Durante le ultime feste natalizie, ho firmato un appello contro l’apertura di un ristorante McDonald’s nel quartiere Borgo Pio di Roma. L’ho fatto cogliendo la parte a mio giudizio più significativa dell’appello, tuttavia riconosco anche le ragioni di chi lo ha criticato sostenendo che il degrado attuale non dipende dal nuovo fast food, ma dall'incuria dei servizi e dall'abusivismo sempre più arrogante e impunito.
La questione mi ricorda le battaglie che ci furono trent’anni fa in occasione del primo insediamento romano di McDonald’s a Piazza di Spagna. Vedemmo addirittura manifestazioni di strada e grandi dibattiti in Consiglio Comunale come in Parlamento. Anche a me capitò di esprimere perplessità analoghe alle argomentazioni che si usano oggi per criticare l’appello (si veda quanto scrivevo in Roma, che ne facciamo, Editori riuniti, p. 172). E a posteriori possiamo forse pensare che proprio quel primo ristorante convinse i manager a cercare un rapporto di integrazione con gli stili di vita locali. Il carattere romano nonostante tutto è in grado di influire, se ben sostenuto, sui processi che pure lo investono.
La catena americana è stata spesso considerata, più o meno ingiustamente, un simbolo della decadenza dei centri storici. Per riportare la discussione alla realtà dobbiamo definire il metro di giudizio che adottiamo. Nelle circostanze attuali, perfino il brand della M gialla potrebbe essere considerato ragionevolmente come un miglioramento. Se invece l’identità storica del borgo e di altri rioni fosse non solo curata, ma rielaborata in stile contemporaneo - ben oltre la retorica romanesca - e alimentata mediante servizi efficaci e culture creative, l’ennesima ristorazione seriale apparirebbe automaticamente, senza bisogno di appelli, come un passo indietro.