venerdì 25 ottobre 2013

Le passioni del PD


Intervento a sostegno della candidatura di Pippo Civati a segretario del PD.

Teatro Vittoria, Roma, 24-10-2013.





Sono qui per ringraziare Pippo Civati che è un leader generoso, una specie rarissima. Ha ricevuto poco e vuole dare molto. Si è fatto da solo, con i propri meriti, sudando sette camicie e senza protezioni di capi cordate. E però mette in movimento gli altri, le energie fresche e vincenti, soprattutto mette in movimento una nuova generazione. Consente quindi di parlare col “noi”.

Chi siamo noi? Che ci facciamo qui? Noi siamo quelli delle passioni forti: ci disperiamo per il solito Pd e speriamo nel Pd che potrebbe cambiare l’Italia. Aprire una possibilità, lo dice bene la nostra mozione. Ma per farlo capire meglio dovremmo scrivere due parole in più accanto al simbolo nei manifesti delle nostre assemblee: PD NON ANCORA. Per dire sia una carenza sia una promessa. Poi dopo il congresso scriveremo ECCO IL PD, se a guidarlo sarete voi giovani nativi democratici. Quelli della mia generazione possono aiutarvi solo facendo un passo indietro. Poi giovani e anziani insieme faremo faville.

Noi siamo quelli delle passioni forti, ma ci sono anche quelli delle passioni tristi e delle passioni finte. Sono finte le passioni di chi vuole solo cambiare il marchio per vendere la stessa merce di prima a prezzi ribassati. I notabili sul territorio hanno già capito il messaggio e hanno cambiato l’insegna del negozio, dicendo ai loro clienti: "siamo sempre noi, venite, facciamo i saldi per vendere di più".

Questo è il partito in franchising – leader mediatici e notabili locali – che doveva essere smantellato per fare un vero partito popolare. C’era una grande occasione, bastava non rimettere nei cassetti gli elenchi dei tre milioni di cittadini delle primarie. Bisognava chiamarli non solo la domenica per acclamare leader rivelatisi sempre perdenti, ma tutti i giorni feriali per partecipare alle decisioni e coinvolgere le energie sociali.
Per fare le riforme non serve la modifica del bicameralismo, ci vogliono partiti capaci di convincere il popolo sulla bontà delle decisioni. La vera riforma istituzionale è nelle nostre mani, consiste nel cambiare il Pd lasciando in pace la Costituzione. La mia generazione non ha l’ispirazione per cambiare la Carta. Con umiltà lasciamo il compito alla generazione successiva.

Chi doveva realizzarlo questo Pd popolare? Quelli delle passioni tristi, ma non hanno mantenuto la promessa, anzi hanno portato alla sconfitta elettorale e al collasso dei 101. Sono tristi perché non hanno avuto né il coraggio né la responsabilità di dare una spiegazione alla nostra gente. Dicono ancora oggi che è tutta colpa dei parlamentari indisciplinati. Anche Cadorna dopo Caporetto diede la colpa all’indisciplina dei soldati. Poi arrivo il generale Armando Diaz che rivoluzionò l’organizzazione militare suscitando l’entusiasmo della truppa e il Piave mormorò non passa lo straniero. La vera disciplina di un partito è quella che nasce nei cuori e nelle intelligenze dei militanti quando si sentono coinvolti in un’impresa collettiva.
Quelli delle passioni tristi sono la causa della crisi del Pd. Quelli delle passioni finte fanno fortuna sugli effetti della crisi del Pd, guardandosi bene dal risolverla. Noi dobbiamo organizzare le forze che cercano la soluzione alla crisi del Pd. Gli altri lasciano le cose come sono e alla fine si metteranno d’accordo. La vera sorpresa può venire dal successo della mozione Civati. E niente rimarrebbe come prima.

