mercoledì 6 maggio 2015

Ascoltare la scuola è la mossa del cavallo


Stamane si è tenuta una riunione dei parlamentari Pd con il premier Matteo Renzi sulla scuola. Lo scopo era valutare il da farsi dopo la grande manifestazione che ha espresso con tanta intensità i disagi e le aspettative del mondo scolastico.

Ho rivolto parole sincere al premier, facendogli notare come si trovi di fronte a un bivio: può scegliere di ripetere un film già visto, oppure stupire l'opinione pubblica. Forzare la mano imponendo una legge non condivisa dagli interessati sarebbe come una ripetizione del voto di fiducia sulla legge elettorale. Non aggiungerebbe nulla alla solita narrazione sull’interminabile duello con gli oppositori. Anzi, il vecchio film rischia a un certo punto di annoiare. 
Ci sarebbe invece l'occasione per dimostrarsi un leader che sa usare diversi strumenti di governo, anche quelli più dialoganti. A Renzi ho ricordato che stavolta non può piegare il mondo della scuola stringendolo in una morsa mediatica come avvenuto nei precedenti conflitti, dal Jobs Act all'Italicum. Non è possibile perché quel mondo ha un forte senso di appartenenza ed è dotato al suo interno di un formidabile tam tam comunicativo, che dopo un avvio lento è riuscito a coinvolgere milioni di persone. C’è stato un forte dibattito in rete, con documenti spesso efficaci e ben argomentati, a volte con con critiche infondate o con timori che vanno oltre le intenzioni governative, ma nel complesso questo fenomeno è riuscito a scoperchiare le contraddizioni del testo legislativo.
Come se ne esce? Non credo possa bastare una strategia emendativa. Occorre la mossa del cavallo che cambia il gioco. Ci vuole un reset che elimini le mosse sbagliate e crei una nuova occasione di dialogo. Ecco la mia proposta: approvare rapidamente le norme sulle assunzioni e sull'organico funzionale, tenendo conto delle obiezioni fondate, assicurando l'assorbimento del precariato nel prossimo biennio e impedendo che si possa riformare in seguito. In questo modo si porta una buona notizia nelle scuole, si motiva all'impegno didattico una nuova generazione di insegnanti, si utilizzano subito i soldi stanziati meritoriamente dal governo.
Questa mossa ripristina un clima sereno e ci offre il tempo per riscrivere il resto della legge senza l'affanno della scadenza di settembre. Le cose da cambiare sono molte, e quella degli emendamenti sarebbe una strada difficile perché il testo è scritto malissimo, con un miscuglio di superficialità ministeriale e sicumera ideologica.

sabato 11 aprile 2015

Ancora la cura del ferro

La cura del ferro è un programma di sviluppo della rete dei trasporti a Roma. Fu impostato venti anni fa e ha avuto alterne vicende in fase attuativa. In questo saggio si analizzano le incompiute e gli equivoci che si sono accumulati in passato e si individuano i possibili sviluppi per il futuro.

Il Comune di Roma propose nel 1996 una nuova pianificazione dei trasporti con la rete chiamata Metrebus 3x3[1]. Il nome della rete riprendeva quello dell’abbonamento che i cittadini avevano già conosciuto l’anno prima con la novità dell’integrazione tariffaria valida per i bus, le metro e le ferrovie[2]. La rete prevedeva tre passanti ferroviari regionali che scambiavano con tre metropolitane urbane. Per i primi si passò subito all’attuazione delle prime tratte, una per ciascun passante. La FR1 da Fara Sabina a Fiumicino era già stata messa in servizio nei primi mesi del mandato Rutelli utilizzando l’infrastruttura esistente che verrà poi potenziata negli anni successivi. Il cosiddetto “passante dei laghi” da Bracciano ai Castelli fu realizzato in parte da Cesano a San Pietro cogliendo l’occasione del Giubileo, ottenendo forse la più bella ferrovia metropolitana italiana sul modello delle S-Bahn tedesche, oggi impreziosita da una pista ciclabile che scorre sopra la galleria. E il terzo passante avrebbe dovuto connettere Guidonia a Civitavecchia attraverso il completamento dell’anello ferroviario nella zona di Vigna Clara. La realizzazione della tratta da Lunghezza a Tiburtina fu imposta dal Comune come condizione per l’approvazione urbanistica del tracciato dell’Alta Velocità.

