Intervento
alla manifestazione +Sapere=Sviluppo organizzata da LEFT a Roma, Teatro Piccolo
Eliseo, 12 febbraio 2013
Le parole che usiamo
per la riforma dell'Università e degli Enti di ricerca sono le stesse che
indicano il cambiamento del Paese in senso più generale. Anche nel linguaggio
la cultura è legata al futuro italiano. La politica del sapere, infatti, non è
uno dei tanti capitoli del programma di governo, ma è la visione che spiega e
rende credibile il progetto per l'Italia
Giusta che vogliamo.
GIOVENTÙ è la linfa vitale che il Paese non deve più sprecare. C'è un paradosso da
ribaltare: a perdere i giovani oggi sono proprio le istituzioni preposte alla
cura della gioventù. Li perdono presto con alti tassi di abbandono scolastico,
poi meno immatricolati all'università e i ricercatori costretti a lasciare o il
Paese o la passione della ricerca.
Restituire ai giovani
la fiducia negli studi significa restituire agli italiani la fiducia nell'Italia.
La Destra voleva far capire in tanti modi che è inutile studiare. Dopo la
vittoria, invece, noi faremo un discorso nuovo ai giovani. Questo è il vostro
Paese e il governo vuole aiutarvi a cambiarlo. Nell'unico modo possibile al
giorno d'oggi, con la crescita della conoscenza, tenendo le scuole aperte
giorno e sera, riaprendo le porte dell'Università e degli Enti.
EGUAGLIANZA.
La crisi picchia sui figli dei lavoratori e del Mezzogiorno. Si è aperta una
voragine sociale nell'istruzione, troppo a lungo celata dall'establishment. Si
ritorna ad una società che consente solo ai figli di papà di andare avanti. Bisogna
costruire un nuovo Welfare degli studenti, per i servizi culturali, sanitari e
di trasporto e soprattutto per le residenze. Realizziamo villaggi studenteschi
nelle vecchie caserme, invece di venderle agli speculatori. Dove noi abbiamo
fatto la naja i giovani potranno studiare ed esprimere la loro creatività. Il
diritto allo studio deve garantire standard europei, almeno uno studente su
quattro con la borsa, questi sono i vincoli tedeschi che ci piacciono. Ma i
furbacchioni del ministero invece di aumentare i fondi vorrebbero diminuire gli
aventi diritto, con la bozza di decreto presentata alle Regioni, come hanno
denunciato in questi giorni le organizzazioni di sinistra degli studenti.
Dobbiamo impedire a Profumo di peggiorare la situazione. Voi, rappresentanti
del CNSU, chiamatelo, ditegli di riposarsi, non c'è bisogno che si affanni
ancora, tanto ha già raggiunto la palma di peggior ministro.
CONOSCENZA
è il passato e il futuro della civiltà italiana. Non ci sarebbe neppure bisogno
di dirlo, eppure per ricordare questa semplice verità e impedire i tagli alla
cultura i giovani ricercatori si sono dovuti arrampicare sui tetti. Nella
piazza del Parlamento i professori hanno fatto lezione agli studenti per
ribadire che l'istruzione è l'agorà
della Repubblica. Davanti al palazzo del Governo i ricercatori degli Enti hanno
portato gli strumenti dei laboratori in segno di protesta, mentre quelli dentro
il palazzo organizzavano le cricche e sentenziavano che non si mangia con la
cultura.
Bersani è oggi
candidato premier perché si è conquistato la credibilità in tanti modi, anche
salendo sui tetti a fianco dei ricercatori e manterrà l'impegno preso.
Dall'opposizione abbiamo portato la conoscenza sui tetti, dal governo la
porteremo ancora più in alto.
LAVORO
si crea oggi con il sapere non con le chiacchiere degli economisti da
rotocalco. Si crea mettendo a frutto le capacità dei giovani nativi digitali,
colmi di specializzazioni, che parlano le lingue e hanno in mente il mondo
nuovo, non si crea con le leggi che si occupano solo di licenziamenti. Si crea
con l'economia che cura i beni comuni, la green
economy e il nuovo Welfare, non si crea, anzi si distrugge, facendo solo i
"compiti a casa".