Il primo passo verso la soluzione dei nostri problemi consiste nell’avere fiducia nel popolo, che d’altronde aveva già capito tutto nel referendum dell’acqua del 2010. Dopo trenta anni di liberismo quasi trenta milioni di italiani hanno detto curiamo i beni comuni per salvarci dalla crisi più grave del secolo. Al capolinea del berlusconismo c’era una propensione a sinistra dell’elettorato, ma quelli delle passioni tristi non ci hanno creduto. Come inguaribili pessimisti, pensando che non sarebbero bastato il proprio popolo, hanno corteggiato Monti e Casini, i quali oggi dicono l’uno all’altro sei inutile. E hanno entrambi ragione. Nel frattempo tre milioni di nostri elettori delusi passavano a Grillo.
Avremmo dovuto raccogliere l’appello popolare sui beni comuni, elaborare un nuovo progetto per il Paese, lottare contro tutti i privilegi, schierarci a favore di chi paga più duramente la crisi.

Possiamo ancora farlo cambiando l’agenda di governo. Stiamo discutendo la legge di Stabilità in Senato. L’indice è sempre lo stesso da venti anni – tasse, tagli e burocrazia – e il deficit è sempre peggiorato. Forse porta male proprio la legge di Stabilità, andrebbe abolita e sostituita dalla legge di Creatività: coltivare e mettere a frutto le intelligenze dei giovani con la formazione e la ricerca, la qualità del territorio e l’ambiente, la produzione culturale nell’antico e nel moderno, la cura delle persone. Non si tratta solo di spesa pubblica, sono campi di crescita di nuove imprese e di lavoro qualificato.

L’establishment chiama riforme solo i provvedimenti sgraditi ai cittadini. Ma perché dobbiamo vivere male? Siamo ricchi di conoscenze, mettiamole a frutto per fare le riforme che migliorano la vita. I nostri padri avevano in mano l’aratro e fecero il miracolo economico, i nostri figli hanno il computer, parlano le lingue, pensano globale e non trovano lavoro. Perché la potenza del lavoro moderno non può creare ricchezza per tutti? Chi se ne appropria di questa ricchezza? L’attuale capitalismo della crisi è cupo, offre solo debito, austerità, disoccupazione e impone le decisioni della troika perché non sa convincere i popoli. Dovremmo rispondere col sorriso delle riforme che portano un po’ di felicità.

Ma non si è mai veramente felici da soli. È infelice questa Europa arroccata che respinge in mare donne, uomini e bambini innocenti. La tragedia di Lampedusa è un evento che fa storia, non va dimenticata. Bisogna agire subito, certo cancellando le norme della Bossi-Fini e regolando i permessi in modo civile. Ma quando è crollato il muro di Berlino non ci siamo messi a discutere del rilascio dei passaporti, abbiamo spostato il confine dell’Europa verso Est per incoraggiare i popoli che si liberavano dalle dittature comuniste. Dovremmo dimostrare la stessa apertura verso i popoli che vorrebbero liberarsi dalle dittature mediterranee. 
Dovremmo volgere lo sguardo dell’Europa verso il Mediterraneo che non è il suo confine ma la sua origine. Invece, l’establishment ha voltato le spalle e quando è intervenuto ha usato solo i cacciabombardieri e i contratti petroliferi. I disperati dei barconi sono in fuga anche a causa dell’ignavia della politica estera europea. Chi deve proporre una svolta euro mediterranea del continente? È compito nostro, della sinistra italiana ed europea. Questo deve essere il programma comune per le prossime elezioni del Parlamento di Strasburgo. Questo deve essere il tema del congresso del Pd.

Caro Pippo, abbiamo un compito ambizioso. Non solo far vincere una bella mozione, ma portare nella discussione congressuale una forza immaginativa del nuovo Pd. Dobbiamo inondare i circoli e i gazebo di una passione felice che travolga le delusioni del passato, che incuriosisca gli incerti, che mobiliti energie ancora sopite. Questa passione è necessaria per tracciare una linea tra il Pd di ieri e quello di domani, per distinguere il tempo delle sconfitte e quello delle vittorie. 
Come dice il Qohélet, quel prezioso libretto incastonato nell’Antico Testamento:

il tempo delle lacrime e il tempo delle risa
il tempo dei gemiti e il tempo dei balli
il tempo delle pietre scagliate e il tempo delle pietre raccolte
il tempo senza abbracci e il tempo degli abbracci.


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