Intervento all'assemblea
promossa da Peppe Provenzano al centro congressi Cavour di Roma, il 7 aprile
2018, dal titolo Sinistra Anno Zero.
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Quando si perde bisogna riuscire a guardare con amicizia al Paese. Per capire i fenomeni profondi del terremoto elettorale. I nostri avversari hanno saputo utilizzarli a loro favore. Noi li abbiamo sentiti ostili e siamo stati sconfitti. Raniero La Valle si domanda se quei fenomeni possano ottenere un'inedita risposta di sinistra. Oggi bisogna leggere i novantenni per scorgere il futuro. Poco fa abbiamo ascoltato anche il lucido discorso di Emanuele Macaluso.
Nel voto si è fatto sentire un grido antioligarchico: la politica è di tutti. È ritenuto un populismo da chi comanda, ma è avvertito come un principio democratico da chi non ha né poteri né diritti, soprattutto i giovani in cerca di lavoro. Si è espressa una buona partecipazione elettorale e nel Mezzogiorno per la prima volta il voto si è liberato dall'oppressione dei notabili di destra e di sinistra.
È cambiata l'agenda di governo. Sono scomparsi i temi che hanno tenuto banco nei decenni passati: le riforme istituzionali, la retorica del "ce lo chiede l'Europa", l'eterna illusione di creare lavoro impoverendo i diritti. Sono emersi i problemi più sentiti dai ceti popolari: le povertà e i privilegi, i giovani che se ne vanno e i migranti che vengono, ciò che chiede e ciò che offre lo Stato.
È stata rifiutata la classe politica dell'ultimo decennio: Berlusconi e Monti, i cui elettori hanno votato per i 5Stelle, ma anche i nuovi dirigenti del PD e la vecchia generazione postcomunista. Non si può dire che mancassero le ragioni: è stato un decennio di stagnazione politica, che ha bruciato tante illusioni, senza preparare progetti credibili per l'avvenire.
Nuove domande, quindi, hanno mobilitato gli elettori: la politica di tutti, le riforme popolari, la credibilità della classe politica. Almeno in teoria, erano esigenze coerenti con il compito, starei per dire con l'ideologia, di un partito autenticamente democratico.
Si è celebrato il decennale della fondazione del PD, ma la nostalgia e la retorica hanno impedito un serio bilancio. Purtroppo sono fallite ben tre versioni del progetto - dalla vocazione maggioritaria, alla ditta, alla rottamazione - e le domande di cambiamento si sono rivolte verso altri protagonisti. Il sistema è diventato tripolare perché il bipolarismo non ha offerto un'alternativa, perché la sinistra non ha sconfitto elettoralmente Berlusconi quando era possibile dopo il referendum dell'acqua. Il gruppo dirigente postcomunista perse la sua ultima occasione e si rifugiò nelle larghe intese. Renzi le ha proseguite con maggiore vigore ma seguendo la stessa agenda di governo degli anni novanta. Dietro la patina di innovatore è stato il più autentico conservatore del vecchio sistema politico, e infatti ha ottenuto il voto degli anziani ma non quello dei giovani.
Bisogna estrarre il PD dalle macerie delle sue sconfitte, se siamo ancora in tempo, se può ancora uscirne vivo. Il progetto originario del PD è invecchiato prima di essere attuato perché era stato pensato in un mondo che non esiste più. Per un curioso appuntamento storico la fondazione del partito coincise con l'inizio della grande crisi mondiale. Non è il solito ciclo economico, è una grande trasformazione del mondo.
Il capitalismo ha esaurito le passioni rivoluzionarie degli anni ottanta, è entrato nel suo Termidoro e ha bisogno di governo dall'alto, addirittura funziona meglio nei regimi autoritari. La potenza della rete coinvolge miliardi di persone, ma crea anche le occasioni per nuovi monopoli perfino cognitivi. Si riapre nell'immateriale l'antico conflitto tra la piazza dei cittadini e il castello dei potenti. Oggi più di ieri sarebbe necessario un partito che si chiama democratico.
Tutti i capi di governo godono di maggiori poteri ma nessuno governa il mondo. Gli anglosassoni che avevano aperto la globalizzazione negli anni ottanta ora vorrebbero chiuderla con la Brexit e i dazi, e i cinesi hanno la guida più risoluta degli scambi mondiali. Tutte le tensioni geopolitiche precipitano nel Mediterraneo: le migrazioni, il confronto tra le religioni monoteistiche, pace e guerra, la riconversione energetica, lo sviluppo dell'Africa. L'Europa a guida tedesca ha voltato le spalle all'antico mare condannandosi così all'irrilevanza politica. Chi se non il partito democratico italiano dovrebbe prendere la bandiera della politica euromediterranea?
