giovedì 4 agosto 2016

Dieci parlamentari del PD per il NO al referendum


Nel post precedente avevo auspicato una presa di posizione dall'interno del PD per il NO al referendum. Mi fa molto piacere pubblicare qui il documento sottoscritto in tal senso da dieci parlamentari democratici: Corsini, Dirindin, Manconi, Micheloni, Mucchetti, Ricchiuti, Tocci, al Senato; Bossa, Capodicasa, Monaco alla Camera.

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In sintesi il documento argomenta il NO di merito al referendum con le seguenti motivazioni: circa il deficit di autorevolezza di questo Parlamento viziato dal Porcellum; in ragione del metodo, tutto in capo al governo, su materia genuinamente parlamentare, che ha concorso a un varo della riforma a stretta e ondivaga maggioranza; perché essa non persegue gli stessi obiettivi dichiarati di semplificazione e di efficienza del sistema istituzionale; perché disegna un bicameralismo confuso, un procedimento legislativo farraginoso, un Senato nel quale si dà una contraddizione tra la sua composizione e le sue alte competenze (in materia costituzionale e internazionale); in quanto opera una esorbitante ricentralizzazione nel rapporto tra Stato e Regioni; perché permane irrisolto il nodo della elettività dei senatori; per il sovraccarico politico di cui si è investito il referendum con le sue implicazioni sul profilo del PD e sul complessivo assetto del sistema politico.

I firmatari sostengono che la loro iniziativa possa essere due volte utile: a centrare il confronto referendario sul merito e non su pregiudiziali posizioni di partito o di schieramento, come finalmente un po' tutti dichiarano di auspicare; a dare voce a elettori e quadri PD che non condividono la revisione costituzionale. Ferma restando la consapevolezza, apertamente espressa dai firmatari nel documento, che la loro è posizione in dissenso da quella ufficiale del PD, ma, insieme, nella convinzione che, a norma di statuto, su principi e impianto costituzionale, non si dia disciplina di partito.

Di seguito il documento sottoscritto dai parlamentari.

NOI PARLAMENTARI PD PER IL NO AL REFERENDUM

I firmatari di questo documento sono parlamentari del PD che voteranno no al prossimo referendum costituzionale. Con la consapevolezza che la propria è posizione in dissenso da quella deliberata dal PD, ma nella convinzione che essa possa essere da noi assunta grazie al carattere liberale dello statuto del partito, il quale mette in conto che non si dia un vincolo disciplinare quando sono in gioco principi e impianto costituzionale. Una posizione, la nostra, che confidiamo possa essere doppiamente utile. Da un lato, contribuendo a centrare il confronto sul merito della riforma, anziché su pregiudiziali posizioni di schieramento, come un po' tutti, a cominciare dal PD, dichiarano di auspicare. Dall'altro, ritenendo che non siano pochi, tra elettori e militanti democratici, coloro che coltivano una opinione diversa da quella "ufficiale" del partito, pensiamo sia bene che essi abbiano voce. Circostanza che conferisce autorevolezza e forza al PD come grande partito pluralistico, inclusivo e appunto liberale. Sinteticamente, le motivazioni del nostro no sono le seguenti:

1) le priorità in agenda. È nostra convinzione che le riforme costituzionali, pur necessarie, non rappresentino la priorità in agenda. Di più: che da gran tempo è invalsa l'abitudine - una sorta di alibi per la classe politica - di imputare alla Costituzione la responsabilità di insufficienze che semmai vanno intestate alla politica e all'amministrazione; nonché di spostare tutta l'attenzione dall'esigenza di dare attuazione a principi e diritti scolpiti nella Carta alla ingegneria costituzionale in una sorta di frenesia riformatrice;

2) legittimazione o, meglio, autorevolezza di questo parlamento. Conosciamo la sentenza n. 1 del 2014 che autorizza l'operatività del parlamento ancorché eletto con il Porcellum dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Ma una cosa è la sua operatività ordinaria, altra cosa è la riscrittura di ben 47 articoli della Costituzione, un ridisegno della sua seconda parte (per altro già rinnovata in taluni suoi articoli), per il quale si richiederebbero ben altra autorevolezza e forse un più esplicito mandato da parte degli elettori. Abbiamo la memoria corta: dopo l'esito delle elezioni politiche del 2013, dalle quali non è sortita una maggioranza, era opinione unanime che si dovesse dare vita a un governo istituzionale che portasse entro un anno a nuove elezioni, non a governi o a una legislatura costituenti;

