martedì 25 aprile 2017

I fiori dei partigiani


In occasione del 25 Aprile, ecco il mio discorso pronunciato in piazza a Piacenza per la Festa della Liberazione organizzata dal Comune e dall'ANPI.


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Care cittadine e cittadini di Piacenza, cari patrioti dell'Anpi, signor sindaco, signor presidente della Provincia, rappresentanti delle autorità, porto il saluto del Senato della Repubblica alla città di Piacenza, medaglia d'oro della Resistenza.



Sono onorato per l'invito a parlare in questa piazza che oggi si presenta ancora più bella per festeggiare la Liberazione dell'Italia dal nazifascismo. Vorrei trovare le parole della vostra comunità, ma avverto l'inadeguatezza del forestiero, che pure - lo sento - viene lenita dalla proverbiale accoglienza emiliana.

Vengo dalla Capitale e ho ancora negli occhi il paesaggio della nostra Italia, la campagna romana, poi i borghi toscani e i pendii appenninici, fino all'orizzonte senza fine della pianura padana. È lo stesso cammino degli alleati e dei partigiani che combattevano risalendo la penisola. L'alba del giorno continuava a sorgere da Levante a Ponente, ma l'alba della libertà seguiva la direzione dal Sud al Nord, in un movimento ideale che prometteva una nuova unità della nazione, un secondo Risorgimento. Solo quando è insorta la gente del Settentrione, nelle fabbriche, sulle Alpi e sugli Appennini e nelle città l'alba è passata al giorno e la libertà ha illuminato le piazze come un meriggio d'estate. E i dolori e le gioie hanno danzato insieme la musica della dignità dopo le marce della menzogna del ventennio fascista.

I racconti della Resistenza piacentina li avrete sentiti tante volte e rischiate che vi faccia velo l'assuefazione celebrativa. Ma proprio perché da forestiero li ho ascoltati per la prima volta vi dico che sono storie mirabili: l'avvocato dei poveri Francesco Daveri, il comandante Fausto che guidò i Carabinieri patrioti, la marchesa Visconti di Modrone che lo nascose nel suo castello a pochi metri dal comandante nazista, l'artigiano Paolo Belizzi che organizzò il CLN nella sua falegnameria, Alberto Araldi detto Paolo, il più audace combattente che sfidò perfino il plotone di esecuzione, i 200 alpini che a Bobbio si unirono ai partigiani, il dottor Laudi che fu deportato per aver curato i malati, Lino Vescovi detto il Valoroso, protagonista dell'ultima battaglia di Monticello del 16 aprile che in punto di morte disse "non maltrattate i prigionieri e perdonate gli italiani che non la pensano come noi". 
E quanti altri degli oltre 8.000 partigiani piacentini sono stati esemplari, quante famiglie li hanno aiutati, un popolo intero, muto e deciso, cui rubavano gli alimenti e bruciavano le case!

sabato 8 aprile 2017

La cultura degli italiani nel mondo nuovo


Di seguito il mio contributo alla Conferenza programmatica di Orlando dell'8 Aprile, a Napoli.

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Il futuro del Paese si alimenta con la cultura degli italiani. Solo una grande politica culturale può animare una nuova ambizione nazionale nel secolo che viene e nel contempo può scacciare le angustie, gli affanni, le rassegnazioni del tempo presente.

Perché l'Italia non si trova a suo agio nel nuovo mondo? Perché la nostra tradizione cosmopolita non riesce a cogliere l'occasione della globalizzazione? Eppure in altri momenti abbiamo saputo trarre fortuna dai cambiamenti d'epoca. Nel dopoguerra un paese distrutto, affamato e in gran parte analfabeta fece il miracolo passando dalla società agricola a quella industriale. Seppe rielaborare nei nuovi distretti produttivi le tradizioni culturali sedimentate nel gusto artigianale e nella coesione sociale dei territori, raggiunse i vertici mondiali della tecnologia con il computer Olivetti, la plastica di Natta, la prima impresa spaziale europea con il S. Marco, l'innovazione industriale delle aziende pubbliche; fu raccontato da una letteratura e un cinema di prim'ordine; venne educato da una vivace relazione tra intellettuali e popolo; cominciò a recuperare il ritardo secolare dell'alfabetizzazione con la riforma della scuola media unificata. Il miracolo non ci sarebbe stato senza quella formidabile crescita culturale. Nessuna di quelle ricette è oggi riproponibile, non esistono più quelle tecnologie, quelle aziende, quegli intellettuali e neppure quei partiti. Da questa storia possiamo trarre una sola lezione per oggi.

Nei passaggi d'epoca la fortuna arride ai popoli che rielaborano il proprio patrimonio culturale nei tempi nuovi. Qui sorge la domanda tanto aspra quanto necessaria. Perché un paese che dal dopoguerra a oggi è diventato certo più ricco e progredito non riesce a compiere la seconda transizione dalla società industriale a quella della conoscenza?
Nella Seconda Repubblica a tale domanda sono state risposte parziali e fuorvianti. E ne sono scaturite sempre politiche inefficaci: manovre economiche contingenti, ingegnerie istituzionali, uomini soli al comando. Nessun partito ha mai puntato davvero sulla cultura per uscire dalla lunga crisi economica e civile. L'ingegno è la carta non ancora giocata dall'Italia nel nuovo mondo.

La politica culturale del nuovo secolo deve accrescere le competenze dell'intera popolazione. È stato superato l'analfabetismo del dopoguerra ma nel frattempo si è alzata l'asticella della conoscenza determinando una nuova inadeguatezza. Circa il 70% della popolazione non possiede gli strumenti cognitivi per vivere e lavorare con piena consapevolezza nel mondo d'oggi. E il principale problema italiano, eppure viene occultato o rimosso nel dibattito pubblico e soprattutto nelle agende di governo.


lunedì 3 aprile 2017

Maggioritario o proporzionale? Decidono gli elettori


Ho presentato un disegno di legge per un nuovo sistema elettorale. Non voglio solo dare un mio contributo al dibattito, ma anche sollecitare un superamento del ritardo della discussione parlamentare.
La soluzione proposta è semplice e comprensibile per i cittadini. Quest'ultimo dovrebbe costituire un requisito essenziale di ogni legge elettorale, anche se purtroppo è sempre stato ignorato nella Seconda Repubblica.

La base del sistema è costituita dai collegi uninominali del Mattarellum. La regola di elezione è stabilita dal risultato elettorale in ciascun collegio. Il candidato che supera il 40% viene eletto con sistema maggioritario. I candidati che non superano quella soglia sono eletti con il sistema proporzionale, secondo il criterio del miglior risultato raggiunto nella lista di appartenenza, come stabilito dalle vecchie leggi elettorali delle Province e del Senato.

Il merito principale della proposta consiste nell'assegnare alla volontà dei cittadini non solo la scelta dei candidati ma anche la logica di funzionamento del sistema elettorale. Se gli elettori di un collegio manifestano una forte propensione verso un partito l'assegnazione maggioritaria non pregiudica la rappresentanza. Se invece gli elettori manifestano diverse opzioni politiche è più rispettosa una ripartizione proporzionale.
Dal primato dell'elettore discendono solo vantaggi per l'efficacia del sistema elettorale. E si superano tanti dilemmi e controversie che animano da anni il dibattito politico in argomento.