Fu un recupero del patrimonio ferroviario esistente, per quasi un secolo colpevolmente sottoutilizzato e abbandonato all’obsolescenza tecnologica; la linea per Cesano, ad esempio, era rimasta a fine Ottocento, senza elettrificazione e a un solo binario. Lavorando sulla vecchia infrastruttura si evitarono le difficoltà di impatto che di solito accompagnano i nuovi tracciati. Si ottennero con costi modesti risultati formidabili, liberando dall’ingorgo diverse parti dell’hinterland. In poco tempo raddoppiò il numero di passeggeri, ma il successo divenne rapidamente un problema, perché il programma di attuazione – invece di proseguire allungando le tratte e potenziando i treni – si interruppe, creando quel disagio del sovraffollamento di cui ancora oggi soffrono i pendolari a Cesano, a Monterotondo e a Lunghezza. Si è fatto scoprire ai cittadini un servizio nuovo per poi abbandonarlo nel disinteresse generale. Dopo quelle tre ferrovie nessuna opera nuova è stata realizzata e neppure progettata. La mancanza di soldi è solo un alibi, se ci fossero progetti e volontà si potrebbero intercettare tanti finanziamenti nazionali non spesi.



venerdì 10 aprile 2015

Non si piange su una città coloniale. Note sulla politica romana


L’abisso di corruttela scoperchiato a Roma meritoriamente dalla magistratura lascia attoniti e indignati. Come è potuto accadere tutto ciò? Molti amici me lo hanno chiesto nei mesi passati. Con questo lungo saggio tento di dare una risposta cercando le cause remote e i rimedi non contingenti. Come spesso capita nel dibattito pubblico, una luce abbagliante mette a fuoco la miseria del presente, ma non illumina né il passato né il futuro.

C’è una crisi capitale del governo della capitale che va al di là della grave patologia attuale e richiede un’analisi a ritroso non solo dei guasti delle giunta di destra, ma anche delle ambiguità e delle incompiute del riformismo precedente. È ineludibile un bilancio sincero ed equanime del nostro quindicennio di governo. D’altro canto le soluzioni non sono riducibili alle battute d’occasione, ma richiedono uno sguardo più lungo sul destino della città.

Di seguito si tenta questa doppia fuga temporale, all’indietro per capire che cosa è successo e in avanti per immaginare un senso nuovo della capitale. Le singole proposte hanno un valore euristico – sono certo imperfette, controverse e non esaustive – e vogliono indicare solo l’urgenza di una ricerca che richiede contributi, critiche e condivisioni più ampie.

Può sembrare quasi provocatorio – e non nascondo l’intenzione – proporre una discussione sul futuro della città quando incalzano le emergenze amministrative e il fallimento della classe politica. I problemi della vita quotidiana quasi mai si risolvono caso per caso se non si cambia il paradigma che li determina. Nasce il cambiamento solo se si prende congedo dalla contingenza per immaginare un’altra visione delle cose.


giovedì 9 aprile 2015

La bontà segreta di Giovanni Berlinguer


Intervento per la commemorazione di Giovanni Berlinguer tenutasi in Senato nella seduta dell’8 Aprile 2015.



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Signor presidente, onorevoli senatori,

è venuto a mancare Giovanni Berlinguer, una figura eminente della Repubblica. È stato uno dei migliori uomini politici italiani. Ha servito con passione e competenza le istituzioni, dal Campidoglio, alla Camera, al Senato, al Parlamento europeo. In ogni assemblea elettiva ha lasciato un segno inconfondibile della sua presenza. Anche in quest'aula di Palazzo Madama si ricordano i suoi contributi preziosi e sempre aperti al confronto con chi la pensava diversamente.

Eppure, nel celebrarne il valore politico mi pare di non dire quasi nulla sulla ricchezza della sua personalità. È stato infatti non solo un politico, ma uno scienziato di ampi orizzonti, un militante dell'impegno sociale, un intellettuale riconosciuto a livello internazionale. È impressionante la vastità dei suoi interessi, la diversità dei campi di azione e la molteplicità dei linguaggi. A tenere insieme questa complessità di pensiero e azione poteva essere solo una pregiata stoffa di umanità, che negli esiti appariva esplicitamente ai suoi interlocutori, ma nelle motivazioni rimaneva come una forza segreta del suo animo. Era un piacere discutere con lui, un'occasione imperdibile lavorare insieme, un privilegio averlo come amico. 

