Le ragioni della cura del ferro sono tutte di importanza strutturale per l’Italia.
L’aumento del traffico
è principalmente causato dal diradamento delle grandi città
verso le aree metropolitane. Gran parte delle conurbazioni sono
dilagate nei rispettivi hinterland, creando intorno alla parte
consolidata una galassia di insediamenti sparsi. Le chiamiamo ancora
con i nomi storici – Roma, Napoli, Milano ecc. – ma sono oggetti
geografici completamente diversi dal passato. La campagna si è
fatta metropoli senza passare per la città.
Le conseguenze di tale
forma insediativa si fanno sentire soprattutto nell’aggravamento
dei problemi di mobilità. I cittadini vanno ad
abitare sempre più lontano, ma d’altro canto hanno bisogno
comunque di recarsi in città per lavorare, con l’evidente
accentuazione di tutti i fenomeni di pendolarismo. Aumentano così
il numero e la lunghezza degli spostamenti e in molti casi l’uso
dell’automobile diventa una scelta forzata. In queste condizioni le
politiche positive per la mobilità, intraprese da molti
Comuni, sono vanificate dagli effetti delle trasformazioni
urbanistiche. Ciò che sembra quasi un destino cinico e baro
non è altro che la conseguenza, almeno in parte, di
trasformazioni urbane lasciate a se stesse.
Per questo motivo
l’inquinamento urbano continua a essere un problema grave.
Rispetto agli obiettivi di Kyoto, l’inquinamento causato del
trasporto non solo non è diminuito, ma è
pericolosamente aumentato. Il pendolarismo ha contribuito
significativamente all’aumento vorticoso - +235% - dell’uso
dell’automobile negli ultimi trent’anni. Anche i morti sulle
strade aumentano soprattutto nelle aree metropolitane.
Il guasto più
grave di questo dissennato sviluppo metropolitano è proprio
nel rapporto perverso che si è realizzato tra mobilità
e organizzazione territoriale. La città diffusa aumenta la
dipendenza dall’uso dell’automobile e quindi richiede la
costruzione di nuove strade che a loro volta accentuano il
diradamento urbano, innescando così un circuito vizioso che
porta alla saturazione del territorio, con il paradosso di
insediamenti a bassa densità connessi da strade perennemente
ingorgate.
Per compiere la svolta
c’è solo una politica possibile: investire decisamente sul
trasporto pubblico, sulla scala dell’area vasta dove ormai si è
collocata la dinamica urbana. Il recupero e il potenziamento delle
ferrovie locali assume quindi un’importanza strategica, non
solo per migliorare il servizio pubblico, ma per rendere possibili
nuove scelte di pianificazione territoriale.
Si presenta una grande occasione per compiere la svolta. Nel prossimo decennio, se saremo in grado di concludere la lunga e faticosa attuazione della rete ad alta velocità, avremo una disponibilità aggiuntiva del 50% sui tracciati ferroviari delle reti regionali. Se a questi si aggiungeranno tante linee locali ancora ampiamente sottoutilizzate e i vecchi impianti delle cosiddette ferrovie concesse, abbandonati negli anni Settanta, diventerà possibile realizzare una potente armatura su ferro nelle principali aree metropolitane.
Si presenta una grande occasione per compiere la svolta. Nel prossimo decennio, se saremo in grado di concludere la lunga e faticosa attuazione della rete ad alta velocità, avremo una disponibilità aggiuntiva del 50% sui tracciati ferroviari delle reti regionali. Se a questi si aggiungeranno tante linee locali ancora ampiamente sottoutilizzate e i vecchi impianti delle cosiddette ferrovie concesse, abbandonati negli anni Settanta, diventerà possibile realizzare una potente armatura su ferro nelle principali aree metropolitane.
Negli anni Cinquanta in
Germania si ricostruirono le vecchie ferrovie realizzando la rete
S-Bahn, che ha consentito alle piccole città tedesche di
sopportare un’equilibrata diffusione nell’hinterland e, nei
centri più grandi, di integrare il trasporto a lunga distanza
con le metropolitane classiche, le U-Bahn, e le reti tranviarie
saggiamente conservate. La stessa cosa si deve fare in Italia,
seppure con mezzo secolo di ritardo, non in seguito a una guerra, ma
come logica conseguenza della realizzazione della rete di alta
velocità. Si tratta dell’intervento strutturale più
importante per le città italiane, l’unico in grado di
migliorarne i servizi e nel contempo di renderle di nuovo
pianificabili.
Questa politica non solo
è utile, ma in un certo senso è anche obbligata. Stiamo
spendendo per l’alta velocità circa 30 miliardi di euro; se
l’unico risultato fosse il risparmio di mezz’ora nel viaggio
medio sarebbe davvero un investimento discutibile. La sua utilità
strutturale consiste invece proprio nel liberare gran parte della
rete attuale per il trasporto regionale; se non li riutilizzassimo avremmo dei rami della rete semplicemente ridondanti, ovvero degli
investimenti pubblici sottoutilizzati.
Lo sviluppo delle reti
regionali dovrebbe diventare una politica di grande impegno tecnico e
finanziario, con un programma pluriennale di investimenti per la
ristrutturazione dei vecchi impianti, miglioramento della qualità
del servizio, nuovo materiale rotabile, progetti di riorganizzazione
territoriale intorno alle stazioni. Occorrono approcci moderni nella
progettazione, nelle modalità realizzative e nella cultura del
servizio di un nuovo tipo di ferrovie, che non hanno nulla a che
vedere con l’attuale trasporto locale di FS. Non devono essere più
i tracciati di serie B della rete nazionale, secondo la mentalità
purtroppo consolidata in quell’azienda, ma vanno considerati gli
assi portanti di moderne reti metropolitane, come le travi su cui
appoggiare tutti gli altri sistemi di trasporto urbani:
metropolitane, tram e autobus.
