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martedì 5 dicembre 2023

La giunta Rutelli trent'anni dopo

Trent'anni fa cominciò l'esperienza della giunta Rutelli, con la vittoria nelle elezioni comunali del 4-5 dicembre 1993. Abbiamo celebrato l'anniversario all'Auditorium: una mattinata intensa di ricordi, ma anche di utili riflessioni per gli attuali compiti di governo e per il futuro di Roma. Di seguito potete leggere il testo del mio intervento. Oppure vedere il video.

Niente nostalgia, così avevamo detto preparando questo evento. Adesso che vi vedo, però, mi viene un groppo in gola. Tanti ricordi, tanti entusiasmi, perché non devono essere celebrati, mi domando. E allora godiamoci la Nostalgia, questa dea ingannatrice che per amore verso di noi oblia i dolori e illumina le gioie.

Voglio dire una cosa semplice: ERA UN PIACERE LAVORARE INSIEME. CI SIAMO ANCHE DIVERTITI.

Si, c’erano discussioni intense tra noi, mai però cristallizzate in correnti, ma sempre animate dal comune intento per Roma. Merito soprattutto del nostro sindaco, che guidava con fermezza, ma delegava alla creatività di un centinaio di persone molto diverse per competenze e idealità.

Non so voi, ma io non ho più incontrato un leader come RUTELLI, capace di coniugare unità e molteplicità. Ho visto solo leadership unilaterali, o autoritarie o disordinate.

Non so voi, ma io non ho più avuto il piacere di lavorare in una squadra coesa come la nostra.

Non so voi, ma io non mi sono più divertito a fare politica nei venti anni successivi.

Se non è solo un mio problema, se qualcosa del genere in misura e tempi diversi avete provato anche voi, beh, allora dobbiamo aggiornare l’analisi sulla crisi della sinistra. Ne sono state date spiegazioni e soluzioni epocali. Forse abbiamo trascurato la più semplice: la politica di sinistra si è rattristata. Torneremo a vincere quando ci divertiremo a fare politica in modo nuovo.

Per noi governare Roma non era ordinaria amministrazione, era un assalto al cielo, una febbre del fare e un’ambizione per l’avvenire.

Realizzammo con FS la prima ferrovia metropolitana da Monterotondo a Fiumicino nei soli primi sei mesi, perché ci eravamo preparati per tempo. Dopo è venuta l’abitudine di usare le primarie per nascondere l’improvvisazione del programma e della squadra.

Mentre potenziavamo il servizio su 300 km di ferrovie, ottenendo il raddoppio degli utenti, pianificammo la mobilità del futuro in base al principio di integrazione tra ferrovia, metropolitana e tram. Non inventammo nulla, copiammo i modelli più avanzati.

Oggi, c’è un dibattito provinciale che vorrebbe tornare al passato aizzando le tifoserie: a favore della ferrovia contro la metro, a favore della metro contro il tram e viceversa. Ma questo trasporto fatto a pezzi non esiste nelle capitali europee. E Roma, più delle altre, ha bisogno di una forte integrazione proprio perché è la più complessa conurbazione continentale, con il territorio più ampio, la densità più bassa, il tessuto più frammentato.

Il trasporto è come un’orchestra. Se fosse composta solo di violini oppure solo di trombe oppure solo di flauti, nessun direttore potrebbe eseguire la Nona di Beethoven.

Noi applicammo l’integrazione in tutti campi: nella centralità del cittadino con l’abbonamento Metrebus, nel sistema delle aziende pubbliche e nei programmi di investimento. Al netto di nostri limiti ed errori che pure vanno analizzati, vediamo a che punto sono queste tre innovazioni venti anni dopo.

Primo. La centralità del cittadino può svilupparsi ancora meglio, con il digitale, nella molteplicità dei servizi della mobilità dolce.

Secondo. Il sistema delle aziende, invece, è naufragato. Avevamo trasformato Atac, dopo averla salvata dal fallimento, in una moderna holding che poteva diventare un player nazionale, governando altre aziende specializzate, Trambus per la gomma e Metro per il ferro. Dopo si è deciso di rimettere tutti insieme in un carrozzone corporativo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la ricostituita vecchia Atac è andata in fallimento concordato; ha mandato in malora tutte le infrastrutture affidate, dalle metro ai tram e offre un livello di servizio del 30% più basso di quello erogato nell’anno 2000.

Terzo. Con il programma integrato degli investimenti, il PROIMO, realizzammo opere importanti: due nuove ferrovie metropolitane, da Lunghezza e da Cesano, come vedete nella foto, il tram 8, molti nodi di scambio, il prolungamento della metro A a Battistini e la ristrutturazione delle vecchie stazioni, i primi cantieri archeologici della metro C e della B1.

Nel contempo progettammo molte altre opere. Dopo ne sono state attuate ben poche, ma oggi Gualtieri e Patanè hanno dato un forte impulso realizzativo.

Viene il dubbio che allora fummo troppo ambiziosi. Ma se le amministrazioni successive, di diverso colore, hanno seguito quella road map, pur con piccole variazioni, vuol dire che abbiamo fatto bene a occuparci dei tempi lunghi.

Però non bisogna mai smettere di pensare al futuro. Quindi, proprio a me preme dire che va superato il nostro programma integrato disegnato trent’anni fa, non solo perché ormai è in via di attuazione, ma soprattutto per cogliere nuove opportunità. Le tecnologie, con piccoli investimenti, consentono di aumentare di 3-4 volte la frequenza dei treni sugli stessi binari di prima. Nessuna amministrazione ha utilizzato la novità per pianificare nuovi modelli di trasporto.

Lo fanno, invece, giovani professionisti volontari, per esempio, gruppi come Metroxroma o Metrovia, il quale propone di realizzare una rete integrata di 23 linee su ferro trasformando l’esistente, come vedete nella mappa.

Oggi qui c’è un passaggio di testimone dalla nostra generazione a tutti i giovani attivisti, professionisti e ricercatori, ce ne sono tanti, che stanno già progettando il futuro, nella cultura, nel mutualismo nell’ecologia, soprattutto in periferia.

Roma è sempre stata il luogo prediletto dell’immaginazione, dalla città eterna alla città di Dio, dalle utopie rinascimentali alle feste barocche, dalle fantasmatiche rovine di Piranesi alla città della Scienza di Quintino Sella, fino al Meraviglioso Urbano di Renato Nicolini.

Senza la linfa vitale dell’immaginario la città si deprime, perde fiducia in se stessa, diventa abulica, come è accaduto in questi anni.

Quindi ribalto il mio incipit:

NIENTE NOSTALGIA.

COLTIVIAMO L’IMMAGINAZIONE DI ROMA PER IL SECOLO CHE VIENE. 

  

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