Nei diversi gradi della relazione con gli altri rimaneva costante il suo stile lieve, generoso, semplice, curioso e ironico. Non era privo di contrasti, che però non si elidevano tra loro, anzi vibravano come le corde di un violino creando il fascino della sua personalità: intransigente e aperta, determinata e mite, solare e profonda.

domenica 22 marzo 2015

A proposito di parricidio


Intervento all'assemblea delle minoranze "A sinistra nel Pd", Roma, Acquario, 21-3-2015

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Porto un dubbio in questa assemblea. Abbiamo saputo svelare la posta in gioco? Temo di no. Abbiamo accettato la frantumazione dei problemi: il bicameralismo, la legge elettorale, il Titolo V, ecc. Ma se si mettono insieme i pezzi del puzzle emerge una nuova figura istituzionale. Si cambia la forma di governo, senza neppure dirlo. Si realizza quel premierato assoluto che Leopoldo Elia paventava ai tempi di Berlusconi. 

Non serve parlare genericamente di svolta autoritaria, rimaniamo ai fatti. All’aumento dei poteri dell’esecutivo non corrisponde un parallelo rafforzamento dei contrappesi, che anzi diventano più deboli di prima, quando c’era la democrazia parlamentare.
Un leader minoritario che raccoglie il 20-25% dei voti reali conquista il banco e insidia i massimi organi di garanzia costituzionale.
Il premio di maggioranza può essere utilizzato non solo per governare, che è legittimo, ma anche per consegnare allo spirito di fazione la legislazione sui diritti fondamentali, sulla libertà di stampa, sull’autonomia della Magistratura, sull’accoglienza dei migranti, sulla pace e la guerra.

Il capo del governo è legittimato direttamente dal voto popolare mentre il Parlamento è più delegittimato di prima, perché in gran parte nominato dal ceto politico regionale al Senato e dai capi corrente alla Camera.
Questo squilibrio di poteri non ha paragoni in Europa. Infatti, Renzi dice che ce lo copieranno. Ma è l’ennesima anomalia italiana che sbarra la strada verso una democrazia matura. 

venerdì 27 febbraio 2015

Fare società con la politica


Fare società con la politica è il titolo del seminario organizzato dal Centro per la Riforma dello Stato e che vedrà la partecipazione di Franco Cassano, autore del libro "Senza il vento della Storia. La sinistra nell'era del cambiamento." L'appuntamento è per Giovedì 5 Marzo alle 17 presso la fondazione Basso, in Via della Dogana Vecchia a Roma.

Nel suo libro, Franco Cassano indica la questione costitutiva della sinistra nel rapporto tra progetto politico e alleanza sociale: “La sinistra non è sinistra… se non riesce a guardare in modo lucido alle mutilazioni e alle deformazioni che il suo blocco sociale ha subito nel corso di questi decenni.”

La tipica frammentazione delle società contemporanee non rende impossibile, almeno potenzialmente, la ricomposizione per via politica. È infondato l’argomento di chi ritiene obsoleta l’idea di blocco sociale. Ma certo la sua realizzazione oggi richiede maggiore sensibilità nel comprendere le trasformazioni dei soggetti sociali, dei “nuovi ceti popolari” e del “lavoro autonomo di seconda generazione”. Non si tratta di aggiungere nuove pedine al posto di quelle vecchie sulla stessa scacchiera. Occorre molto di più, “una rete limpida e stabile di alleanze tra i diversi diritti e le diverse aree sociali ad essi legate.”

A partire da queste considerazioni contenute nel libro abbiamo chiesto a Cassano e agli altri relatori, Maria Luisa Boccia, Mario Dogliani, Pasquale Serra, di sviluppare le loro riflessioni in questo seminario del Crs.
La discussione consentirà di approfondire il tema e soprattutto di chiarire alcune questioni controverse. A mo’ di esempio se ne possono già individuare alcune.

lunedì 26 gennaio 2015

Un Presidente di garanzia costituzionale



Il mio intervento di oggi alla riunione del gruppo dei senatori PD a proposito dell'elezione del Presidente della Repubblica.
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Sul Presidente della Repubblica sono possibili due strade: un politico o un tecnico. È meglio decidere subito piuttosto che cambiare percorso bruscamente in seguito a inciampi successivi. 

