla didattica a distanza.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La cittadinanza scientifica è l’antidoto contro il crescente squilibrio tra Potenza a Saggezza. Potenza come capacità, prima di tutto scientifica e tecnologica, di trasformare il mondo. Saggezza intesa come capacità di regolare gli esiti e cogliere i frutti di tale trasformazione. Uno squilibrio sempre presente in tutte le epoche, ma accentuato dai grandi dilemmi contemporanei, tra sviluppo economico e sostenibilità del pianeta, tra le tecnologie della vita e la responsabilità dell'umano, tra il mondo aperto della ricerca e gli angusti interessi economici e nazionali.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Innalzare la qualità della relazione tra politica e scienza è un compito decisivo per il futuro. Ma si può imparare molto dal passato. Per Pietro Greco il terreno comune tra scienza e politica è svelato dall’analisi storica, che consente non solo di spiegare le decisioni degli Stati ma anche i concetti scientifici, i quali diventano più comprensibili quando sono descritti dalla loro genealogia di falsificazioni e scoperte.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Da tutto ciò è maturato quello che a mio avviso è il suo capolavoro, La Scienza e l’Europa, un’opera monumentale in cinque volumi che ricostruisce la storia del continente con un formidabile approccio multidisciplinare. Uno studio ambizioso, complesso, rigoroso eppure esposto con lo stile di un avvincente romanzo storico. È un testo che dovrebbe essere presente in tutte le scuole, nelle biblioteche civiche, nei luoghi della cittadinanza attiva.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La storia della scienza mostra più chiaramente il Mediterraneo come l'origine della civiltà europea. A tal fine Pietro Greco riprende gli studi di Lucio Russo sulla “rivoluzione dimenticata”, cioè lo straordinario fiorire della scienza in epoca ellenistica, che produce mirabili risultati, come la misura, con errore solo del 3%, della circonferenza della terra da parte del grande Eratostene. Poi quel patrimonio di conoscenze confluisce nella preziosa traduzione e nella rielaborazione motivata dal sincretismo degli Arabi, e sottolineo la parola sincretismo contro il presunto fondamentalismo di oggi. Infine, la riscoperta della scienza antica in Italia per merito del figlio di un mercante pisano, Leonardo Fibonacci, detto anche Bigollo, cioè giramondo, epiteto quanto mai significativo. La scienza, ci spiega Pietro, si sviluppa nelle penisola in modo peculiare, profondamente connessa alla letteratura con Dante e alle arti visive con Giotto, Piero della Francesca, Brunelleschi, confluendo in quella visione integrale dell'uomo che fu il Rinascimento italiano. All'apice di questa storia Galilei, figlio dell'Umanesimo, consegna il testimone della scienza moderna dall'Italia all'Europa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quel primato scientifico è stato uno dei vettori dell’espansione della cultura europea nel mondo. Ha portato molti benefici all'umanità intera, ma diciamoci la verità, non è stato usato sempre bene, è servito anche a diffondere le guerre, le schiavitù e i colonialismi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tra Ottocento e Novecento, all'apice della potenza scientifica europea, con la seconda rivoluzione industriale e la prima globalizzazione, ci fu la crisi da successo. Come dice Pietro: "L'Europa non riuscì a governare i frutti del suo rapporto privilegiato con la scienza" (vol. 4, p. XI). Da quella vetta cominciò il grande squilibrio tra Potenza e Saggezza, che poi sfociò nelle dittature e nelle guerre. E poi il testimone dello sviluppo scientifico, anche a causa delle forzate emigrazioni intellettuali, passò all’altra sponda dell’Atlantico.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Alla fine del secondo millennio le classi dirigenti europee rilanciarono l’ambizione del vecchio continente a diventare protagonista della crescita delle conoscenze. E con il piano Delors presero l’impegno di raggiungere entro il 2010 la quota di investimento in ricerca al 3% del Pil. Non solo l'obiettivo è stato largamente mancato, in particolare nel nostro paese, ma a quella data si è verificato il sorpasso da parte della Cina e l'Europa ha perso il primato che aveva conquistato quattro secoli prima con la rivoluzione galileiana.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questa rinuncia alla leadership scientifica indebolisce lo sguardo verso il futuro. Ciò spiega il declino europeo meglio di altre analisi, pur fondate ma incomplete, di tipo economico, istituzionale e geopolitico.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">E forse spiega qualcosa di più profondo, un certo ripiegamento dello spirito europeo, che si chiude in se stesso, gira le spalle al futuro e respinge in mare i migranti. Questi fuggono dalla guerra e dalla fame, attraversano sofferenze indicibili, e quando approdano, se approdano, nei loro volti si vede la fiducia nell'avvenire, proprio quella fiducia che sembra indebolita nel continente.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quando si perde la tensione verso l'avvenire viene a mancare anche il rapporto con il passato. L'Europa oggi vede il Mediterraneo come il suo confine e non la sua origine. Eppure Mare Nostrum non è un limes, è l’arché della civiltà europea, come spiega lo studio storico di Greco.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il crescente squilibrio tra Potenza e Saggezza rende attuale la riflessione sul ruolo che la civiltà italiana ha svolto nella storia della scienza europea, non solo per la connessione tra Mediterraneo e continente, ma soprattutto per la visione integrale e umana della conoscenza. La Saggezza come misura della Potenza trova una rappresentazione mirabile nel verso dantesco, tanto amato da Pietro, del raccogliere le briciole del "pane degli Angeli".