Si discute se il lavoro scompaia con l'automazione, ma certo si polarizza tra le attività creative e quelle di bassa qualità, accomunate solo dalla precarietà. La divaricazione crea nuove disuguaglianze tra le persone e diversi tassi di crescita tra le economie nazionali, la nostra ne soffre di più per la mancanza di una politica della ricerca. Le tecnologie sostituiscono i lavori tradizionali e vengono meno quelle figure operaie e impiegatizie che stabilizzavano i vecchi sistemi democratici. Dalla frammentazione sociale viene la radicalizzazione della politica contemporanea. È ancora più necessario, allora, un partito democratico che rafforzi le basi sociali della democrazia.
Se non ci fosse già, il PD bisognerebbe inventarlo. Certo, come è adesso serve a poco, ma è il nostro campo politico, è la possibilità di una sinistra di governo, il patrimonio di tante energie civili e sociali, il soggetto a cui si rivolgono le aspettative di un elettorato esigente e pronto a mobilitarsi quando ne vale la pena. È un campo da coltivare tutti insieme pur nelle differenze, senza innalzare i piccoli recinti della nostalgia di sinistra o del nuovismo macroniano.
Ci vuole uno spietato realismo per riconoscere dove siamo oggi e un'irresistibile immaginazione per scegliere il cammino futuro. Finora il conformismo ha impedito sia il realismo sia l'immaginazione. Anzi, in questo mese la risposta è stata più preoccupante della sconfitta. Siamo schiantati a terra senza trovare un punto d'appoggio. Quando caddero i leader precedenti erano già pronti i successori. Stavolta ci sono stati due insuccessi: la maggioranza ha mancato la sua occasione e la minoranza non ha saputo creare un'alternativa. Hanno perso sia i rottamati sia i rottamatori. I giovani che avevano preso la guida sono già invecchiati, il candore dei loro volti è già segnato dalle rughe del potere. Non sanno cos'è l'opposizione di cui parlano, la scambiano per nullafacenza, mentre richiede più proposta, movimento e alleanze. Fanno pena i dirigenti che non sentono la responsabilità di discutere apertamente le cause della sconfitta. Hanno steso un mantello di ipocrisia per non innervosire il capo, aspettando che da solo prenda atto del suo smacco.
Abbiamo due partiti democratici, non uno solo, e convivono come separati in casa. C'è il piccolo PD dove il positivo è soffocato dal negativo: non un partito ma un'associazione di notabili tenuta insieme da improbabili comunicatori, non una scuola di politica ma una gestione delle carriere, non uno strumento di trasformazione della società ma una ciste della burocrazia statale. Esiste, però, anche il grande PD che non ha ancora messo a frutto i suoi talenti interni ed esterni: il volontariato politico ancora appassionato al dibattito e alla pratica, gli amministratori che inventano nuove politiche, la prossimità con le esperienze della cittadinanza attiva e delle forze sociali, la disponibilità all'impegno di esperti e intellettuali. Sarà un partito ancora più grande se si appassionerà ai problemi del nuovo mondo, se avrà uno sguardo amichevole verso il Paese, se riconquisterà non solo i voti ma la stima degli elettori.
Che fare adesso? Non sprechiamo altre energie in un'angusta corrente del piccolo partito. Dobbiamo impegnarci insieme ad altri perché il grande PD irrompa nel piccolo PD, lo travolga, apra le sue porte, allarghi i suoi orizzonti, lo renda utile al Paese.
Non è impossibile, è già accaduto ai democratici americani e ai laburisti inglesi. Anch'essi dominati da un establishment perdente, sono stati però rivitalizzati dall'irruzione di giovani che hanno scelto i nonni Sanders e Corbyn come portavoce. Ma abbiamo un esempio più vicino. Anche l'irruzione di Renzi nella stanca ditta bersaniana portò nuovi sostenitori e nuovi temi. Non solo lo riconosciamo, possiamo fare qualcosa di analogo, ma con idee diverse, restituendo fiducia a chi se ne è andato e conquistando nuove adesioni, non per acclamare un nuovo capo ma per coinvolgere tutto il partito nella discussione e nell'azione.
Aiutiamo il grande PD a manifestarsi compiutamente: mille incontri con gli elettori per coltivare il campo democratico; una festa nazionale per valorizzare le migliori realizzazioni dei democratici; la riconciliazione con i movimenti e le forze sociali, la confidenza con il disagio delle persone più deboli per sortirne insieme; giovani in Erasmus per conoscere i militanti democratici dell'Europa e del Mediterraneo, luoghi di elaborazione culturale e programmatica, sperimentazione di infrastrutture digitali per l'organizzazione, elaborazione di nuovi linguaggi popolari, crowdfunding per progetti innovativi, e i banchetti nelle strade per iscriversi al partito.