La storia italiana è
come un interminabile tiro alla fune tra la Rendita e l'Ingegno. Nei momenti di
decadenza vince la Rendita e il Paese si impoverisce, si deprime, si chiude in
se stesso. Nei momenti di prosperità vince l'Ingegno che crea ricchezza,
rafforza la coesione sociale e stupisce il mondo. E' accaduto dal Rinascimento
alla crisi del Seicento e ai tempi nostri dal miracolo economico fino alla
depressione attuale. Nella quale il mattone vale più della tecnologia, la
corporazione più dell'invenzione e la finanza più dell'industria.
Nel ventennio
Berlusconi ha dato una strattonata alla fune e siamo caduti nella buca della
Rendita. Ma è solo con l'Ingegno che possiamo rialzarci. Ce la possiamo fare,
abbiamo dimostrato di saperlo fare in altri momenti, ad esempio col miracolo
del dopoguerra che fu anche intellettuale. Non dimentichiamo i protagonisti di
allora: la plastica di Natta, il computer dell'Olivetti prima degli americani,
il satellite di Broglio del primo paese europeo nello spazio, l'Istituto
Superiore di Sanità con tre premi Nobel, e poi Mattei, Ippolito, Amaldi, e
ancora cinema, arte e letteratura di rango internazionale e la riforma della
scuola media unificata. Se tutto ciò abbiamo saputo realizzare quando eravamo
un Paese povero, distrutto dalla guerra e quasi analfabeta possiamo fare meglio
oggi che siamo un Paese ancora ricco e con una gioventù molto più istruita.
Tiriamo allora la fune dal lato dell'Ingegno per un nuovo miracolo del lavoro
italiano.
Nel MONDO i nostri scienziati, quasi da
soli, hanno tenuto alto il prestigio dell'Italia. L'opinione pubblica lo aveva
dimenticato in seguito della denigrazione dell'Università e degli Enti compiuta
dai governi, ma lo ha riscoperto col successo del bosone di Higgs. Per merito
dei nostri fisici del CERN, ma anche perché in passato l'Italia è stata
protagonista di quelle grandi infrastrutture di ricerca in Europa. Non a caso
Bersani ha iniziato la campagna elettorale a Ginevra. Il nostro governo tornerà
protagonista nei grandi progetti europei di ricerca, i quali, secondo la
proposta di Delors, dovrebbero essere finanziati fuori dai vincoli di
Maastricht. Università ed Enti con le loro partnership scientifiche apriranno
le strade del mondo alle forze più innovative della società. Solo con la
cultura l'Italia eviterà di chiudersi in se stessa e saprà connettersi alle
reti internazionali dell'innovazione. Se faremo questa politica, i giovani
saranno orgogliosi di dirsi italiani quando andranno all'estero, senza perdere
tempo a spiegare la storiella della figlia di Mubarak, come è capitato a tanti
di loro.
MERITO
è una parola che ci piace perché è scritta in Costituzione. Perché la serietà e
l'impegno negli studi è da sempre nelle corde della sinistra italiana, ce lo ha
insegnato Gramsci. E per riconoscerlo c'è voluto un ministro di destra, ma
britannico, Mr. Michael Gove, che nello sconcerto generale ha citato un passo
dei Quaderni sul valore della scuola.
Merito è una parola
generosa e intelligente che rischia di essere soffocata da Meritocrazia, la quale invece è parola tronfia e retorica. Non
dovremmo più usarla dopo la brutta prova che proprio nella politica culturale
hanno dato i Sapientoni chiamati al governo. E la parola contiene pure una
brutta commistione con il kratos cioè
con il Potere. Ma il vero Merito frequenta altri ambienti, preferisce altre
amicizie.
Il Merito non si
accompagna al Potere, ma si sposa con la Libertà. Si studia per non piegare la
testa, per non rinunciare a cambiare il mondo, come indicava Don Milani ai
ragazzi di Barbiana.