Una volta definito lo
schema di area vasta è possibile definire le reti integrate di
trasporto all’interno delle città. Qui occorre superare
l’attuale legislazione nazionale che finanzia singole opere secondo
un’assurda separazione modale: esistono leggi distinte per le
metropolitane, per gli autobus, per i parcheggi e per le piste
ciclabili. Il contributo finanziario dello Stato deve invece mirare
all’attuazione di Programmi Urbani di Mobilità (PUM),
secondo modelli di integrazione modale, lasciando alle scelte
progettuali, non alle norme, l’individuazione delle diverse
tecnologie di trasporto. I PUM devono indicare le prestazioni che si
vogliono raggiungere secondo parametri verificabili, in modo che il
finanziamento statale sia allocato sui progetti più efficaci
per il miglioramento della mobilità.
Lo sviluppo delle reti
ferroviarie offre a ciascuna regione il quadro di riferimento per
disegnare l’integrazione di tutte le linee di trasporto. Con tale
approccio si può essere sicuri di realizzare investimenti
efficaci sulle altre modalità, le metropolitane per quelle
poche grandi città che ne hanno davvero bisogno e soprattutto
i tram per tutte le grandi e le medie città. Alla fine degli
anni Novanta i governi di centrosinistra lanciarono grandi
investimenti sulle metropolitane e sui tram che solo oggi sono
arrivati in attuazione. Abbiamo finalmente opere da prendere ad
esempio, come la metropolitana torinese e quella napoletana.
Abbiamo cominciato a
realizzare i nuovi tram all’europea, di grande capacità di
trasporto, eleganti ed efficaci, che non hanno niente a che vedere
con i vecchi tram sferraglianti del secolo scorso. Le città
europee che li hanno realizzati ne hanno colto le opportunità
per riqualificare i rispettivi centri storici, con ampie
pedonalizzazioni e nuove qualità urbane.
Città come Strasburgo proprio puntando sul tram sono uscite dal declino urbanistico e si sono collocate alla testa delle migliori politiche urbane europee. Anche in Italia si comincia a vedere qualcosa di buono. Proprio dove erano state più aspre le polemiche ai primi annunci, i nuovi tram si sono affermati come le migliori linee di trasporto: a Padova il tram è stato al centro dello scontro politico per almeno tre mandati elettorali e oggi è un vanto condiviso dalla cittadinanza; a Roma il tram 8, accusato perfino di portare jella, è diventato oggi il mezzo di trasporto più amato dai cittadini. Importanti realizzazioni ci sono state anche al sud, a Messina e a Sassari. Di grande efficacia la nuova linea di Firenze, anche per i turisti, che consente di lasciare l'auto a ridosso dell'autostrada per arrivare in centro storico con un mezzo di trasporto non inquinante.
Città come Strasburgo proprio puntando sul tram sono uscite dal declino urbanistico e si sono collocate alla testa delle migliori politiche urbane europee. Anche in Italia si comincia a vedere qualcosa di buono. Proprio dove erano state più aspre le polemiche ai primi annunci, i nuovi tram si sono affermati come le migliori linee di trasporto: a Padova il tram è stato al centro dello scontro politico per almeno tre mandati elettorali e oggi è un vanto condiviso dalla cittadinanza; a Roma il tram 8, accusato perfino di portare jella, è diventato oggi il mezzo di trasporto più amato dai cittadini. Importanti realizzazioni ci sono state anche al sud, a Messina e a Sassari. Di grande efficacia la nuova linea di Firenze, anche per i turisti, che consente di lasciare l'auto a ridosso dell'autostrada per arrivare in centro storico con un mezzo di trasporto non inquinante.
Ci sarà poi
bisogno di un fondo straordinario per il rinnovo del materiale
rotabile che costituisce una vera emergenza nazionale. Il ritardo
accumulato ha portato ad un pericoloso invecchiamento di tutto il
patrimonio dei rotabili che ha raggiunto la vita media più
alta in Europa. Per acquistare bus e treni necessari a gestire le
nuove infrastrutture e gradualmente rinnovare i mezzi esistenti sono
necessari due miliardi l’anno. Altrettanto si deve investire per il
finanziamento dei PUM, per complessivi quattro miliardi annui, di cui
si possono attribuire due allo Stato e due a regioni e comuni.
Le risorse necessarie
possono essere reperite nel modo seguente: 1) fondi dalle nuove
politiche europee di investimento; 2) finanziamenti recuperati dalla
cancellazione di opere inutili contenute nell’elenco dei 240
interventi della legge obiettivo; 3) liberalizzazione dei servizi di
trasporto per ridurre costi di gestione, salvaguardando i diritti dei lavoratori, e aumentare di
conseguenza le risorse per gli investimenti; 4) prelievo fiscale
sulle tariffe autostradali in modo che sia l’automobilista a pagare
il trasporto su ferro, essendo un soggetto che ottiene un
miglioramento nell’uso dell’automobile in seguito alla cura del
ferro; questo prelievo può essere compensato se nel frattempo
si abbassano le tariffe rivedendo le generose convenzioni che hanno
regalato alle società autostradali diversi miliardi di euro
per investimenti mai realizzati.
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