Riporto un mio saggio pubblicato in origine sul sito dell'Associazione Bianchi Bandinelli.
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Uno sparo si ode nella notte dei Fori Imperiali. Si demolisce la via Alessandrina nel silenzio di ogni discorso pubblico. La città rabbuiata dal lungo non governo viene risvegliata dal rumore delle ruspe che demoliscono senza un progetto. Tutte le opere cittadine sono bloccate, i servizi non vengono curati, le decisioni grandi e piccole sembrano impossibili, ma improvvisamente la volontà del Campidoglio si erge contro una via della Roma cinquecentesca. Sulla distruzione si compone un'insolita concordia politica. Si è cominciato con un grave errore del sindaco Marino, non condiviso dal suo assessore all'Urbanistica. La giunta Raggi l'ha confermato, mettendo da parte la consueta diffidenza per i predecessori. Il Ministero dei Beni culturali e il Comune litigano su tutto tranne che sulla demolizione.
La presenza della città assente
Che cosa ha fatto di male la via Alessandrina per meritare tanta furia distruttiva? Eppure è una balconata sopra i Fori di Traiano e Augusto molto amata dai cittadini e dai turisti; è l'unico angolo visuale delle architetture di Apollodoro non turbato dalle retoriche del Muňoz; è l'unica passeggiata nei Fori che, lontana dal traffico, permette di ascoltare le parole del vicino, il rumore dei passi e il silenzio dell'eterno. All'inizio del secolo Corrado Ricci aveva previsto di demolire solo le case sul lato orientale per aprire la prospettiva sui monumenti antichi, mentre considerava di scarso interesse la parte occidentale contigua all'attuale via dei Fori. In parte gli scavi successivi gli hanno dato ragione e oggi la via Alessandrina offre una vista ravvicinata sulle quinte traianea e augustea.
A me la demolizione pare un errore, ma rispetto il parere favorevole di alcuni studiosi. Tutti insieme, però, i sostenitori e i critici dovrebbero opporsi alla cancellazione di un paesaggio storico senza una giustificazione culturale che può venire solo da un progetto di sistemazione dell'area. Ed è grave che il progetto manchi da tanto tempo. Si sono susseguite soporifere commissioni miste tra Ministero e Comune che, come ammettono le stesse relazioni conclusive, hanno indicato parziali aggiustamenti senza produrre un'intuizione moderna del centro antico.
Nella penuria di idee si manifesta l'ignavia della politica e si rischia il naufragio dell'archeologia. Il poderoso scavo realizzato negli ultimi venti anni ha prodotto uno straordinario avanzamento della conoscenza storica delle antichità, che però sembra accompagnarsi a un arretramento della moderna cultura urbana. Il risultato è desolante: l'area dello scavo è un immenso cratere incomprensibile ai non addetti ai lavori, le sistemazioni sono rabberciate nelle funzioni e povere negli stili, la separazione dal tessuto urbano è perfino accentuata rispetto all'assetto degli anni trenta. Che la situazione sia ritenuta accettabile e non susciti l'indignazione degli studiosi, che si presenti senza pudore all'opinione pubblica mondiale, che non richiami alla responsabilità i poteri pubblici, tutto ciò offre una misura del disorientamento della Capitale.