Il Merito non ama la
gerarchia, vale per la brava maestra e per il premio Nobel, vale per il sapere
e per il saper fare, riconosce le differenze di vocazione dei ragazzi senza livellarle
con i quiz ministeriali.
Il Merito indica qualcosa
o qualcuno che vale in quanto viene riconosciuto e messo a frutto nella
relazione con Altri. È un bene relazionale, non è il possesso solitario e
disperato del terzo servo della parabola dei talenti.
Il Merito è la candela che
accende altre candele senza perdere la propria luce ma contribuendo a
illuminare l'intero paese, come nell'aforisma di Thomas Jefferson.
MAESTRO-ALLIEVO.
Tra le relazioni umane è forse la più misteriosa perché fondata su una sottile
tensione tra la fedeltà e il tradimento. Il maestro consegna all'allievo
un'eredità di metodi e di saperi, ma poi a un certo punto l'allievo va oltre
quel lascito e cerca nuove strade. Così la conoscenza cresce e si diffonde.
Bisogna curare questa relazione che è il cuore dell'istruzione e della ricerca.
Oggi, però, alcuni saperi si inaridiscono perché i maestri non trovano più
allievi. E per molti ricercatori il tradimento non è più un atto conoscitivo,
ma una fuga dal Paese.
Nella didattica conta
soprattutto il valore e lo stato d'animo dei docenti. Ci commuoviamo al ricordo
dei maestri che in gioventù ci hanno aperto la mente e il cuore. Se lasciano un
patrimonio tanto prezioso nella vita di milioni di cittadini, gli insegnanti
devono essere portati in palmo di mano e messi in condizione di svolgere al
meglio la loro vocazione.
E le istituzioni del
sapere saranno più vitali se la voce degli studenti potrà esprimersi
liberamente, come autonomia creativa, come critica dei poteri, come proposta di
riforma. Nella tensione feconda tra insegnati e studenti si arricchisce lo
scambio generazionale, si connette il passato e il futuro, matura la coscienza
nazionale, si forma lo spirito pubblico e nascono nuove classi dirigenti. Di
tali virtù ha tanto bisogno l'Italia.
PUBBLICO.
Per troppo tempo abbiamo consentito alla destra di deformare questa parola e
spesso l'abbiamo difesa male. Pubblico non è una modalità dell'amministrazione,
è una qualità della democrazia. Pubblico viene insidiato da chi lo nega per
poter privatizzare ogni cosa, ma è danneggiato anche da chi lo celebra per
ridurlo poi a burocrazia inefficiente.
Università ed Enti non
sono né aziende private né burocrazie ministeriali, devono essere Istituzioni
del sapere, libere, creative e autorevoli. Devono organizzarsi secondo l'unica
regola che appartiene alla loro intrinseca natura, cioè la crescita e la
diffusione della conoscenza. Per questo vanno liberate dalla cappa di piombo
normativa costruita dalla destra. Vanno affidate alla responsabilità di chi crea
conoscenza, agli scienziati che ne rispondono direttamente alla società e alle
comunità scientifiche internazionali.
Abbiamo un programma
minimo: Università ed Enti di ricerca diventino le migliori Istituzioni del
paese. Autorevoli, solide e autonome come la Banca d'Italia.
RIFORMA
è un'altra parola da salvare. Quando la usa l'establishment sembra sempre una
minaccia. Negli anni passati ha significato leggi inutili che non risolvevano
nulla e aumentavano solo la burocrazia.
Non è più tempo di
riforme epocali che peggiorano la situazione. Non è più tempo degli editti
normativi che servono solo a tagliare e a vietare. Riformare significa aiutare
quelli che già fanno le riforme tutti i giorni con la buona didattica e la
ricerca di qualità. Su tali risorse si dovrà fare perno per cambiare strada. I
primi passi dei cento giorni tracceranno presto il nuovo cammino: far cadere le
burocrazie inutili della legge 240 come le foglie secche d'autunno, restituire
il mal tolto riportando i finanziamenti al livello del governo Prodi, bandire i
concorsi a cadenza regolare come il moto dei pianeti, tornare alla ricerca di
curiosità e avviare la valutazione veramente indipendente.
