mercoledì 3 aprile 2013

In ricordo di Ugo Vetere


Il primo ricordo che mi assale è Ugo col braccio ingessato in visita nelle fabbriche della Tiburtina colpite dall’alluvione del 1984. Mi sembra ancora di vederlo che cammina in mezzo ai capannoni distrutti, senza paura di scivolare, con la sicurezza e l’entusiasmo di sempre, pronto a dare ai funzionari istruzioni perentorie per l’emergenza, caloroso nell’alleviare la disperazione di imprenditori e lavoratori, autorevole nel far sentire che la città intera era al loro fianco. E anch’io, giovane presidente del V municipio, mi sentivo rincuorato dalla sua presenza, non solo perché era il sindaco, ma anche perché era Ugo, il compagno generoso sempre disponibile ad aiutare gli altri, il caro maestro della nostra generazione. Ha insegnato l’arte del buongoverno a migliaia di giovani amministratori. Pochi come lui sapevano spiegare come funziona un bilancio comunale e come si deve usare l’amministrazione per rispondere ai bisogni popolari. Averlo accanto mi ha sempre dato sicurezza, anche negli ultimi tempi, quando veniva a trovarmi nella stanza di vicesindaco per portarmi i suoi consigli sui problemi della città, per segnalarmi le cose che andavano migliorate, con la delicatezza e l’affetto di un padre. Così vorrei ricordarlo, se me lo consentono i figli Chiara, Elisabetta, Guido e la compagna della sua vita, la cara Germana.


Quel riformismo per il popolo aveva saputo esprimerlo già dall’opposizione. Negli anni settanta la periferia romana ribolliva di movimenti, di associazioni e di comitati di quartiere. Quando si recavano in Campidoglio per ottenere risposte non andavano dal sindaco in carica che era incapace di darle, parlavano solo con Ugo Vetere che come capogruppo del Pci aveva sotto controllo l’amministrazione e sapeva come farla funzionare. Chi non governa dall’opposizione, non sa farlo neppure dopo aver vinto le elezioni. Questo esempio raccomando ai giovani politici di oggi.
Ha fatto il sindaco non solo in senso amministrativo. Come testimoniò nel suo ultimo atto, quando accorse alla scuola Ignazio Silone dove era stato ucciso il custode e l’intera scolaresca era minacciata da un uomo in grave squilibrio mentale. Ugo lo affrontò da solo, a mani nude, col sangue freddo del partigiano che era stato da giovane, ma con l’umanità di un sindaco del popolo e lo convinse a farsi abbracciare lasciando la pistola. Gli valse la medaglia d’argento al valor civile ma non la vittoria alle elezioni di qualche mese dopo. Oggi, nel tempo della politica mediatica un evento simile farebbe la fortuna di qualsiasi sindaco, ma per Ugo quello era solo un dovere morale e un compito del primo cittadino e finiva lì.
Aveva preso il testimone della guida della giunta di sinistra da due predecessori eccezionali, l'autorevole Giulio Carlo Argan e l'indimenticabile Luigi Petroselli. E portò avanti i loro progetti con grande efficacia attuativa: la metro B a Rebibbia e la seconda università di Tor Vergata, ma sopratutto una messe di infrastrutture e di servizi nella periferia - acqua, luce e fogne nei quartieri ancora sprovvisti - e poi scuole, asili, consultori e centri anziani. Sempre al fianco delle persone più bisognose, insieme al suo grande amico don Luigi Di Liegro.  

La sua giunta ha realizzato la più grande redistribuzione di risorse a favore dei ceti popolari in tutta la storia della città. Eppure non ottenne i consensi che avrebbe meritato. Era cambiato il vento. Quella politica di Welfare urbano prolungava il trentennio glorioso dentro gli anni ottanta già segnati dalla controffensiva conservatrice  del liberismo. Le divisioni della sinistra fecero il resto e tutto ciò portò alla sconfitta elettorale del 1985. 
Negli anni successivi sulle amministrazioni di sinistra la nostra generazione avviò una severa autocritica. Eravamo alla ricerca delle nuove idee che successivamente aprirono la strada al buongoverno di Rutelli e Veltroni. Forse l'irruenza giovanile ci portò a qualche eccesso, ma non venne mai meno la stima e l'affetto per Ugo  e lui non rinunciò ad ascoltarci e a difendere le sue ragioni. Non avremmo mai usato la volgare parola rottamazione. Eppure allora il confronto generazionale era vivace e proficuo.
Maestro-allievo è forse una delle più misteriose tra le relazioni umane. Tiene insieme la fedeltà per l'insegnamento ricevuto e il tradimento alla ricerca di nuove strade. Anche per questo avere un maestro è un privilegio che non si dimentica. Te ne siamo grati, caro Ugo.  

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