Ci sono buone ragioni per scegliere una strada o l'altra. Io preferisco la seconda, ma posso accettare anche la prima. In questo caso però consiglierei di seguire una procedura più sicura per costruire un ampio consenso. Si potrebbe organizzare una vera consultazione, consentendo a ciascun parlamentare del Pd di esprimere la propria preferenza col voto segreto. Si formerebbe così una rosa di nomi dalla quale il segretario si prenderebbe la responsabilità di scegliere il candidato da proporre agli altri partiti. C'è un precedente storico: Aldo Moro fece votare a scrutinio segreto i suoi parlamentari e ottenne la candidatura di Antonio Segni, il quale poi fu eletto al Quirinale. Certo, non fu un buon Presidente, ma la procedura decisionale era molto innovativa per quei tempi; si è dimenticato che i democristiani inventarono le primarie per il Quirinale.

Se invece si scegliesse un tecnico, dovrebbe essere il segretario a fare una proposta, senza ricorrere alla consultazione interna. Il tecnico non deve essere un economista – abbiamo già concesso troppo alle tecnocrazie – bensì un costituzionalista o perlomeno uno studioso dello Stato. Il Paese dispone in questo campo di tante personalità prestigiose.



Sarebbe la migliore soluzione per voltare pagina. È giunto il tempo di raffreddare l'interventismo politico del Quirinale. Lo si poteva ritenere necessario negli anni passati, quando la politica ha dato segni di disorientamento e perfino di abdicazione. Si possono avere opinioni diverse sulle modalità della supplenza svolta dai Presidenti nell'ultimo trentennio, ma certo non si può dire che essa non abbia avuto un fondamento nella crisi dei partiti. Ora però la politica ha ritrovato la sua forza e rivendica piena autonomia di scelta. È quindi necessario un contrappeso di natura prettamente istituzionale.

Molte ragioni consigliano di accentuare la funzione di garanzia costituzionale del Quirinale. Potrebbe vigilare che le tante riforme in discussione si muovano nell'alveo dei fondamentali principi costituzionali. Potrebbe contrastare la tendenza sempre più accentuata alla deroga e all'elusione delle regole. Potrebbe indirizzare il Parlamento verso una legislazione più ordinata, più semplice e più comprensibile per i cittadini.
Abbiamo tanto bisogno di un Presidente che si prenda cura delle buone leggi.

domenica 14 dicembre 2014

È possibile

Intervento all'assemblea La sinistra? Possibile promossa dall'area di Pippo Civati a Bologna, 13 Marzo 2015. 
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Nel vedervi così numerosi mi sono tornate in mente le passioni di un anno fa. Portammo nelle primarie il sogno di un Pd mai visto prima. Non siamo riusciti a realizzare il sogno. Ops, manca una parola in questa frase, suona meglio così: non siamo ancora riusciti a realizzarlo.

Il nostro pensare in positivo non è stato accolto. Il nostro temere il negativo ha avuto troppo successo. Per una minoranza è davvero un guaio avere ragione sul lato negativo, perché rischia di trovarsi peggio di prima. Infatti, mi ha stupito una frase di Renzi - “Se fallisco io viene la troika” – parole pesanti, forse rivolte proprio a noi, certo una drammatizzazione per ottenere altre deleghe in bianco. Tuttavia, non è di poco conto che il segretario abbandoni per un attimo il racconto mirabolante e metta in conto la sconfitta. Cambia l'allure del renzismo, finisce l’età del’innocenza, della freschezza e dell’ottimismo; si affaccia un atteggiamento più cupo, ultimativo e senza alternative; il gioco si fa quindi più duro nella vita interna e torna il linguaggio cameratesco della disciplina. Non dobbiamo farci incupire. E’ possibile non è solo il nome di un’associazione, di più è uno sguardo positivo sulla sorte del Pd e della sinistra italiana.

Quella frase - viene la troika – rivela che il leader si sente inseguito, come chi è alla guida ed essendo incalzato dall'automobile che viene dietro finisce per sbagliare strada svoltando a destra anche se non è necessario. È successo proprio così con la cancellazione dell’articolo 18 e lo scontro con i sindacati. È stata proprio la svolta sbagliata; da quel momento il governo ha cominciato a perdere consensi e ha interrotto la luna di miele con il Paese. Ma era proprio ciò che voleva la troika. Renzi così credeva di avere più forza in Europa e invece appena ha approvato il Jobs Act l'establishment ha cominciato a maltrattarlo. Ieri Juncker ha abbandonato il solito aplomb e ha usato parole beffarde vero il governo italiano. Sembrava volesse dire: bravo ragazzo hai quasi finito i compiti, fra un po’ non avremo più bisogno di te.

venerdì 12 dicembre 2014

Era meglio la legge Scelba: perché non va bene l'Italicum.