I governi passati hanno
sottolineato i difetti per poter mortificare e definanziare le istituzioni del
sapere. Il governo Bersani volgerà lo sguardo alle migliori esperienze per
consolidarle e aiutarle a fare rete.
La valutazione non è
una clava per spezzare il sistema della ricerca, ma è una risorsa per
migliorare la qualità dell'intero sistema.
Solo chi stima l'Università
e gli Enti è in grado di riformarli
SINISTRA
è la parola che riassume tutte le precedenti perché le considera come obiettivi
da raggiungere. Sinistra perché la conoscenza è nei suoi impegni fin da quando
i primi socialisti insegnavano a leggere e a scrivere alla povera gente.
Sinistra di governo per creare buon lavoro a partire dalla qualità delle Istituzioni
del sapere.
A noi del PD è capitato
di governare sia con Monti sia con Vendola e abbiamo ottenuto risultati diversi
nella politica della ricerca. I giovani dell'Adi pochi giorni fa hanno
presentato i dati sull'andamento del dottorato. Col governo tecnico purtroppo
sono stati confermati i tagli della Gelmini, mentre in Puglia nessun dottorando
è rimasto senza borsa.
Il Centro e la Destra
si incaponiscono a riproporre le vecchie ricette che hanno determinato la
crisi. Noi siamo l'unica novità per uscire dall'inganno del trentennio
liberista.
Loro annunciano che la
ripresa ci sarà solo abbassando ulteriormente l'asticella dei diritti sociali
del lavoro. Ma è una vecchia strada che ha prodotto solo impoverimento e
diseguaglianza. La novità consiste nell'abbandonare queste politiche per
dedicare tutte le risorse alla creazione di lavoro nella società della
conoscenza.
La Sinistra unita, la
Sinistra di governo, la Sinistra del popolo delle primarie è l'unica forza che
può avviare un nuovo miracolo dell'ingegno italiano.
Walter Tocci
Visto il poco tempo a disposizione mi è arrivato all'occhio solamente il termine Allievo - Maestro. Già averlo considerato apre distanze siderali fra te e il resto di quelli che si occupano di cultura. Mi sento di dare il mio modesto contributo come operatore culturale e come insegnante di arti marziali, possiamo dire che sintetizzo pienamente questo punto di incontro e so bene cosa significa essere allievo ed essere maestro. Per quanto mi riguarda l'analisi che faccio si scontra con la tua affermazione che in Italia non si trovano più allievi. Per me è il contrario. E' difficilissimo trovare maestri, in ogni campo. E' pieno di persone che sono state allievi e non sono andati oltre. Hanno sviluppato un egoismo unico dato dalla paura di essere sostituiti o sorpassati, oppure dalla paura di perdere quel poco potere raggiunto. Quindi negano l'innovazione, non incoraggiano gli allievi e spesso li combattono e li sotterrano. Così mi è successo in università e così mi è successo nelle arti marziali. A differenza di molti non ho rinunciato al sogno di volare nelle discipline a cui mi sono appassionato, ma per andare avanti la vita ha bisogno di scelte che spesso portano lontano da quei voli. Ho trasformato il rifiuto dei miei maestri in voglia di fare meglio, ma conosco molti che hanno rinunciato. Un inconcepibile spreco di materiale umano e intellettuale dovuto all'egoismo, alla paura e all'inettitudine di molti "maestri".
RispondiEliminagrazie Fabrizio per il riferimento alle arti marziali che mi aiuta ad approfondire la questione maestro-allievo. Quando parlavo dell'assenza di allievi mi riferivo ai giovani ricercatori che se ne vanno all'estero, ma in generale è vero quello che tu dici sulla mancanza di maestri; anzi, se ti devo dire, la sento come una colpa della mia generazione che è stata davvero ingrata, ha ricevuto molto dalla precedente e ha restituito molto poco alla seguente..
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