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giovedì 15 giugno 2017

Una manovra economica senza regole


Non ho votato la fiducia sul decreto economico quest'oggi in Senato, perché trovo che violi alcuni elementari principi istituzionali. Si può apprezzare o meno la nuova legge sui voucher, ma è inaccettabile l'inganno che ha sottratto alla Corte di Cassazione la valutazione delle nuove norme prima della cancellazione del referendum. Non era mai accaduto prima nella storia repubblicana.

È inaccettabile che il ministro Franceschini si faccia approvare una legge retroattiva per coprire l'errore giuridico che ha commesso riguardo ai direttori dei musei, anche se sono condivisibili le nomine internazionali. 
È inaccettabile lo stravolgimento delle regole urbanistiche per consentire ai costruttori degli stadi di ottenere le varianti riducendo i controlli dei Consigli comunali e dei cittadini, come se si volesse fare un favore alla sindaca Raggi. 
È inaccettabile che si riscrivano le regole fondamentali del trasporto pubblico locale senza dare la possibilità alla Commissione Trasporti del Senato di esprimere il parere. 
È inaccettabile che in un provvedimento di rigore della spesa pubblica appaiano contributi ad personam, ad esempio per il teatro Eliseo, senza neppure ricorrere a bandi pubblici. 
È inaccettabile che con il voto di fiducia si costringa il Senato ad approvare in una settimana un provvedimento calderone di circa trecento pagine, contenenti misure spesso estranee alla politica economica e prive dei requisiti di necessità e urgenza, in evidente contrasto con la Costituzione. 
È inaccettabile che tutto ciò sia imposto con la fiducia senza neppure consentire ai senatori del Pd una discussione all'interno del Gruppo. Eppure il Senato non è stato cancellato nel referendum del 4 dicembre.


domenica 11 giugno 2017

Prospettive del trasporto pubblico romano


Il mio articolo per il Corriere della Sera di oggi, 11 Giugno.

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Il referendum promosso dal partito radicale sul trasporto pubblico consente ai cittadini di decidere sul problema più importante di Roma. Il monopolio Atac è ormai insostenibile per le finanze comunali ed è causa di malessere quotidiano della città. Il ricorso alle gare europee è l'unico strumento che può abbassare i costi e quindi aumentare le percorrenze degli autobus e la qualità del servizio.

Come spesso accade nel nostro Paese, la discussione si è divisa tra favorevoli o contrari per motivi ideologici. È invece dirimente il modo: l'esito può essere molto positivo se le gare sviluppano l'interesse pubblico, così come molto negativo se si creasse un monopolio privato. È la differenza tra la liberalizzazione e la privatizzazione.

La liberalizzazione richiede la separazione tra le funzioni di regolazione - la rete, gli standard, le tariffe e gli impianti - e le funzioni di produzione - la guida dei mezzi e la manutenzione. Le prime costituiscono il valore sociale del servizio e devono rimanere sotto il controllo pubblico; le seconde invece sono attività industriali da migliorare mediante la concorrenza tra privati. Gli operatori che vincono i lotti delle gare, gradualmente uno per ogni deposito, devono fornire i servizi in base a costi, quantità e qualità definiti nei contratti, pena severe sanzioni da parte del Comune fino a eventuali rescissioni. I contratti garantiscono inoltre il posto di lavoro degli autisti e degli operai, ma non dei dirigenti; per ricostruire il principio di organizzazione oggi smarrito in Atac è necessario rinnovare il management.

lunedì 5 giugno 2017

Il rischio di un Parlamento devoto ai capi-partito


La nuova legge elettorale chiamata “tedesca” è in realtà molto italiana. Con le precedenti - Porcellum e Italicum - ha in comune il potere dei segretari di partito di nominare gran parte dei parlamentari sottraendoli alla scelta effettiva degli elettori. Cambiano le leggi e i proponenti, ma rimane costante la pretesa di un Parlamento devoto ai capi-partito di maggioranza e di opposizione. Si conferma la causa profonda della crisi politica italiana, ormai consegnata a leader incapaci di governare il Paese, ma determinati a conquistare la fedeltà personale dei parlamentari. Non a caso Grillo, Berlusconi, e Renzi, pur diversi su tutto, hanno in comune proprio la diffidenza verso la libertà di mandato prevista dall’articolo 67 della Costituzione. Gli uomini soli al comando vogliono un rapporto immediato con il popolo e non riescono ad ammettere una diversa fonte di legittimazione nel rapporto diretto tra eletti ed elettori.

La comune visione antiparlamentare emerge con chiarezza ora che si sono messi a scrivere insieme la legge elettorale. Sono arrivati perfino a stabilire che il capolista bloccato dovesse essere eletto al posto del candidato vincente nel collegio. Poi, di fronte alle proteste e al pericolo di incostituzionalità, hanno dovuto recedere, mettendo però una pezza peggiore del buco. Si dice che con il nuovo testo i vincitori nei collegi sono garantiti, ma guarda caso ciò si ottiene riducendo il numero dei collegi dove scelgono gli elettori e aumentando i seggi a disposizione delle liste decise dai capi-partito. Prima i nominati erano solo il 50% e ora diventano quasi i due terzi del Parlamento. Non capisco come si possa gioire di questo peggioramento.

Molti, anche nel PD, si rendono conto dell’errore ma dicono che non si può migliorare il testo perché siamo vincolati all’accordo con gli altri partiti. Certo, è un principio giusto, non si può ripetere lo scarabocchio dell’Italicum approvato con voto di fiducia. Non si può neppure negare, però, che Renzi ha ottenuto un pessimo risultato perché nella trattativa ha puntato tutto sul voto a settembre, lasciando i contenuti della legge alle preferenze degli altri partiti.

La nostra politica non può essere ridotta nuovamente ad un azzardo personale. Il PD ha elaborato da tempo le proposte di merito, e non può rinunciarvi solo per l’assillo di buttare giù un altro suo governo, ripetendo con Gentiloni quanto fatto con Letta. La cultura istituzionale del PD è sempre stata basata su un rapporto equilibrato tra rappresentanza e governabilità. In questa legislatura, incredibilmente, ha oscillato tra i due eccessi dell’ipermaggioritario con l’Italicum e ora del proporzionale puro.