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venerdì 15 febbraio 2013

Dieci parole per l'ingegno italiano

Intervento alla manifestazione +Sapere=Sviluppo organizzata da LEFT a Roma, Teatro Piccolo Eliseo, 12 febbraio 2013

Le parole che usiamo per la riforma dell'Università e degli Enti di ricerca sono le stesse che indicano il cambiamento del Paese in senso più generale. Anche nel linguaggio la cultura è legata al futuro italiano. La politica del sapere, infatti, non è uno dei tanti capitoli del programma di governo, ma è la visione che spiega e rende credibile il progetto per l'Italia Giusta che vogliamo.

GIOVENTÙ è la linfa vitale che il Paese non deve più sprecare. C'è un paradosso da ribaltare: a perdere i giovani oggi sono proprio le istituzioni preposte alla cura della gioventù. Li perdono presto con alti tassi di abbandono scolastico, poi meno immatricolati all'università e i ricercatori costretti a lasciare o il Paese o la passione della ricerca.
Restituire ai giovani la fiducia negli studi significa restituire agli italiani la fiducia nell'Italia. La Destra voleva far capire in tanti modi che è inutile studiare. Dopo la vittoria, invece, noi faremo un discorso nuovo ai giovani. Questo è il vostro Paese e il governo vuole aiutarvi a cambiarlo. Nell'unico modo possibile al giorno d'oggi, con la crescita della conoscenza, tenendo le scuole aperte giorno e sera, riaprendo le porte dell'Università e degli Enti.



Solo chi stima le istituzioni del sapere può riformarle


Per cambiare il Paese abbiamo bisogno di prestigiose Istituzioni universitarie e di forti Enti di ricerca. Può farne a meno solo chi vuole conservare l'esistente.

Lo dimostra la destra che ha mortificato il sapere provocando un impoverimento produttivo, sociale e civile. I conservatori hanno aiutato per la discesa il Paese assecondando la debolezza dell'attuale struttura economica che domanda poca conoscenza e proprio per questo motivo perde posizioni nella competitività internazionale. Purtroppo il governo tecnico ha addirittura aggravato i tagli alla ricerca. Il ministro Profumo è caduto dal pero dicendo che essi condurranno "in default più di metà degli atenei".

Colpisce anche la pochezza dell'agenda Monti che riserva all'argomento solo frasi retoriche, non indica alcun provvedimento concreto e scivola anche su imprecisioni tecniche (cita le facoltà ormai cancellate dalla legge). Sono sintomi di uno scarso interesse riformatore.

Questi atteggiamenti negativi o superficiali in Germania avrebbero sollevato la critica del mondo produttivo e dell'intera classe dirigente ben consapevole di quanto la fortuna del loro paese dipenda dall'investimento in conoscenza.

Solo in Italia è potuto accadere che le istituzioni di studio e ricerca venissero denigrate dai governi, dai media e da settori rilevanti dell'establishment. Sono state prese a pretesto le malefatte di pochi per riversare fango su tutti con l'unico scopo di giustificare tagli lineari e nuove leggi che, sotto la retorica del merito, hanno solo appesantito la burocrazia. Tutto ciò ha finito per avvantaggiare chi fa peggio e ha messo i bastoni fra le ruote ai migliori professori e ai ricercatori più appassionati.

Gli effetti sono devastanti e cominciano a convincere la gioventù italiana ad abbandonare il sapere. Mai prima di oggi si era verificato contemporaneamente un calo delle immatricolazioni all'università e un vero e proprio esodo di ricercatori verso l'estero. Molti giovani ormai perdono la fiducia nella laurea perché sembra non offrire più prospettive sicure, altri sono costretti a rinunciare alla passione per la ricerca, altri ancora per conservare quella passione lasciano il Paese e molti abbandonano le terre del Meridione più avare di opportunità.

Fermiamo questo spreco di intelligenza! L'Italia ha bisogno dell'ingegno e del saper fare della gioventù per preparare l'avvenire. Ne ha bisogno per girare la testa verso il futuro, per accrescere la produttività della sua economia, per portare il Sud unito al Nord in Europa.

Solo chi stima le istituzioni del sapere può davvero riformarle. Chi le denigra può solo aggravarne i difetti. Questa è la differenza tra sinistra e destra nella politica della ricerca. Il PD sa bene che studenti, ricercatori e professori costituiscono una risorsa preziosa non ancora messa a frutto per il progresso civile ed economico. A tal fine intende definire che cosa il Paese può fare per le Istituzioni del sapere e che cosa queste Istituzioni possono fare per il Paese. La nostra stima, infatti, riguarda sia i meriti degli studiosi italiani sia i frutti che i loro studi possono portare alla prosperità nazionale.

Tutte le riforme più importanti per l'Italia implicano un forte impegno delle Università e degli Enti di ricerca. Ecco la prima domanda che si porrà il nostro governo: che cosa può fare la conoscenza per il Paese?



Le città dell'innovazione

Le città costituiscono la carta non ancora giocata dall’Italia per uscire dalla crisi. La cultura urbana è ciò che abbiamo di peculiare e di inimitabile nella competizione mondiale. In essa il filo della tradizione si intreccia con le opportunità del moderno. Solo a partire dai punti alti della nostra identità nazionale sarà possibile cogliere le sfide del futuro.

Le belle città italiane sono state sfigurate dall’industrializzazione, ma possono diventare luoghi ideali per la ricerca, le tecnologie, i servizi avanzati e l’alta formazione. L'innovazione in fin dei conti non è questione di tecnologie, ma di creatività. È un processo sociale che favorisce la produzione dei saperi e delle arti, l’invenzione di nuovi prodotti, l’elaborazione di nuovi stili di vita, mutamenti dell’organizzazione civile, condivisione di conoscenze, contaminazione tra esperienze diverse, apertura verso le differenze, ricambio generazionale, mobilità nella scala sociale ecc. Di fronte alla tendenza omologante della globalizzazione le differenze urbane diventano una risorsa in più.



mercoledì 13 febbraio 2013

Milano vista da Roma

Dialoghi Internazionali - Città nel Mondo, n. 18, 2013

E' sempre utile tornare sulla relazione tra Roma e Milano per comprendere presente e futuro del nostro Paese. La globalizzazione non solo non archivia il vecchio dualismo nazionale, ma per certi versi ne illumina aspetti prima nascosti.

Le due città, diceva Prezzolini, sono come annotazioni sul passaporto spirituale degli italiani,  caratteri irriducibili e non di meno entrambi indispensabili per definire la fisionomia italiana. Tutto ciò è la conseguenza dell'eccentricità o meglio della mancata centralità di Roma, una capitale anomala che non è mai riuscita a rappresentare da sola l'intero carattere nazionale, come invece hanno saputo fare Londra o Parigi. In ogni caso, della relazione tra le due città è interessante sia il lato antitetico sia quello complementare.