domenica 27 novembre 2022

La mente dell'urbanistica romana

La rivista Urbanistica Informazioni ha pubblicato, nel numero 302/2022, un dibattito sul Piano Regolatore del 1962, curato da Rosario Pavia, con la partecipazione di  Domenico Cecchini, Luca Montuori, Piero Ostilio Rossi, Nicolò Savarese, Roberto Secchi e il sottoscritto. La riflessione critica sul passato, svolta dagli autori con approcci molto diversi, è stata anche l'occasione per fare il punto sui temi di attualità. 

Nel mio contributo ho sostenuto la tesi dell'esistenza di una "mente" dell'urbanistica romana - da intendere come l’insieme di teorie e pratiche, di progettazioni e consuetudini, di miti e angustie - che regola i comportamenti degli amministratori, dei tecnici, degli imprenditori e dei politici. Questo orientamento cognitivo della pianificazone si è formato con il Piano Regolatore del 1962 e ha prodotto molti effetti negativi che ancora oggi influenzano la gestione del territorio. Cambiare la mentalità, quindi, è una condizione, non la sola, per operare una svolta nell'urbanistica romana.   

Di seguito potete leggere una parte del mio saggio.



È tempo di uccidere il padre dell’urbanistica romana: il Piano Regolatore del 1962. Ha dominato la storia territoriale della capitale della Repubblica nel secondo Novecento. Ed è la fonte degli errori e delle sconfitte di tutta la pianificazione successiva.

In questo mio giudizio, non lo nascondo, c’è una forzatura unilaterale, ma mi pare necessaria per innescare una svolta. So bene che la valutazione storica andrebbe contemperata tenendo conto della cultura del tempo, valorizzando le parti positive e distinguendo i difetti tra la teoria e la pratica. Tuttavia tali attenuanti non sono sufficienti a evitare la pena capitale: già all’epoca erano disponibili nel dibattito internazionale soluzioni e metodi diversi; la parte più positiva – il mirabile parco dell’Appia Antica – fu aggiunta per iniziativa del Ministero dei Lavori pubblici in contrasto con il piano adottato; l’alibi della cattiva attuazione è spesso utilizzata dagli urbanisti per salvare i propri progetti, seguendo il cattivo esempio di quei politici che dopo ogni sconfitta dicono “la linea era giusta ma è stata gestita male”.

I criteri di valutazione di una buona pianificazione dovrebbero essere ben più ambiziosi: il coraggio di innovare rispetto alla cultura corrente; gli effetti positivi che non hanno bisogno di essere declamati poiché si riscontrano nella vita quotidiana; la resistenza della struttura urbana alle cattive gestioni delle amministrazioni successive. Niente di tutto ciò si può annoverare a merito del Prg del ‘62.