</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">E forse proprio la tragedia del Covid può essere la molla che inverte la dinamica del declino. I segnali positivi non mancano, in primis la svolta della politica europea che torna a progettare il futuro con il programma Next Generation Eu. E le incredibili risorse che quel piano mette a disposizione della rinascita italiana. Nel suo ultimo articolo Greco ha colto l’occasione per proporre di spendere 50 miliardi su tre obiettivi. Primo, il potenziamento dell’università per portare la quota dei giovani laureati dall’attuale 25% al livello europeo del 40%. Secondo, aprire le porte dei laboratori a centomila giovani ricercatori portando gradualmente l’investimento in ricerca alla media europea del 2%. Terzo, finanziare per cinque anni centomila giovani imprenditori nelle alte tecnologie, nella riconversione ecologica e nella cura dei beni sociali. Se anche uno su dieci avrà successo, avremo cambiato il paesaggio produttivo italiano e creato nuovi lavori di qualità.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’ultimo articolo dovrebbe illuminare le menti di quelli che discutono in queste ore il programma del prossimo governo. È ancora utile l’opera di Pietro, egli cammina accanto a quelli che hanno a cuore la cittadinanza scientifica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quell’infausta mattina, dopo aver saputo della improvvisa sua scomparsa, ha suonato il postino per consegnarmi l’ultimo libro che aveva appena pubblicato: si intitola Quanti, è un affascinante racconto della rivoluzione quantistica. Me lo aveva spedito perché facessi una presentazione. Ho pensato fosse un saluto di Pietro dal cielo. Mi è sembrato di vederlo lassù, con un sorriso sornione, che mi diceva, ne parleremo insieme. Anche io, anche noi, restiamo in colloquio con lui, con i suoi studi e le sue proposte. E soprattutto con i sogni che ha lasciato a noi da realizzare.</div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div> Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-31419903166400637082021-01-22T14:57:00.007+01:002021-02-23T17:49:24.209+01:00Inizia il cammino dell'Associazione RomaRicercaRoma<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;">Inizia il cammno della nostra <a href="https://www.ricercaroma.it/">Associazione RomaRicercaRoma</a>. Si è svolta venerdi 29 gennaio 2021 la presentazione del programma di attività.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="https://www.youtube.com/playlist?list=PLyNu4-lSvHPWdDjKcFIVEJc0yqE6PMKh-">Qui trovate il video del convegno</a> scandito per singoli interventi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">A organizzare l'Associazione <a href="https://www.ricercaroma.it/chi-siamo/">siamo studiosi della città e attivisti urbani</a> con l'obiettivo di promuovere le analisi e i progetti per la Roma del nuovo secolo. Cerchiamo prima di tutto di far emergere un'energia culturale e sociale che ancora non è riconosciuta nel discorso pubblico, purtroppo fin troppo dominato da logori stereotipi. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">C'è un fiorire di studi per lo più elaborati da giovani ricercatori che coniugano il rigore disciplinare alla passione civile (qui trovate una rassegna di <a href="https://romaricerca.blogspot.com/">centinaia di libri pubblicati</a> negli ultimi anni, ma poi ci sono migliaia di articoli su riviste specializzate). Inoltre, le esperienze di cittadinanza attiva non si limitano più come una volta a esprimere una domanda di partecipazione ma sono impegnate direttamente a produrre preziose sperimentazioni di cultura urbana e di mutualismo sociale, come ha evidenziato per esempio <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788868439972">Carlo Cellamare in Città fai da te</a>. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Questa alleanza tra studi urbani e mobilitazione civica oggi surroga in parte la sparizione delle rappresentanze politiche, soprattutto in periferia, e alimenta i più interessanti processi di cambiamento, come ho sottolineato nel mio <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2020/12/in-senato-la-presentazione-online-del.html">Roma come se</a> (pp. 7-8 e 204-5). Il nostro intento consiste nel rafforzare l'alleanza tra cultura e società romana, al fine di arricchire il discorso pubblico, come è accaduto per esempio con le <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788868439880">Mappe della disuguaglianza</a>, e di orientarlo verso le nuove ambizioni della capitale. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">A tale scopo abbiamo avviato una ricerca che approderà alla scrittura di un <a href="https://www.ricercaroma.it/ricercaroma-un-manifesto-per-roma/">Manifesto per Roma</a> come risultato di una elaborazione collettiva tra gli studiosi e di una vasta consultazione tra gli attori sociali e politici. Saranno trattate le principali questioni aperte nel presente e nel futuro della città: <i><b><a href="https://www.ricercaroma.it/proposte/">Abitare, Economia, Spazio pubblico; Roma plurale; Welfare e sanità, Conoscenza, Patrimonio, Energie e reti, Campagna romana, Governo</a></b></i>. Su questi argomenti abbiamo scritto dieci saggi che saranno pubblicati a puntate sul sito e verranno sottoposti al dibattito pubblico in appositi seminari, con il seguente calendario:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="background-color: white; text-align: start;">giovedì 25 febbraio: Abitare di qualità a Roma. Per un rilancio dell'azione pubblica</div><div style="background-color: white; text-align: start;">mercoledì 10 marzo - Energie e Reti a servizio della città, tra giustizia sociale e ambientale</div><div style="background-color: white; text-align: start;">mercoledì 24 marzo - La campagna romana e le sue relazioni vitali con la metropoli</div><div style="background-color: white; text-align: start;">mercoledì 7 aprile - Il diritto alla città. Percorsi per uscire dalla crisi del valore</div><div style="background-color: white; text-align: start;">mercoledì 21 aprile - Welfare, sanità e politiche sociali </div><div style="background-color: white; text-align: start;">A breve verranno fissati gli altri cinque incontri dei mesi di maggio e giugno.</div></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Chi vuole contattarci o iscriversi alla newsletter per rimanere informato sulle nostre iniziative trova tutti gli strumenti nella <a href="https://www.ricercaroma.it/">home page dei sito.