Intervento in Senato nella discussione sulla legge elettorale, 13 Gennaio 2015.

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Signor Presidente, signori senatori,

l’Italicum è invecchiato prima di nascere. Si procede ad approvarlo per inerzia, con la solita sicumera, ma fuori dalla realtà del Paese, senza risolvere la crisi di fiducia tra politica e cittadini, anzi rischiando di aggravarla. 

La crisi è cominciata quasi dieci anni fa con il Porcellum che ha rotto il rapporto tra eletti ed elettori aprendo la via alla delegittimazione della Casta. Si sperava in una svolta per restituire lo scettro agli elettori e invece si prosegue con l'ancien régime. La legge Del Rio assegna al ceto politico l’elezione dei consiglieri della Provincia e della Città Metropolitana. Lo stesso metodo di elezione di secondo grado sarà applicato nella nomina dei senatori, secondo la proposta di legge Boschi. E per quando riguarda la gran parte dei deputati l’Italicum conferma il potere di nomina da parte dei capi-partito. Nella nuova versione si vuole mitigare l’effetto Porcellum aggiungendo una quota di eletti con le preferenze che riguarderebbe però solo i primi due partiti. Tutti i fenomeni corruttivi, da ultimo e più gravemente il caso romano, sono caratterizzati dalla furiosa lotta di preferenze tra correnti di partito. Dubito che sia utile reintrodurle proprio adesso nella legge elettorale nazionale.

Il secondo Italicum mette insieme i due meccanismi più screditati: le preferenze e i nominati. Di conseguenza il rapporto tra eletti ed elettori può solo peggiorare.

martedì 2 dicembre 2014

In ricordo di Silvano Andriani


Riporto di seguito il mio intervento odierno in Senato in ricordo di Silvano Andriani.

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Signor presidente, onorevoli senatori,

è venuto a mancare ieri Silvano Andriani, senatore della Repubblica nella IX e X legislatura, stimato esponente della sinistra italiana e valente studioso della politica economica. Ci uniamo alla commozione che il Presidente Repubblica ha voluto esprimere ieri con parole affettuose e piene di vividi ricordi. 
Poche ore fa a Tor Vergata lo hanno salutato gli amici, ancora sgomenti per la notizia inaspettata. Per sua volontà nulla si era saputo della malattia e nessuna parola è stata pronunciata nella camera ardente. Ha cercato anche nella morte quella sobrietà riflessiva che lo ha accompagnato nella vita. Inn privato come in pubblico è sempre riuscito a mettere in tensione creativa le differenze, tra la ritrosia e la socievolezza, tra la necessità e la bellezza, tra il rigore e l’invenzione, tra la coerenza di partito e quello spirito libertario che in gioventù aveva attinto alla sorgente di Lelio Basso.

Forse non avrebbe voluto neppure questa commemorazione; mi sembra quasi di sentire il suo rimprovero mentre parlo a voi, cari colleghi. Credo però che valga la pena, ancor di più in questi tempi difficili, di onorare la memoria di un uomo politico che ha servito il Paese con sapienza, lungimiranza e onestà.

Silvano Andriani ha rappresentato il Pci in questa aula del Senato, cercando sempre un confronto leale con le altri parti politiche. Da ricordare i suoi dibattiti in commissione bilancio con l’allora ministro Beniamino Andreatta - due persone così diverse tra loro per le matrici culturali e per i ruoli di maggioranza e opposizione, eppure così vicini per la medesima curiosità verso il cambiamento del Paese. Correvano gli anni ottanta, quel decennio di passaggio tra una ripresa del vitalismo produttivo e il conservatorismo dell’oligarchia finanziaria. Andriani sapeva cogliere i nessi tra politica industriale e dimensione finanziaria, non solo nell’attività parlamentare, ma soprattutto nell’attività di ricerca del Cespe, che sotto la sua direzione fece crescere una nuova generazione di economisti di sinistra.