La cura del ferro è un programma di sviluppo della rete dei trasporti a Roma. Fu impostato venti anni fa e ha avuto alterne vicende in fase attuativa. In questo saggio si analizzano le incompiute e gli equivoci che si sono accumulati in passato e si individuano i possibili sviluppi per il futuro.
Il Comune di Roma propose nel 1996 una nuova pianificazione dei trasporti con la rete chiamata Metrebus 3x3[1]. Il nome della rete riprendeva quello dell’abbonamento che i cittadini avevano già conosciuto l’anno prima con la novità dell’integrazione tariffaria valida per i bus, le metro e le ferrovie[2]. La rete prevedeva tre passanti ferroviari regionali che scambiavano con tre metropolitane urbane. Per i primi si passò subito all’attuazione delle prime tratte, una per ciascun passante. La FR1 da Fara Sabina a Fiumicino era già stata messa in servizio nei primi mesi del mandato Rutelli utilizzando l’infrastruttura esistente che verrà poi potenziata negli anni successivi. Il cosiddetto “passante dei laghi” da Bracciano ai Castelli fu realizzato in parte da Cesano a San Pietro cogliendo l’occasione del Giubileo, ottenendo forse la più bella ferrovia metropolitana italiana sul modello delle S-Bahn tedesche, oggi impreziosita da una pista ciclabile che scorre sopra la galleria. E il terzo passante avrebbe dovuto connettere Guidonia a Civitavecchia attraverso il completamento dell’anello ferroviario nella zona di Vigna Clara. La realizzazione della tratta da Lunghezza a Tiburtina fu imposta dal Comune come condizione per l’approvazione urbanistica del tracciato dell’Alta Velocità.
Fu un recupero del patrimonio ferroviario esistente, per quasi un secolo colpevolmente sottoutilizzato e abbandonato all’obsolescenza tecnologica; la linea per Cesano, ad esempio, era rimasta a fine Ottocento, senza elettrificazione e a un solo binario. Lavorando sulla vecchia infrastruttura si evitarono le difficoltà di impatto che di solito accompagnano i nuovi tracciati. Si ottennero con costi modesti risultati formidabili, liberando dall’ingorgo diverse parti dell’hinterland. In poco tempo raddoppiò il numero di passeggeri, ma il successo divenne rapidamente un problema, perché il programma di attuazione – invece di proseguire allungando le tratte e potenziando i treni – si interruppe, creando quel disagio del sovraffollamento di cui ancora oggi soffrono i pendolari a Cesano, a Monterotondo e a Lunghezza. Si è fatto scoprire ai cittadini un servizio nuovo per poi abbandonarlo nel disinteresse generale. Dopo quelle tre ferrovie nessuna opera nuova è stata realizzata e neppure progettata. La mancanza di soldi è solo un alibi, se ci fossero progetti e volontà si potrebbero intercettare tanti finanziamenti nazionali non spesi.
Il Comune di Roma propose nel 1996 una nuova pianificazione dei trasporti con la rete chiamata Metrebus 3x3[1]. Il nome della rete riprendeva quello dell’abbonamento che i cittadini avevano già conosciuto l’anno prima con la novità dell’integrazione tariffaria valida per i bus, le metro e le ferrovie[2]. La rete prevedeva tre passanti ferroviari regionali che scambiavano con tre metropolitane urbane. Per i primi si passò subito all’attuazione delle prime tratte, una per ciascun passante. La FR1 da Fara Sabina a Fiumicino era già stata messa in servizio nei primi mesi del mandato Rutelli utilizzando l’infrastruttura esistente che verrà poi potenziata negli anni successivi. Il cosiddetto “passante dei laghi” da Bracciano ai Castelli fu realizzato in parte da Cesano a San Pietro cogliendo l’occasione del Giubileo, ottenendo forse la più bella ferrovia metropolitana italiana sul modello delle S-Bahn tedesche, oggi impreziosita da una pista ciclabile che scorre sopra la galleria. E il terzo passante avrebbe dovuto connettere Guidonia a Civitavecchia attraverso il completamento dell’anello ferroviario nella zona di Vigna Clara. La realizzazione della tratta da Lunghezza a Tiburtina fu imposta dal Comune come condizione per l’approvazione urbanistica del tracciato dell’Alta Velocità.
Fu un recupero del patrimonio ferroviario esistente, per quasi un secolo colpevolmente sottoutilizzato e abbandonato all’obsolescenza tecnologica; la linea per Cesano, ad esempio, era rimasta a fine Ottocento, senza elettrificazione e a un solo binario. Lavorando sulla vecchia infrastruttura si evitarono le difficoltà di impatto che di solito accompagnano i nuovi tracciati. Si ottennero con costi modesti risultati formidabili, liberando dall’ingorgo diverse parti dell’hinterland. In poco tempo raddoppiò il numero di passeggeri, ma il successo divenne rapidamente un problema, perché il programma di attuazione – invece di proseguire allungando le tratte e potenziando i treni – si interruppe, creando quel disagio del sovraffollamento di cui ancora oggi soffrono i pendolari a Cesano, a Monterotondo e a Lunghezza. Si è fatto scoprire ai cittadini un servizio nuovo per poi abbandonarlo nel disinteresse generale. Dopo quelle tre ferrovie nessuna opera nuova è stata realizzata e neppure progettata. La mancanza di soldi è solo un alibi, se ci fossero progetti e volontà si potrebbero intercettare tanti finanziamenti nazionali non spesi.