3) metodo. È profilo cruciale. Le revisioni costituzionali sono materia parlamentare per eccellenza. Nel nostro caso, l'intero processo è stato ideato, gestito, votato dal governo, per altro facendo appello a motivazioni giuste ma francamente incongrue rispetto alla portata della riforma quali la riduzione dei costi. Un protagonismo esorbitante e improprio del governo, non privo di gravi conseguenze. Tra le quali quella di non giovare al fine di raccogliere una maggioranza larga, quale si conviene alla riscrittura della Legge fondamentale della Repubblica; quella inoltre di smentire il solenne impegno a non ripetere l'errore del passato di riforme varate da una stretta maggioranza di governo; quella infine di porre l'ennesimo, insidioso precedente foriero di altri futuri strappi da parte di maggioranze politiche contingenti, in un tempo che ci suggerisce di non escludere, per il futuro, governi dal segno illiberale. E ancora: quella di porre le premesse per un referendum costituzionale il cui oggetto slitta dal quesito di merito formale al quesito implicito sul sì o no al governo, dunque un plebiscito. Anche a motivo della non omogeneità dell'oggetto, come prescrive la giurisprudenza costituzionale e, prima ancora, l'art. 138 la cui "ratio" chiaramente sottintende revisioni mirate e puntuali;

4) il merito. In estrema sintesi, la nostra opinione è che la riforma non riesca a perseguire gli obiettivi dichiarati: di semplificazione e di conferimento di efficienza e di efficacia al sistema istituzionale. Più specificamente, essa disegna un bicameralismo confuso - va da sé che siamo favorevoli al superamento del bicameralismo paritario - nel quale il Senato, privo per altro di adeguata autorevolezza e rappresentatività, rischia semmai di costituire un ulteriore ostacolo al processo decisionale (davvero si pensa che il problema sia quello di fare più celermente nuove leggi, anziché quello di farne meno e di scriverle meglio?); un procedimento legislativo farraginoso e foriero di conflitti; un Senato la cui estrazione locale mal si concilia con le rilevanti competenze europee e internazionali affidategli; una esorbitante ricentralizzazione nel rapporto Stato-regioni che revoca il principio/valore delle autonomie ex art. 5 della Carta (paradossalmente ignorando l'esigenza di ripensare le regioni ad autonomia speciale); una complessiva alterazione degli equilibri, delle garanzie e dei bilanciamenti di cui si nutre il costituzionalismo tutto a vantaggio del governo, un vantaggio ulteriormente avvalorato dall'Italicum; il conferimento ai futuri consiglieri regionali e sindaci senatori dell'istituto dell'immunità sino a oggi riservato ai soli rappresentanti della nazione in senso proprio;

5) elettività dei senatori. Nell'ultimo e decisivo passaggio della riforma al Senato la questione più dibattuta fu quella della sua elettività, motivata in ragione delle competenze ad esso assegnate - dalle leggi di revisione costituzionale alla materia comunitaria sino alla ratifica dei trattati internazionali - che palesemente presuppongono senatori eletti direttamente dai cittadini in quanto fonte della sovranità nazionale. Ne è sortita una elaborata mediazione sul testo che di fatto rinvia la questione a una legge elettorale (del Senato) ordinaria di attuazione. Sul punto, vi fu l'intesa di fare precedere il referendum costituzionale da un impegnativo atto politico se non dalla messa a punto di una bozza di tale legge attuativa, della quale non si ha più notizia. Rilasciando così nell'incertezza la cruciale questione della elettività dei senatori;

6) infine una ragione politica, che riguarda il PD e, più complessivamente, l'evoluzione del sistema politico. Non è un mistero che, anche a motivo della impropria drammatizzazione politica della questione, si attende il referendum come uno spartiacque. Al punto che vi è chi rappresenta il fronte del sì come il laboratorio di uno schieramento o addirittura di un partito che muova dal PD, ma che vada oltre il PD. Una sorta di partito unico di governo, posizionato al centro, che si concepisce come alternativo alla destra e alla sinistra. Una prospettiva, per noi, tre volte sbagliata: perché snatura il confronto referendario; perché allontana il sistema politico dalla fisiologia di una competizione tra centrodestra, centrosinistra e 5 Stelle; perché altera il profilo costitutivo del PD quale partito di centrosinistra, ancorché non presuntuosamente autosufficiente, nel solco dell'Ulivo. Quel profilo e quell'assetto che, alle recenti amministrative, nel quadro di una bruciante sconfitta, ha consentito al PD di vincere la partita a Milano.