</a></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Chi vuole partecipare attivamente può iscriversi all'Associazione; le modalità e i riferimenti bancari si trovano <a href="https://www.ricercaroma.it/contatti/">in questa pagina</a></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-60941234283301978692021-01-21T16:34:00.003+01:002021-01-21T16:51:57.998+01:00Una sintesi di Roma come se<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;">Tutte le recensioni di <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2020/12/in-senato-la-presentazione-online-del.html">Roma come se</a> si possono leggere sul <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788855220385">sito di Donzelli</a>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;">Di seguito potete leggere la recensione di Salvatore Monni (autore insieme a Lelo e Tomassi delle <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788868439880">Mappe della disuguaglianza</a>), pubblicata sulla <a href="https://www.pandorarivista.it/articoli/roma-come-se-di-walter-tocci/">rivista Pandora</a>. Il suo testo offre ai lettori una bellissima sintesi del libro, come neppure io sarei riuscito a scriverla. </span></div><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Presidente della quinta circoscrizione (l’attuale IV Municipio, quello della zona industriale della Tiburtina, delle case popolari di San Basilio e del 5% di laureati di Tor Cervara), Consigliere comunale, Assessore, Vicesindaco, Deputato, Senatore, insomma tutto quello che non ti aspetteresti da uno che ti propone l’abolizione del Comune di Roma. Eppure, c’è anche questo in <a href="https://www.donzelli.it/libro/9788855220385">Roma come se. Alla ricerca del futuro per la capitale</a> appena pubblicato da Walter Tocci con Donzelli Editore. 276 pagine ben scritte, che scivolano via che è un piacere e che mi sento di consigliare a chiunque abbia a cuore la città, sia esso amministratore, studioso della città o semplice cittadino. È un saggio vero quello di Walter Tocci, un libro di una ricchezza straordinaria che si batte contro la dittatura del presente e contro la nostra concentrazione troppo spesso su temi certamente importanti come i rifiuti o i trasporti, ma senza la capacità di collocare questi problemi in un’analisi più ampia sulla città e la sua trasformazione nel tempo. Il focus di Tocci prima sul passato e poi sul futuro non è un disinteresse per il presente, che è comunque spesso al centro delle sue riflessioni, quanto piuttosto il tentativo di comprenderne a fondo la complessità.<span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’introduzione Il discorso pubblico su Roma pone all’attenzione del lettore la relazione tra “potere” e “discorso”, inteso quest’ultimo soprattutto come retorica nel raccontare le vicende romane. Tocci va contro lo stereotipo, la banalizzazione, lo sconforto a cui è solito il dibattito romano, per sottolineare la complessità di Roma evocando in chiave ottimistica il verso pasoliniano «non si piange su una città coloniale». Non è appunto questo il tempo di piangersi addosso, quanto piuttosto di rimboccarsi le maniche e fare qualcosa di buono per la città. Nell’introduzione merita un cenno particolare lo sguardo dedicato da Tocci all’esaurimento della rendita capitale, e in particolare la centralità statale, l’accumulazione immobiliare della campagna romana, il patrimonio simbolico dell’eredità storica. Tre rendite che hanno avuto una loro importanza nella trasformazione della città passata in soli 150 anni, pur tra tante contraddizioni, dall’essere un piccolo borgo pontificio a grande capitale europea. Ma il futuro è cosa diversa, ci ricorda Walter Tocci, e le rendite del passato sono messe in discussione dalle trasformazioni del nuovo secolo e ormai destinate all’esaurimento. Un monito, neanche troppo velato, a chi su queste rendite ancora oggi pensa di costruire il futuro di Roma.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il resto del libro si divide in due parti: la prima tra passato e presente dove sono rivisitati gli ultimi cinquant’anni e le trasformazioni profonde per la città e per le fasce più popolari, e la seconda che dà anche il titolo al volume, Roma come se, dove Tocci prova a immaginare come sarà Roma a metà del XXI secolo. Le due parti sono solo apparentemente separate, poiché in realtà l’autore immagina il futuro partendo dal passato, ben consapevole che senza il superamento delle contraddizioni del suo passato è impossibile per Roma anche solo pensarlo un futuro.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La prima parte si divide in quattro capitoli. Il primo capitolo ha un titolo che è già di per sé un programma, L’inquieta modernità, sulle contraddizioni di una Roma città storica senza storicità, mentale senza razionalità, statale senza statualità, postmoderna senza modernità. Un capitolo che è ben riassunto dalla bella citazione di Renato Nicolini che lo chiude «che bisogno c’era di adattare Roma alla miseria di dover diventare moderna? Un insulto quando si gode della sorte di essere di più di una città moderna» (p. 53). Il secondo capitolo è dedicato alle avanguardie culturali. È davvero un bel capitolo questo che in poche pagine ricostruisce una storia sconosciuta ai più e racconta molto delle trasformazioni della città, passata in poco tempo dall’essere capitale della contestazione giovanile negli anni Settanta, alla nuova centralità della periferia negli anni Ottanta fino a uno sguardo sull’evoluzione del ruolo della Chiesa e le sue recenti trasformazioni dal convegno sui mali di Roma alla nuova spiritualità di Papa Francesco. Il terzo capitolo Si fa presto a dire popolo è dedicato alla mutazione del popolo romano dovuto principalmente alla rivoluzione dei consumi che ha cancellato le differenze antropologiche che caratterizzavano il dopoguerra fino a tutti gli anni Settanta. Niente più popolo comunista o democristiano, il popolo si somiglia ormai un po’ tutto e la sua trasformazione è ben sintetizzata dal “salotto” della De Filippi. Il quarto e ultimo capitolo della prima parte, Il riconoscimento di Roma, è dedicato alla sua lingua, il romanesco. Tocci osserva la mutazione del linguaggio sempre più contaminato con i dialetti soprattutto centro meridionali dei nuovi romani che ne fanno una lingua meticcia. Con la scusa della trasformazione della lingua, Tocci in questo capitolo racconta la trasformazione delle borgate romane e lo fa anche con aneddoti ripresi dalla sua lunga esperienza nelle sezioni di periferia come funzionario del PCI.