Siamo in tanti oggi qui, ma potremmo essere molti di più. Proviamo a creare un sommovimento democratico, abbiamo poco da perdere. Con gli attuali dirigenti non vinceremo mai, vale anche per loro la profezia di Nanni Moretti. Solo l'irruzione di una nuova politica può svelare il grande PD che serve al Paese.
Urca Walter. Se non ci fosse tanto "residuo non solubile"ancora, quasi quasi ci farei un pensiero...
RispondiEliminaun abbraccio, sergio
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RispondiEliminaWalter , bella l'idea del grande PD che irrompe nel piccolo PD.
RispondiEliminaIl grande PD però dovrebbe subito manifestare: un dream nuovo; una idea di futuro; una serie di priorità nette ( la scuola, il lavoro, lo sviluppo delle imprese; la riorganizzazione della pubblica amministrazione; strappare alla criminalità la parte di paese che essa controlla una serie di progetti); nuovi luoghi e piattaforme di aggregazione; una nuova capacità di ascoltare e capire la società e altro: questo può generare nuove messaggi per i poveri, i giovani, gli emarginati, gli impauriti(non il contrario) . Occorrerebbe lanciare 1,10, 1000, 100.000 progetti. Occorrerebbe un nuovo personale politico in grado di dialogare (non rottamare) il precedente. Occorrerebbe comunque dire cose cose chiare e strutturali sulla sconfitta. Infine una posizione superiore ma non aventiniana rispetto alle vicende della formazione del governo. Credo anche che occorra fare un congresso in cui ci si confronta duramente sulle idee e sui progetti, come mi pare abbia detto Macaluso.
Walter , tu sei in condizione di cominciare.
Walter , bella l'idea del grande PD che irrompe nel piccolo PD.
RispondiEliminaIl grande PD però dovrebbe subito manifestare: un dream nuovo; una idea di futuro; una serie di priorità nette ( la scuola, il lavoro, lo sviluppo delle imprese; la riorganizzazione della pubblica amministrazione; strappare alla criminalità la parte di paese che essa controlla una serie di progetti); nuovi luoghi e piattaforme di aggregazione; una nuova capacità di ascoltare e capire la società e altro: questo può generare nuove messaggi per i poveri, i giovani, gli emarginati, gli impauriti(non il contrario) . Occorrerebbe lanciare 1,10, 1000, 100.000 progetti. Occorrerebbe un nuovo personale politico in grado di dialogare (non rottamare) il precedente. Occorrerebbe comunque dire cose cose chiare e strutturali sulla sconfitta. Infine una posizione superiore ma non aventiniana rispetto alle vicende della formazione del governo. Credo anche che occorra fare un congresso in cui ci si confronta duramente sulle idee e sui progetti, come mi pare abbia detto Macaluso.
Walter , tu sei in condizione di cominciare.
Walter se tu fai il portavoce io ti sostengo!
RispondiEliminaho provato a commentare ma si e' perso tutto carlo
RispondiEliminaCaro Walter, visione necessariamente sintetica la tua, ma straordinariamente pregnante.
RispondiElimina“Grande PD” e “piccolo PD”: è un’immagine suggestiva, che spiega molto di quel che è accaduto.
Tuttavia, se del “piccolo PD” riesco a scorgere il profilo, disegnato dalla mera volontà di gestire il potere, dovunque e comunque esso si presenti, dalla RAI alle partecipate, al sistema delle cooperative e altro ancora, nel solco delle morenti socialdemocrazie europee, del “grande PD” vedo ben poco, se non l’immagine manzoniana di un “volgo disperso che nome non ha”. Voi del “grande PD” troppo avete pazientato e tollerato, in nome della fedeltà al partito (ma Lenin, dov’è?) e adesso temo proprio che sia tardi e che la ricomposizione potrà avvenire solo nella presa d’atto della fine dell’"esperimento decennale", a cui personalmente non ho mai creduto e che oggi mostra tutti i segni, come tu stesso riconosci, di un rapido e precoce invecchiamento.
Lasciate dunque che il nostro (vostro) Macron in sedicesimo fondi un suo movimentuzzo e che persegua il suo obiettivo di sempre, ovvero quello di diventare l’unico e vero erede di Berlusconi. Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti. La novità c’è, è grande ed è sotto gli occhi di tutti. Innervare questa novità e abbandonare l’antico e malandato vascello mi pare un’assoluta priorità.
Non e’ che il”Grande PD” si chiama M5S?
