Di seguito potete leggere il mio intervento.
Quando arrivava una telefonata o una mail da Salvatore era spesso una chiamata all’impegno politico e culturale. Aveva creato negli ultimi anni un network di persone esperte in diversi campi con le quali promuoveva studi e seminari, sotto il titolo significativo “Ripensare la cultura politica della sinistra”. Non si poteva resistere alla sua sollecitazione: era convincente nel proporre i temi da trattare, contagiava anche i più scettici con il suo dissimulato entusiasmo e nel contempo si caricava per primo l’onere dell’organizzazione spingendo tutti gli altri a fare qualcosa. In lui in ogni momento si esprimeva la curiosità della conoscenza, la passione politica e la generosità d’animo.
Ancora nel mese di luglio ci aveva inviato una mail dandoci i compiti per le vacanze e invitandoci a una riunione per il 29 settembre. Per telefono lo avevo sentito affaticato e in parte anche scoraggiato, ma era ansioso di concludere il lavoro di questi anni pubblicando gli atti dei seminari già svolti. Come in un presagio della fine sentiva l’urgenza di portare a compimento l’opera.
Tra i partecipanti al network, in un rapido giro di mail di questi giorni, è stato spontaneo concordare di vederci proprio come ci aveva convocati lui, in quel giorno e con quei compiti. La pubblicazione dei documenti dei seminari sarà anche un’occasione per onorare la sua memoria di studioso rigoroso e di politico appassionato.
Nella scelta dei temi aveva un gusto spiccato per la fecondità dell’inattuale. Contro il deprimente mainstream era portato a rilanciare i grandi temi politici della sinistra, senza mai cadere nella nostalgia, ma cercando le ragioni contemporanee per una nuova trasformazione sociale e culturale. Questa era la chiave dei seminari: sulla generatività dei corpi intermedi contro la sterilità dei leader solitari; sulle politiche pubbliche capaci di alimentare la coesione sociale; su una nuova idea di socialismo per inverare i valori originari nei conflitti della nostra epoca. Molta cura dedicò al seminario di confronto tra diverse generazioni di studiosi sulle grandi fratture del mondo; volle che per ogni sessione ci fossero un relatore giovane a fianco di un altro più anziano. La curiosità verso i più giovani non si limitava solo all’attenzione personale, nei riguardi di studenti, ricercatori e militanti politici, ma era un modo per mettere alla prova le sue e le nostre certezze e confrontarsi con molteplici angoli visuali.
Tutte queste iniziative erano mosse dalla volontà, direi quasi da un assillo, di contribuire tramite la produzione culturale al rilancio della politica. Sentiva forte l’esigenza di trovare interlocutori politici in grado di ascoltare e di misurarsi con i più avanzati risultati della ricerca e dei saperi. Qui si sono consumate molte delusioni e amarezze, che però non hanno mai scalfito il suo impegno. D’altronde, sapeva bene che non si trattava solo di una mera mancanza di disponibilità di questo o di quel dirigente di partito, ma dipendeva da un processo più profondo di separazione tra politica e cultura, che si era consumato soprattutto in Italia, quasi per reazione agli eccessi della precedente stagione dell’intellettuale engagé o addirittura organico. Come testimonia il suo libro dei primi anni Duemila, intitolato Per una sinistra pensante, fu tra i primi a capire che l’esaurimento di quel vecchio modello avrebbe dovuto sollecitare la ricerca di un nuovo ruolo degli intellettuali nell’organizzazione politica. Invece, già allora sembrava un tema demodé; come in altri campi, alla destrutturazione del passato non subentrò mai la costruzione di una vera innovazione, nonostante il meritorio contributo di tante fondazioni e associazioni vecchie e nuove, tutte sostenute da Salvatore, la cui offerta, però, non ha trovato mai la domanda culturale dei partiti.
Così la separazione si è accentuata fino a diventare quella reciproca indifferenza che alla fine ha danneggiato sia la politica sia la cultura di sinistra. I politici, tranne alcune eccezioni, sono diventati sempre più superficiali e quindi meno autorevoli, fino al livello che abbiamo sotto gli occhi. E gli intellettuali, in gran parte ma fortunatamente non tutti, sono ripiegati nell’autosufficienza disciplinare oppure al contrario nella spettacolarizzazione mediatica; ma entrambe le posture, pur così diverse, si sono rivelate incapaci di elaborare un convincente e duraturo discorso pubblico, incapaci di incidere sul senso comune e di coinvolgere il sentimento popolare nella trasformazione del Paese.
Salvatore ha continuato ad ammonire sugli effetti negativi della separazione e ha tentato per almeno un ventennio di colmare la distanza, cercando nuove vie, incoraggiando chi mostrava una disponibilità, portando un contributo sempre ricostruttivo e mai demolitorio.
Di tutto questo mi è capitato di discutere a lungo con lui, godendo, insieme ad altri amici, dell’accoglienza sua e della carissima Valeria nella loro bella casa. E ho imparato molto dal suo smisurato sapere, che disseminava generosamente, quasi senza farlo vedere. Ho ammirato la sua tenacia e la sua intelligenza, l’ho seguito nelle sue imprese. Nel corso degli anni la stima si è evoluta nell’amicizia e nell’affetto.
Come sanno gli amici, Salvatore ha avuto una particolare capacità di farsi voler bene. Senza ricorrere a modi accattivanti, anzi con la sobrietà del suo tratto umano, ma soprattutto per un’originale impronta del suo carattere che ne faceva una persona speciale.
Capita a ciascuno di noi di apprezzare di volta in volta e singolarmente un valente intellettuale curioso del mondo e della vita, oppure di seguire un appassionato promotore di impegno civile e politico, o anche di godere dell’attenzione fraterna di un amico. Ma è raro che queste qualità si presentino nella stessa persona, tutte insieme e contemporaneamente e al massimo grado, proprio come accadeva con Salvatore.
Gli volevamo bene perché era una persona autentica, capace di comporre le sue doti in una personalità ricca e aperta verso gli altri.
Ci mancherà tanto, lo ricorderemo e lo additeremo come esempio per le nuove generazioni, alle quali aveva dedicato gran parte della sua opera culturale e umana.
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