Ho scritto un saggio per la rivista di filosofia Il Pensiero, fondata da Vincenzo Vitiello, nel numero monografico dedicato alla figura del fuori luogo nelle diverse accezioni filosofiche. Di seguito si può leggere il testo.
Abstract
Il
"fuori luogo" della politica è inteso in due significati: come esodo
dai luoghi della rappresentanza e come comportamento urticante o inopportuno.
Esaurita la retorica della spoliticizzazione riemerge una potenza del negativo
come nucleo metafisico del politico, che assume forme diverse tra "mare e
terra", nel mondo anglosassone e nel continente europeo. Le forme
politiche sono condizionate dalla "fase termidoriana" del
capitalismo, che accentua i controlli e le norme dopo aver esaurito la fase
rivoluzionaria della deregulation. Si
inasprisce la frattura tra logica di sistema e mondi vitali, come definita da
Habermas, ma non è ricomponibile con un'etica discorsiva. La causa
dell'ingovernabilità è nello scarto tra potenza e saggezza, tra la formidabile
forza di trasformazione e la debole capacità di regolarne gli esiti. Le
soluzioni possibili sono da ricercare nelle dimensioni originarie del politico:
l'educazione intesa a là Condorcet
come capacità di governo della società; la città intesa a là Baudelaire come trasformazione a misura dell'umano.