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sono quattro i capitoli anche della seconda parte dedicati alla Roma del futuro, quasi a sottolineare la stessa importanza che ha e che deve avere per la città il culto del passato come quello del futuro. Il quinto capitolo è dedicato alla Città Mondo e alla doppia sfida che ne consegue: da un lato la capacità di accogliere i migranti che arrivano da altri “mondi” e dall’altro la capacità di rigenerarsi attraverso queste nuove energie per affrontare le profonde trasformazioni in corso. Un richiamo forte in questo capitolo è al ruolo euro-mediterraneo della città e all’importanza che il nostro mare avrà nel futuro di Roma e del Paese. Forse questo è il capitolo più geopolitico, per la capacità di guardare anche a come altri attori (la Cina prima tra tutti) entrano in gioco in campi che abbiamo sempre considerato esclusiva nostra. Lo sguardo alle trasformazioni non impedisce a Tocci una certa autocritica come quando osserva che «non sono i migranti a toglierci i servizi pubblici, ce li siamo tolti da soli seguendo politiche fallimentari in parte anche di sinistra» (p. 141). Il sesto capitolo è dedicato alla Città Regione, e qui Tocci sviluppa ulteriormente una riflessione che è già presente in alcuni suoi lavori precedenti, in particolar modo sottolineando come il nome Roma venga ancora oggi utilizzato per «una conurbazione che ha profondamente modificato una geografia secolare». Sono tantissimi i consigli per i futuri amministratori di Roma, che speriamo sappiano farne tesoro: dal recupero del sogno di Cederna per il centro storico, ai progetti che riguardano il Tevere, al recupero del litorale fino alla cura del ferro, suo storico obiettivo ai tempi della giunta Rutelli. Il settimo capitolo L’intelligenza sociale è dedicato alle grandi opportunità che arrivano dalle trasformazioni della città, per esempio dalla fine della centralità dell’automobile nella vita dei romani, fino alla riconversione ecologica delle case comunali e dell’ATER. Forse questo è il capitolo più visionario del libro, quello dove Tocci cerca di intercettare e leggere i cambiamenti in corso. Infine, nell’ottavo capitolo Il Governo sottolinea la forte necessità di un cambio di governance della città fino ad arrivare addirittura a proporre l’abolizione del Comune di Roma. Sia chiaro, osserva l’autore, che il mal governo della città, il collasso a cui è arrivata non è un problema di soldi e non è un problema di mancanza di poteri. Lo ripete spesso del resto Tocci che i grandi sindaci della capitale mai si sono lamentati di queste “piccole” cose, perché quello che è permesso al sindaco di una qualsiasi città italiana non è permesso al Sindaco di Roma. Il punto è piuttosto l’inadeguatezza del municipalismo romano sia a promuovere la proiezione internazionale della città sia a «governare la grande corona» (p. 225). In questo capitolo Tocci si addentra nei dettagli istituzionali con la maestria dell’amministratore pubblico che per buona parte della sua vita ha vissuto dentro questi meccanismi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">È un libro generoso quello di Walter Tocci, è un libro dove è possibile toccare con mano in tutte le 276 pagine il suo profondo amore per una città che lo ha visto rivestire negli anni diversi ruoli. Emerge con forza nella lettura del libro sia il funzionario politico che lo studioso della città, un passaggio quest’ultimo attraverso il quale l’autore consegna alla nuova generazione una testimonianza importante e soprattutto una raccomandazione su come procedere per il futuro, per il quale se «non si immaginano le cose grandi poi viene meno anche la tensione per realizzare le cose piccole» (p. 42)</div></span>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-20295905247177694382021-01-16T18:48:00.001+01:002021-01-16T18:49:11.381+01:00Il partito immaginario della città multiculturale<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: large;">Su </span><a href="http://www.strisciarossa.it/a-roma-serve-un-partito-dellinterculturalita-contro-la-xenofobia-dallalto/" style="font-family: times; font-size: large;">Strisciarossa del 1 gennaio 2021</a><span style="font-family: times; font-size: large;"> è stato pubblicato, per gentile concessione dell'editore Donzelli, un brano del libro </span><a href="https://waltertocci.blogspot.com/2020/12/in-senato-la-presentazione-online-del.html" style="font-family: times; font-size: large;">Roma come se</a><span style="font-family: times; font-size: large;">, tratto dal capitolo dedicato alla Città Mondo. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: large;">Si può leggere di seguito.</span></div><div><br /></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">A Roma c’è un fermento di iniziative di accoglienza e solidarietà con i migranti, non solo nelle scuole. Agiscono grandi e piccole associazioni, enti, fondazioni, alcune ben strutturate, altre più improvvisate, di ispirazione religiosa e di volontariato sociale, autogestite oppure sostenute dalle amministrazioni, radicate nei quartieri oppure di livello cittadino e internazionale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Possiamo stimare l’impegno di almeno centomila romani nel volontariato. E la cifra potrebbe salire a mezzo milione considerando anche le persone bendisposte verso i migranti nelle ordinarie relazioni di lavoro, di studio, di vicinato; ma si potrebbe stimare la cifra di almeno un milione di romani se includessimo l’opinione pubblica favorevole.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Sono rispettivamente gli attivisti, i sostenitori e gli elettori di un potenziale partito immaginario dell’interculturalità. So bene che non hanno alcuna intenzione di diventare un partito, e poi la politica di oggi non è fatta di questa pasta. Ma proprio l’inattualità dell’espressione esprime una potenzialità: se tutte le persone impegnate nelle migrazioni avessero davvero una voce unitaria, un progetto e un’organizzazione costituirebbero una forza irresistibile, di gran lunga più convincente dei partiti attuali, e capace di travolgere la xenofobia(…)</span></div><span style="font-size: medium;"><a name='more'></a></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Roma sarebbe più povera, più disabitata, più anziana, più chiusa senza i suoi circa 400 000 immigrati ormai inseriti nel lavoro, nel commercio e nei quartieri. Ha cominciato tardi e male, ma ormai è avviata a diventare una città multiculturale, come è stata quasi sempre nella storia e come sarà certamente in futuro. Il processo avviene in profondità, non è raccontato nel discorso pubblico, anzi il circo politico-mediatico sposta l’attenzione sull’emergenza degli sbarchi. E così la più profonda trasformazione di questo secolo viene gestita come un’emergenza quotidiana.