La nostra posizione per il no può riuscire utile sotto un altro, decisivo profilo. Quello delle gestione delle conseguenze a valle di una eventuale bocciatura della riforma. Il nostro è un no di merito alla riforma. La circostanza che anche elettori e militanti del PD possano avere contribuito al no non autorizzerebbe a stabilire un improprio automatismo: no alla riforma=crisi di governo. Qualcuno di sicuro lo sosterrà, anche perché, non certo noi, ma il premier, sbagliando, ha contribuito ad avvalorare tale tesi. Un automatismo che noi contestiamo, con il nostro no, rigorosamente distinto dal no al governo, che, lo ripetiamo, esula completamente dalle nostre intenzioni.

Paolo Corsini, Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiutti, Walter Tocci, Luisa Bossa, Angelo Capodicasa, Franco Monaco.

Per chi volesse sottoscrivere il documento.



18 commenti:

  1. Sottoscrivo.
    Corrado Angione
    iscritto al circolo Pd Fratelli Cervi, Milano

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  2. https://piovonosomari.wordpress.com/2016/08/02/la-corsa-allo-spazio/

    https://piovonosomari.wordpress.com/2016/07/31/check-and-balance-2/

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  3. Inammissibile! Anch'io ho qualche riserva, ma dopo il no al referendum c'è Salvini. Questi parlamentari dovrebbero ripassare la grande lezione di Togliatti nel dopoguerra e, naturalmente, dimettersi.
    Dino Santina. Brescia

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    1. Io potrei dire che Salvini potrebbe ritrovarsi al governo se passasse questa riforma, che grazie anche all'Italicum renderebbe ininfluenti le opposizioni difronte ad un governo che spadroneggia dall'alto del 55% dei seggi nonostante in termini elettorali possa valere anche solo il 20 %

      "Dopo c'è Salvini" è qualunquismo, terrorismo mediatico che getta fumo per non entrare nel merito

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    2. Concordo nel dire che scrivere che dopo la vittoria del No ci sarebbe "salvini". E' un'affermazione che fa il paio con tutte le cose meravigliose che vengono indicate come effetto della vittoria del SI. Bisogna votare No per respingere la deforma che annulla il ruolo del Parlamento e crea le condizioni per il regime personale e per rendere inutilizzabile lìitalicum. il combinato disposto è tossico perchè entrambi i suoi componenti sono velenosi. Un plauso ai 10 parlamentari del PD che votano No. Come faccio io che al PD sono iscritto. Spero che a quei 10 se ne aggiungano molti altri, a cominciare da tutti i 29 che non avevano votato l'italicum, dopo essere stati estromessi dalla commissione Affari costituzionali dal diktat dell'aspirante Caudillo, improvvidamente messo alla testa di un partito che si chiama democratico, cosa che con lui segretario fa morire del ridere, come si dice.

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    3. Bisogna sempre rispondere nel merito, gli slogan sono propri del Sì senza i quali non potrebbero dire alcunché.

      Ci sono fideisti che continuano a ripetere urbi ed orbi che il bicameralismo perfetto è stato eliminato nonostante questa affermazione sia del tutto falsa. È scritto nel famoso articolo 70 che Camera e Senato mantengono la legislazione paritaria. Su 22 materie Camera e Senato continueranno ad approvare le leggi insieme. Non solo non è stato eliminato il bicameralismo ma è stato addirittura reso confuso e pasticciato perché la semplice navetta Parlamentare (due passaggi identici per le leggi ordinarie; quattro passaggi identici per le leggi costituzionali) è stata sostituita da 10 procedimenti legislativi, tutti poco chiari.

      Un altro ritornello è il risparmio miliardario. Bubbola anche questa perché è stato certificato dalla Ragioneria dello Stato che il risparmio sarà di soli 57,7 milioni.

      Stefano Feltri: “Attualmente, in Italia, vivono di politica 1 milione e 100 mila persone. Se vince il Sì, saranno appena 215 in meno con il Senato smagrito da 315 a 100 membri. Una riduzione irrisoria, statisticamente irrilevante”.

      Altri invece credono che la riforma abolisca le Province. Le Province non possono essere eliminate per il semplice motivo che sono già state soppresse dal governo Renzi con legge ordinaria nel 2014 (figlia dei governi Monti e Letta). La riforma Boschi-Verdini si limita solamente a cancellare la parola "Province" dalla Costituzione.

      I renziani hanno ripetuto fino alla nausea che Renzi ha abolito le Province e ora dicono che devono essere ancora abolite.

      Ma come si può?

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    4. Ma che modo di ragionare è? Veramente pensiamo che la Costituzione debba essere riformata perché c'è il rischio che Salvini vinca le elezioni? È innanzitutto assurdo che si sostenga una riforma di questa importanza guardando in maniera miope all'attuale quadro politico e, in ogni caso, siamo in un regime democratico, se non ci sta bene possiamo pure affidare il governo a dei tecnici per sempre.
      Un'ultima cosa: non si sconfigge Salvini con l'ingegneria istituzionale, ma venendo incontro a quelle fasce di popolazione che stiamo letteralmente espellendo dalla nostra società.

