Il mio saggio "Il Termidoro del tecnocapitalismo" fa parte di un nuovo ebook rilasciato dalla Fondazione Basso sul tema della riformabilità del capitalismo, che potete scaricare qui. Pubblico di seguito parte del mio saggio, che è disponibile online e per il download nella sua interezza anche a questo indirizzo.
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Da tempo ci poniamo la domanda “quando finisce la crisi?”. Ora i dati del Pil sembrano autorizzare un cauto ottimismo, ma alimentano anche l'illusione di un classico ciclo economico con le sue discese e le sue risalite. Siamo invece di fronte a una Grande Crisi da intendere non già nel linguaggio degli economisti, ma in quello della scienza politica. In questi anni l'affanno della crescita e l'impoverimento di ampi settori sociali sono stati gli epifenomeni di un mutamento più profondo degli assetti di potere nella dimensione geopolitica, nelle relazioni sociali e perfino nelle forme istituzionali. Nella parola crisi occorre espungere il significato meramente ciclico e riscoprire il senso più ricco anche etimologicamente di trasformazione.
Nell'esplosione della bolla finanziaria dei subprime si è esaurita la spinta rivoluzionaria del liberismo iniziata nella crisi degli anni ‘70. Siamo entrati nella fase del Termidoro del turbocapitalismo. La freccia del quarantennio parte da un’esigenza libertaria e approda a un surplus di controllo nel governo dei processi. C’è quindi una tensione forte, irrisolta, tra libertà e controllo, e più in generale tra ordine e disordine; è l’instabilità di cui parlava stamane Giacomo Marramao.
Come sempre la fase termidoriana capovolge la promessa rivoluzionaria. Doveva essere il trionfo dell’Occidente, mentre la crisi ne certifica la perdita di primato, e in particolar modo quello dell’Europa. Doveva essere il trionfo dell’individuo che afferra il futuro nelle proprie mani e invece domina l’incertezza se non l'impossibilità, soprattutto per i giovani, di immaginare un progetto di vita. La precarietà è la condizione esistenziale dell’epoca. Doveva essere l’esportazione della democrazia e invece per la prima volta dopo tanto tempo il capitalismo sembra poterne fare a meno, sia nei livelli alti della crescita con il modello autoritario cinese e sia nella stagnazione europea accompagnata da una crisi del costituzionalismo. Il professor Guarino ha parlato di un colpo di stato; forse è esagerato, ma il Fiscal Compact è un accordo tra Stati che prescinde dall'istituzione dell'Unione Europea. Solo adesso ci si pone il problema di porre fine allo stato di eccezione, assorbendo il trattato nelle regole ordinarie. Anche nelle dimensioni nazionali si evidenzia una tendenza a forzare gli assetti costituzionali in senso antiparlamentare.
Il ribaltamento delle promesse rivoluzionarie riguarda anche la forma politica per eccellenza cioè la sovranità della legge. L’impeto rivoluzionario di quaranta anni fa si manifestò sotto la bandiera della deregulation, e rivelò uno spirito quasi anarchico nel contestare il principio legislativo, non solo in termini giuridici, non solo come regolazione pubblica, ma più profondamente come struttura cognitiva di comprensione della realtà. Il liberismo è stato una rivoluzione intellettuale non a caso covata per tanti anni nei think tank anglosassoni, prima in assoluto isolamento e poi via via con una straordinaria capacità di influenzare il senso comune. Il ripudio della ragione legislativa ha riguardato non solo i rapporti economici e le relazioni sociali, ma ha investito tutti i campi della conoscenza e la forma stessa della razionalità. È stato l'assalto a uno dei castelli della modernità, all'idea della sovranità come si era configurata dall'età barocca in avanti.