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Nel buon senso popolare, però, è in atto un riconoscimento reciproco di lingue, di culture e di differenze. A differenza dei ruspisti da talk-show, molte persone di borgata hanno conosciuto la povertà e non l’augurano al migrante, anzi se possono gli porgono una mano. Inoltre, hanno una «mente mediterranea» che le accomuna, nel bene e nel male, con gran parte degli stranieri. Le badanti aprono le finestre delle case di borgata ai diversi costumi del mondo. I matrimoni misti con un coniuge extraeuropeo, il 12% del totale, consolidano imprevedibili storie d’amore. Nelle religioni torna la molteplicità dei riti, come nella città antica. Nel commercio sono generalmente apprezzate le differenze dei consumi multietnici e dei tempi di apertura, anche se non manca la diffidenza per la concorrenza con i commercianti italiani ; nel lavoro i migranti che arrivano nella capitale sono più istruiti di quelli che si dirigono nelle altre regioni italiane (51% contro 38% con almeno il diploma) e hanno determinato l’aumento dell’occupazione nel decennio; la percentuale delle imprese promosse dai migranti (13,7%) è superiore alla loro quota in rapporto alla popolazione (12,8%) . Nelle arti si diffondono creative contaminazioni, per esempio quelle di teatro, musica, rap e hip-hop promosse dai giovani dall’associazione Matemù . Con la musica etnica torna la melodia nelle strade di periferia, riempiendo il vuoto lasciato dagli stornelli popolari. Tra i giovani l’attività sportiva e l’immedesimazione verso i campioni romani – Totti sopra tutti – sono veicoli di socializzazione e di apprendimento della lingua, come dimostra l’associazione Liberi Nantes che ha rivitalizzato il campo sportivo XXV Aprile, costruito a suo tempo dai comunisti di Pietralata(…).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Allora perché si dice che è una città razzista? È apparsa così in seguito alle rivolte contro i rom e gli stranieri che hanno occupato per mesi le prime pagine dei giornali e delle televisioni. I fatti gravissimi – il più orribile è stato il pane dei migranti calpestato a Torre Maura – hanno riguardato i comprensori delle case di proprietà pubblica. La gestione dell’Ater e del Comune è il settore più malgovernato della città.Sono le iperperiferie per i livelli più alti di diseguaglianza nella scolarità, nel reddito e nell’occupazione rispetto ai quartieri circostanti . Da molti anni si è accumulato il disagio materiale e sociale e un forte risentimento verso le istituzioni. Non è difficile quindi per un gruppo di squadristi accendere una miccia, incendiare la protesta e chiamare le telecamere per organizzare il racconto di una città razzista.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La destra ha investito molte risorse comunicative per suscitare la paura dello straniero, riuscendo così a riconquistare i consensi perduti in seguito al fallimento delle sue ricette economiche e alla disfatta del berlusconismo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">È riuscita a imporre la narrazione unica dell’invasione, come una cornice, un frame , che spiega tutti i fenomeni e cattura anche le opinioni di chi non la condivide. Il suo successo deriva da due vantaggi, uno comunicativo e l’altro politico.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">È convincente perché la forma del frame coincide con la logica intrinseca dei media che privilegiano l’eccezione e la drammatizzazione rispetto all’ordinario. Infatti, pur con diversi orientamenti culturali, essi parlano allo stesso modo di migrazioni: nelle prime pagine dei giornali sono apparse il 51% di volte nella versione delle «invasioni», mentre solo il 9% come processi profondi di integrazione (…). La percezione del numero di immigrati in Italia supera di tre volte la dimensione reale, come accade solo in Ungheria e Polonia . È la Caporetto dell’informazione sulle migrazioni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La xenofobia viene dall’alto, non è frutto dello spontaneismo sociale. Certo, è alimentata dal disagio economico, si avvale di pulsioni antropologiche, si serve di atavici stereotipi. Non mi sfugge che oltre la generosità popolare di cui ho detto sopra, c’è anche la tendenza opposta del capro espiatorio come espressione dell’odio dei penultimi nei confronti degli ultimi. Ma tutti questi istinti sociali sono assemblati in una costruzione prettamente politica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Manca una narrazione alternativa</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">E in questa dimensione c’è il secondo vantaggio per la destra: la sua propaganda non è contrastata da alcuna narrazione alternativa. Perché è ancora immaginario il partito dell’interculturalità e opera solo per buone pratiche, senza avere la forza di influire sul discorso pubblico. Questo, nel frattempo, dovrebbe essere compito della sinistra, la quale da quando ha superato le vecchie ideologie, ha smarrito anche la capacità di orientare il senso comune. Di conseguenza si limita a chiosare il frame vincente, ma così finisce per rafforzarlo, mentre potrebbe scalzarlo solo con un diverso discorso popolare.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">La maggioranza dell’opinione pubblica, per esempio, se bene informata, sarebbe favorevole a dare la cittadinanza italiana ai giovani figli dei migranti che studiano nelle nostre scuole, giocano, cantano, e parlano italiano. Ma nessuno a sinistra si è mai speso per elaborare una comunicazione efficace. Il ricorso al latinorum dello ius soli o ju sculturae dice tutto sulla sterilità del messaggio. E così i nostri parlamentari si ritraggono quando si tratta di approvare la legge, con la scusa dei sondaggi, ma senza aver fatto nulla per modificarli.