RispondiEliminaIo non sono d'accordo con questa analisi, anche se ne riconosco alcuni spunti interessanti. Il PD è stato oggetto di attacchi violenti da parte di tutti, destra, sinistra e 5S per 5 anni almeno, trovandosi a gestire situazioni difficili e non popolari, come le banche e l'immigrazione. Ha cercato di cambiare, a torto o a ragione l'Italia, con una serie di riforme, spesso rimaste incompiute o inadatte a modificare davvero il corso delle cose. Ricordiamoci che a Torino, a Roma, ovunque, c'è stata una santa alleanza anti PD, "chiunque al governo ma non il PD". Adesso non si tratta di ascoltare la gente e i suoi bisogni, come se prima questo non fosse fatto, ma di essere coerenti con i propri principi. Se la gente chiede il blocco dell'immigrazione o si alzano i muri, oppure si fa come ha fatto il PD, quindi si perdono le elezioni al centro nord. Se il sud è sempre più in difficoltà e non si riesce a creare lavoro e ad attirare investimenti in breve tempo, o si creano posti di forestali, si annuncia il reddito di cittadinanza, oppure si perdono le elezioni. In questa tornata nessuno ha ammesso che il PD sia riuscito a prendere un paese con un PIL negativo da 4 anni e risollevarlo, portandolo all'1,5%, ha fatto crescere la fiducia delle imprese, ha ridotto il rapporto deficit/PIL, ha messo in sicurezza il sistema bancario, ha introdotto delle leggi aspettate da decenni da molti Italiani. La campagna anti-Renzi e quindi anti-PD è stata condotta senza quartiere a tutti i livelli, anche internamente al PD stesso. Se adesso gli esponenti del PD pensano di tornare indietro e recuperare dei voti da chi adesso ha votato altro, si sbagliano. Per prendere voti occorre fare come Trump, come Orban, come Macron: occorre dichiararsi antisistema, anti Europa, anti banche, anti tutto. Questo a breve darà successo, alla lunga non si sa, occorre aspettare. I grandi problemi dell'Italia non saranno risolti con le parole, ma con i fatti, ed ancora di fatti in giro non se ne sentono e non se ne vedono. Per quanto riguarda il PD, prima ancora di ascoltare la gente occorre dire che idea di politica si vuole avere. Renzi avrà tutti i suoi difetti, ma è chiaro. Chi lo ha sempre criticato non ha mai detto chiaramente cosa fare, quale idea si debba avrere dell'Italia. I 5S hanno vinto perchè hanno espresso con forza e con coerenza alcune idee, lo stesso la Lega. Qual è l'idea del PD attuale?
RispondiEliminaAnalisi, mi perdonerà Michele, piuttosto superficiale:
Elimina1. – i labili risultati positivi strombazzati da Renzi (ma vedi anche gli ultimi dati Eurostat) sono mero frutto di una tendenza globale alla crescita, della quale peraltro l’Italia ha saputo approfittare meno di tutti gli altri Paesi europei;
2. – L’attacco concentrico al PD? E l’atteggiamento sordo e strafottente di Renzi? (Memorabili le parole di Cuperlo: “Matteo, ti manca la statura del leader anche se coltivi l’arroganza del capo.”)
3. – Sicuramente la linea del PD renziano è stata chiara: Jobs Act, precarizzazione diffusa, donativi vari – 80 € a pioggia, 500 € a tutti i diciottenni, compresi i figli di papà, sgravi alle imprese senza precise contropartite - l’hanno caratterizzata in senso neoliberista e gradito alle élites – si fa per dire – italiane e brussellesi;
4. – È così bassa la stima che nutri per gli Italiani – stupidi a sentire l’intelligentone Ferrara – da ritenere che a sud c’è solo un popolo di lazzari che vota chi promette sussidi e a nord chi toglie le tasse. Non credi che bisognerebbe usare uno strumento un poco più sofisticato di analisi della situazione italiana?
5. – “Per prendere voti occorre fare come Trump, come Orban, come Macron”. Tutti eguali e tutti “populisti” allo stesso modo? Non credi che per prendere voti bisognava che Il PD facesse una buona politica, cioè a dire una politica coerente con la propria collocazione “a sinistra”, attenta alla condizione delle persone, pronta a contrastare le diseguaglianze crescenti e non più sopportabili (Bolzano, reddito medio 42.000 €, Reggio Calabria, reddito medio 16.000 €), non alla leadership personale o al marketing o ai diktat insensati dell’Europa franco-tedesca? Orban ha ricevuto ieri il 50% dei voti: tutti stupidi, ignoranti e venduti al miglior offerente, gli Ungheresi?