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  6. Caro Walter, Alea iacta est, quindi... in altri termini: il casino è assicurato. Risponderò puntualmente alle sei (sex) motivazioni che tu e gli altri 9 Parlamentari del PD avete portato per votare NO al referendum. Mi stavo accingendo a rispondere al tuo post di giorni fa, dove chiamavi a raccolta gli iscritti del NO, quando mi sono imbattuto in questo documento,in verità un documentucchio assai più all'acqua di rose del tuo post. Ma si sa, le cose fatte a dieci mani sono meno sofisticate di quelle fatte da una sola (vedi riforma elettorale! Mi immagino come sarebbe stata bella e senza difetti se avessi potuto scriverla tu o altri che come te hanno idee, esperienza, conoscenza e scienza). A questo punto mi hai facilitato l'opera: rispondere ai sei punti è un gioco da ragazzi e anche uno come me che non ha alcuna laurea specifica nel settore giuridico-costituzionale penso sia in grado di farlo. Nel tuo/vostro documento non ho trovato una sola argomentazione diversa da quelle lette nei miei numerosi confronti con appartenenti ai comitati del NO. Ho ritrovato molti deja vu mutuati dai soliti 56,dall'Associazione dei Giuristi Democratici e in generale abbondantemente letti e a suo tempo da me contestati nei numerosi blog,FB ecc. favorevoli al NO. Del resto non dite alcunchè di nuovo rispetto a quello sostenuto sia alla Camera che al Senato da alcuni vostri portavoce o da parlametari che pur essendo lontani politicamente da voi hanno sostenuto alcune delle vostre posizioni. Sono comunque rimasto incuriosito da una vostra/tua affermazione che riporto: "I firmatari di questo documento sono parlamentari del PD che voteranno no al prossimo referendum costituzionale. Con la consapevolezza che la propria è posizione in dissenso da quella deliberata dal PD, ma nella convinzione che essa possa essere da noi assunta grazie al carattere liberale dello statuto del partito, il quale mette in conto che non si dia un vincolo disciplinare quando sono in gioco principi e impianto costituzionale" Mi sono riletto tutto lo Statuto del PD e ti giuro che non ho trovato in nessun articolo di supporto a tale tua/vostra affermazione. A parte la sopresa di un uso di un termine ambiguo e mal tollerato dalla sinistra nella sua accezione classica (liberale) che tu attribuisci al "carattere dello Statuto del Partito (sic! Liberale?)...mi dici quale articolo dello statuto "mette in conto che non si dia un vincolo disciplinare quando sono in gioco principi e impianto costituzionale"? Non so se è questione della mia scarsa frequentazione dei salotti dei numeri, ma a me i conti non tornano. Mi puoi illuminare? In attesa della tua risposta, mi sto preparando a dire la mia sul vostro documento.

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    1. Caro Giorgio, perfino Togliatti concesse a Concetto Marchesi la libertà di voto in dissenso sull'articolo 7 della Costituzione. Non credo che il PD possa trovarsi indietro rispetto al PCI degli anni Quaranta. E infatti nel suo Statuto "liberale" (non è poi un brutta parola, quando è liberata dall'ideologia liberale) è scritto: "Il Partito Democratico riconosce e rispetta il pluralismo delle opzioni culturali e delle posizioni politiche al suo interno come parte essenziale della sua vita democratica", articolo 1, comma 7.

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  8. In parentesi ho scritto "riforma elettorale" :-) Certo anche quella! Intendevo ovviamente riforma Costituzionale :-)

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  9. In parentesi ho scritto "riforma elettorale" :-) Certo anche quella! Intendevo ovviamente riforma Costituzionale :-)

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  10. Una prima pacata ed equilibrata risposta di un giovane segretario del PD di Prato che condivido totalmente

    http://gabrielebosi.tumblr.com/post/148490580306/risposta-ai-10-parlamentari-del-pd-che-voteranno

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  11. https://lorsignori.wordpress.com/2016/08/19/le-ragioni-del-si-e-la-dura-lotta-con-la-realta/

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  12. Vi faremo bvedere noi dopo il 4 dicembre, quando sarà il Si a trionfare. Ora anche Obama è con noi, voi siete solo dei Gufi e Disfattisti che, in maniera indecorosa e traditrice, siedono ancora nelle poltrone gentilmente elargite dal Partito che state dentro. Spero in una sana operazione di pulizia di Matteo dopo il 4 dicembre, Gufi a Casa!

    Stefano Pontelli, militante renziano

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