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">A forzare la decisione potrebbero essere le città. Il Campidoglio dovrebbe conferire in via amministrativa la cittadinanza onoraria alle ragazze e ai ragazzi nati in Italia o che frequentano le scuole dell’obbligo, seguendo l’esempio di Napoli . Ancora meglio, Roma sarebbe davvero capitale del Mediterraneo se proponesse a tutte le città del bacino l’iniziativa comune di riconoscere la cittadinanza onoraria ai migranti.</span></div>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-37884586325599642952021-01-03T17:18:00.002+01:002021-01-03T17:21:00.207+01:00Il Politecnico di Roma<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><i>Da molto tempo sono convinto che Roma abbia bisogno di un Politecnico, di un centro propulsivo di crescita e condivisione della conoscenza. Non un nuovo ateneo, ma un connettore tra il sistema città e le attuali strutture di ricerca e di alta formazione. Ne ho parlato nell'ultimo capitolo del libro <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2020/12/in-senato-la-presentazione-online-del.html"><b>Roma come se</b> </a>(pp. 251-3) e poi con l'amico Marco Simoni abbiamo rilanciato la proposta in un articolo sul Messaggero del 9 dicembre 2020, che si può leggere di seguito.</i></span></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Dopo l’Istituto Italiano di Tecnologia a Genova e, quindici anni dopo, lo Human Technopole a Milano nell’area dell’Expo2015, il governo intende creare altri poli di aggregazione scientifica nel nostro paese. Il Presidente Conte ha annunciato recentemente un nuovo polo internazionale per l’Agri-Tech a Napoli, oltre alle iniziative già recentemente lanciate del centro di super computer a Bologna e quello per l’intelligenza artificiale a Torino. Come è evidente c’è una grande assente da questo piano tanto importante quanto condivisibile: Roma. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Attenzione: non si tratta di sollevare una polemica o di una rivendicazione territoriale, ma di un bisogno economico e di sviluppo del Paese che non può più permettersi una Capitale che indietreggia. Roma non è solo un centro amministrativo, è una Capitale scientifica e tecnologica, ancora alimentata da un grande Novecento: la fisica di Fermi e Amaldi, la scuola di matematica di Volterra ed Enriques, l’informatica di Ruberti, i satelliti di Broglio, l’Istituto di Sanità di Marotta, il Cnen di Ippolito, i radar della Selenia. Roma esercita un’influenza economica diretta su un terzo del Paese, e una indiretta proiezione globale fondamentale per tutta l’Italia. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Noi pensiamo dunque che sia il momento di investire in un nuovo Politecnico di Roma, anche con le risorse del programma Next Generation EU. Non deve essere un altro ateneo che si sovrappone a quelli esistenti, ma un centro propulsivo di crescita e diffusione della conoscenza, in grado di connettere le migliori risorse delle università e dei centri di ricerca, di coinvolgere le imprese romane nelle sfide tecnologiche e di mobilitare i luoghi urbani della creatività. Deve essere una struttura pubblica di alta competenza scientifica, indipendente da condizionamenti burocratici e baronali o di piccolo cabotaggio politico, capace di connettere Roma al resto del mondo, alle sue tendenze più dinamiche, avendo l’ambizione di modificarle e orientarle. <span><a name='more'></a></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Il nome Politecnico andrebbe utilizzato nel significato moderno di concatenazione di saperi, che unisce e supera le distinzioni disciplinari. Per affrontare i grandi problemi della contemporaneità, dal cambiamento climatico, alle grandi sfide delle migrazioni, alla nuova questione sanitaria aperta dalla pandemia non sono più sufficienti gli specialismi isolati e separati. Scienze naturali, tecnologia, humanities, economia, sociologia, scienza dei dati devono essere incluse e comprese per promuovere la crescita e l’applicazione della conoscenza in tutti i processi di trasformazione della capitale. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Per superare la crisi di produttività del sistema economico bisogna costruire ponti tra università, centri di ricerca e imprese sia nei settori strategici per il futuro che nei settori più tradizionali. Non deve più accadere che preziose intuizioni e invenzioni rimangano chiuse nei laboratori senza trovare la via della produzione e della commercializzazione o di miglioramento della qualità urbana. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Il Politecnico di Roma assume la multidisciplinarietà come metodo per rafforzare e valorizzare il nostro passato che è la nostra identità, e per affrontare il futuro offrendo risposte alla vita quotidiana delle persone. Da un lato può diventare la più importante istituzione internazionale per la promozione delle scienze dell’antichità, che sviluppa ricerca e formazione negli studi classici: archeologia, restauro, archivi, storia dell’arte, latino, greco. Dall’altro lato può essere un faro di punta nelle tecnologie e nelle conoscenze necessarie all’economia dello sviluppo sostenibile: fisica, chimica, matematica, ingegneria, intelligenza artificiale. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Crediamo che l’idea del Politecnico possa svilupparsi solo se sentita come propria dalla città e prima di tutto dalle sue istituzioni della scienza e della formazione. E se ispirata dal valore guida del servizio. Primo, il servizio alla comunità scientifica, col sostegno alle iniziative che posizionano Roma sulle frontiere tecnologiche di livello internazionale. Secondo, il servizio alle aziende per esempio mediante programmi di ricerca applicata a effettivi processi di innovazione. Infine, servizio alle persone, attraverso un rapporto organico con la città. L’economia dei cicli di vita, del suolo, dell’acqua, del cibo, dei rifiuti e dell’energia ha bisogno di socializzare i saperi contemporanei. I cittadini romani devono poter godere della scienza e della tecnologia che spesso già oggi nasce nell’Urbe e poi però si sviluppa altrove. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">Soprattutto: attraverso le azioni che abbiamo citato il Politecnico potrà alzare la domanda di innovazione anche direttamente, ad esempio attraverso un rapporto collaborativo con le istituzioni pubbliche che innervi i capitolati di appalto di requisiti favorevoli alle sperimentazioni tecnologiche, alle performance ambientali, al protagonismo sociale. Un nuovo, forte e indipendente Politecnico può sviluppare l’intelligenza sociale di Roma dando forma a una grande politica dell'innovazione per attivare la transizione tecnologica del sistema produttivo, per modernizzare i servizi pubblici, innalzare la qualità del lavoro e adeguare le competenze diffuse della popolazione alle nuove sfide, rimuovendo quelle disuguaglianze di accesso alla conoscenza che il lockdown ha svelato. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;">In questo modo, proprio dalla principale città italiana, può emergere una risposta nuova alla crisi della democrazia in cui viviamo da ormai due lustri. Finora le reazioni sono state di tipo regressivo verso la sfiducia e la chiusura. Al contrario, basandoci sull’innovazione, la ricerca e la formazione, possiamo disegnare una risposta concreta e plausibile, una nuova democrazia della cittadinanza, costituita di apertura, di solidarietà e di progresso. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><p><span style="font-size: large;"></span></p>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6703531249497171828.post-203051603057198992020-12-21T17:02:00.001+01:002020-12-21T17:02:33.991+01:00Il discorso pubblico su Roma <p><span style="font-family: times; font-size: medium;">Il Centro per la Riforma dello Stato (CRS) <a href="https://www.centroriformastato.it/roma-come-se-alla-ricerca-del-futuro-per-la-capitale-1/">ha pubblicato</a>, per gentile concessione dell'editore Donzelli, un brano del libro <a href="https://waltertocci.blogspot.com/2020/12/ecco-il-mio-nuovo-libro-su-roma.html">Roma come se</a>. Si tratta della parte finale dell'Introduzione (pp. 20-2 e 26-8) dedicata al discorso pubblico sulla capitale. Riprendo il testo in questo blog.</span></p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’esaurimento delle tre rendite (statale, immobiliare e simbolica n.d.r.) è il filo conduttore di questo libro e avremo modo di tornarci in seguito. Qui, intanto, vale la pena tratteggiarne la periodizzazione in una breve storia a ritroso distinta in quattro fasi: negli ultimi 10 anni si sono aggravati tutti i fattori di malessere; bisogna capire perché la rinascita iniziata circa 25 anni fa non ha avuto seguito; per molti aspetti le cause discendono dallo sviluppo degli ultimi 50 anni; ma la ricerca delle radici più profonde mette in discussione l’intero ciclo dei 150 anni della capitale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Della crisi esplosa negli ultimi 10 anni la pubblicistica ha raccontato gli aspetti contingenti, ma vale la pena riassumerne i principali fenomeni strutturali.<span><a name='more'></a></span><span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">1. Il più grave di tutti è costituito dalle disuguaglianze sociali. Come hanno mostrato le Mappe di Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tomassi, sono insostenibili gli squilibri tra centro e periferia in termini di reddito, occupazione, salute e istruzione. Nessun programma di governo sarà credibile se non proporrà azioni concrete per «rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana», secondo l’articolo 3 della Costituzione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">2. La questione ecologica si avverte in tutte le dimensioni del malessere urbano: l’inquinamento delle risorse vitali, la fragilità idrogeologica del territorio, l’incuria dello spazio pubblico e delle infrastrutture, l’inadeguatezza dei servizi di trasporto e di nettezza urbana.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">3. Il collasso della classe politica è l’esito di due fallite ambizioni nazionali, di sinistra e di destra, seppure accompagnate da risultati nel primo caso molto positivi e nel secondo molto negativi per la città. In entrambi i poli c’è stato il tentativo di prendere la guida dei rispettivi schieramenti nazionali, facendo di Roma una capitale politica. Rutelli e Veltroni sono stati candidati a premier dal centrosinistra come riconoscimento del buon lavoro svolto come sindaci. Dopo le sconfitte elettorali però si è visto che dietro le loro leadership non era cresciuta una classe politica capace di proseguire e migliorare l’opera. Anche a destra, Storace e Alemanno tentarono di affermare la «destra sociale» come soluzione alla declinante leadership di Bossi e Berlusconi. Ma l’illusione è naufragata nei pessimi governi della Regione e del Comune che hanno lasciato solo macerie alle amministrazioni successive.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">4. La criminalità ha sviluppato una potente rete di relazioni nazionali e internazionali. Le diverse mafie italiane – la ’ndrangheta, la camorra e le cosche siciliane – e quelle straniere – russe, slave, nigeriane – pur essendo abituate a occupare i territori in modo esclusivo sono riuscite a concordare patti di convivenza. Ciascuna organizzazione opera senza entrare in conflitto con le altre e tutte insieme cooperano come hub dei flussi mondiali della droga. Paradossalmente, solo nella criminalità rimane attiva la funzione mediatrice della capitale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In questi quattro fenomeni emergenti si avverte l’esaurimento della rendita capitale. Non sarebbe bastato a mettere in ginocchio la città, però, se non fosse stato aggravato dalla crisi mondiale del 2008. Il povero linguaggio degli economisti ortodossi alimenta l’illusione che si possa tornare allo stesso tipo di crescita, come fosse un ordinario ciclo di stagnazione e sviluppo. Non è solo una crisi economica è una grande trasformazione del mondo, dei rapporti tra democrazia e potere, dei modi di produzione e di consumo, degli immaginari collettivi, dei rapporti tra le civiltà. E il decennio approda alla guerra mondiale contro la pandemia, modificando tutte le relazioni, da quelle interpersonali a quelle internazionali. Per certi versi solo adesso comincia il XXI secolo e si conclude non il breve ma il lungo Novecento.