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giovedì 8 maggio 2014

Il voto in Senato sul decreto del lavoro


Non condivido il decreto sul lavoro approvato ieri in Senato. Non potendo smentire la decisione favorevole del mio Gruppo ho scelto di non partecipare al voto. L’indegna bagarre scatenata dal gruppo 5 Stelle occupa lo spazio mediatico e rende più difficile una discussione serena e di merito. Anche per questo sento il bisogno di chiarire le mie motivazioni. 

Avevo sperato che il Jobs act di Matteo Renzi potesse davvero cambiare verso, ma purtroppo è stata una promessa mancata per almeno tre motivi.

a) Il contratto a tutele crescenti e sostitutivo delle forme precarie doveva superare il fossato tra garantiti e non garantiti. E invece il decreto rende il contratto a termine lo strumento quasi esclusivo per i giovani, aggravando una tendenza già in atto. Viene cancellato l'obbligo per l'imprenditore di motivare le ragioni dell'assunzione temporanea e quindi viene impedita qualsiasi forma di controllo. D'altro canto, in caso di violazione del massimale di contratti a termine presenti in azienda ci sarà solo una multa, perché è stato cancellato - come ha voluto Sacconi - l'obbligo di trasformazione in contratto a tempo indeterminato. Eppure questa sarebbe la basilare configurazione di un rapporto di lavoro, secondo una precisa direttiva europea che viene elusa palesemente.
Si è rinviato il contratto unico ad un decreto legislativo da approvare nei prossimi anni. Come ha osservato Tito Boeri il decreto di oggi vanifica la futura riforma, perché le imprese avranno interesse a utilizzare queste norme invece di quelle che offriranno eventualmente più garanzie ai lavoratori.

mercoledì 7 maggio 2014

Jobs act, prima e dopo



Jobs act e decreto lavoro. Il primo, annunciato da Matteo Renzi, prometteva una piccola rivoluzione; dare priorità al lavoro, riconoscerne la dignità, semplificare norme e leggi per favorire l’impiego, investire sulla qualità del lavoro.

Il decreto lavoro invece, si limita a intervenire sui contratti a termine e apprendistato. Anziché semplificare, lo fa in modo minuzioso e dettagliato, tanto da incanalare il dibattito parlamentare esclusivamente su aspetti come la durata dei contratti a termine o il numero delle proroghe, sulla forma scritta o orale dei piani formativi per l’apprendistato e le quote di assunzioni vincolanti. Nel decreto si ripete così, ancora una volta, lo stesso errore che hanno compiuto per anni i governi di centro-destra, nell'idea che abolire le tutele giuridiche previste a difesa dei lavoratori accresca la competitività delle imprese sul mercato.

In questo modo si snatura la proposta originaria. Con la disoccupazione che supera il 12% e quella giovanile che è addirittura doppia, non si può aver paura della flessibilità, ma, se non bastasse l'esperienza degli ultimi anni nel nostro Paese, ci sono Spagna e Grecia a dimostrarci che l’apertura generalizzata al lavoro precario e senza vincoli conduce a percentuali insopportabili di disoccupazione che non accennano a diminuire. Noi vogliamo stare in Europa e non farci confinare in un Europa di serie B.