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">[…]</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tutto comincia negli anni settanta, quando si pongono i grandi problemi che i decenni successivi non riusciranno a risolvere, fino a oggi. Questa dinamica è molto chiara in Italia, ma è meno evidente a Roma. Perché le crisi già innescate in quel decennio vengono oscurate dalla vittoria del movimento popolare di emancipazione nato nel dopoguerra.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Da questa tensione emerge la grandezza di Luigi Petroselli: non solo è stato il sindaco che in soli due anni ha lasciato un’impronta indelebile, ma la sua figura si erge sul crinale di due epoche storiche.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Diventa sindaco nel 1979 quando comincia un nuovo ciclo della politica mondiale, ma nel contempo porta a compimento le aspettative e i bisogni dei Trenta Gloriosi. Oltre la memoria affettuosa di tanti romani verso la sua persona, rimane l’interrogativo di come avrebbe saputo governare con il vento contrario degli anni ottanta.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’irrisolvibile dilemma assume un significato tragico se si pensa alla modalità della morte, a Botteghe Oscure durante la riunione del Comitato centrale del Pci. Il suo cuore sofferente cessa di battere appena concluso un appassionato discorso sulla nuova fase della politica italiana e mondiale, per la prima volta in dissenso con Enrico Berlinguer.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sentieri interrotti</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Infine, merita una riflessione la conclusione del ciclo dei 150 anni.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Al tramonto di una storia torna sempre in mente l’inizio. Anche nelle vicende personali, quando comincia una vicenda d’amore o professionale o di impegno civile sono aperte molte strade, ma poi si prende una direzione e si abbandonano le altre. Quando la via prescelta arriva ad un cul-de-sac, vengono alla memoria i sentieri interrotti dell’inizio.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Gli obiettivi non realizzati a fine Ottocento costituiscono i sentieri interrotti di Roma capitale. E oggi appaiono paradossalmente come ambizioni per l’avvenire.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Gli intellettuali europei sollevavano due problemi nel dialogo con la sapiente classe politica della destra storica. In primo luogo il pericolo di limitare il carattere universale della città in un contenitore nazionale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">«Ma che cosa intendete fare a Roma? Questo ci inquieta tutti: a Roma non si sta senza avere di propositi cosmopoliti», così Theodor Mommsen ammoniva Quintino Sella dopo Porta Pia. E il ministro rispondeva che non sarebbe stata una città burocratica e neppure una città industriale, ma un centro di produzione della cultura.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Utilizzava un’espressione bellissima – il luogo del «cozzo delle idee» – per sottolineare il confronto e perfino il conflitto dei saperi come condizioni per la crescita della conoscenza. La rammemorazione di quel progetto è oggi un incoraggiamento a ripensare il carattere universale della capitale nella produzione culturale contemporanea.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">C’era un altro interrogativo degli intellettuali europei45: come risolverete il problema dell’Agro romano? La letteratura del Grand Tour aveva rappresentato lo stupore e il timore dei visitatori nell’attraversare, dopo il bel paesaggio toscano, la campagna malarica, misteriosa e selvaggia, per poi trovarsi all’improvviso a Porta del Popolo, finalmente a Roma. Del grande vuoto il Belli ha dato una rappresentazione drammatica nel sonetto Er deserto: «l’unica cosa sola c’ho trovato/ in tutt’er viaggio, è stata una bbarrozza/ cor barrozzaro ggiù mmorto ammazzato».</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nei decenni post-unitari l’Agro diventa il tema di ricerca per diversi saperi: nella sanità, lo studio della malaria; in economia, lo studio pioneristico del giovane Werner Sombart sullo sviluppo locale; nell’ingegneria, le tecniche della bonifica; nella pittura, lo studio del paesaggio e così via. Nonostante il fervore ottocentesco di studi e di progetti, la Roma del Novecento ha risolto il problema nel modo peggiore, con la disseminazione edilizia nel territorio.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">I programmi più ambiziosi di Roma capitale – il cozzo delle idee e la rinascita dell’Agro – sono stati negati o stravolti. Proprio questi sentieri interrotti, però, oggi indicano la via d’uscita dalla crisi della città coloniale. L’idea di Roma cosmopolita, al netto della retorica idealistica e positivistica, può essere attualizzata come Città Mondo aperta alla globalizzazione. Il problema della Campagna romana può trovare nuove soluzioni nella dimensione della Città Regione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Non si tratta solo di un ampliamento di orizzonti globali e locali, ma è un cambiamento di paradigma. Se la capitale otto-novecentesca è stata generata dalla coppia nazione-città, la capitale del nuovo secolo troverà le sue opportunità nella coppia mondo-regione. La prima coppia ha attivato relazioni verticali, di natura politico-burocratica,</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">nell’economia esogena e protetta. La seconda coppia va pensata come un insieme di relazioni orizzontali, di natura sociale e culturale, nell’economia endogena e creativa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il futuro di Roma dipenderà meno dal rapporto Comune-Stato e si giocherà nelle due dimensioni più ampie e più aperte: che cosa saprà fare nelle relazioni internazionali e come saprà strutturare la sua area regionale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In conclusione, i sentieri interrotti costituiscono la dolorosa domanda su come sarebbe stata la capitale se fossero stati realizzati i migliori propositi dell’Ottocento. La riflessione storica qui non solo non è pacificata ma sovverte il conformismo attuale e riapre la prospettiva.</div></span>Walter Toccihttp://www.blogger.com/profile/13913691743282678967noreply@blogger.com1