Signor Presidente, colleghi senatori, sono possibili tre piani di lettura del decreto per Roma Capitale: quello tecnico, quello dei cittadini e quello storico.
In
ordine al primo, il Governo ha presentato delle argomentazioni ragionevoli a
sostegno di alcune modifiche apportate al testo già approvato dalla Commissione
Bicamerale. Quindi, a nome del PD, dichiaro il voto favorevole alla ratifica
della proposta governativa. Siamo disponibili a votare su una breve risoluzione
unitaria e a tal fine ritiriamo il nostro testo, nel quale il giudizio favorevole
era accompagnato da alcuni commenti che comunque svilupperò nel mio breve
discorso. Rimane solo il dubbio, signor Ministro: perché il Governo tecnico non
ha avuto la perizia tecnica di sottoporre a suo tempo alla Commissione Bicamerale
le sue osservazioni? Ci saremmo risparmiati questo passaggio parlamentare.
Per
quanto riguarda il secondo aspetto, ho sentito la Lega scatenarsi contro il
provvedimento. Forse hanno dimenticato che queste norme sono figlie
dell'accordo del 2008 tra Alemanno, Polverini e Bossi. A Roma è conosciuto come
«l'accordo della pajata» (Applausi
dal Gruppo PD) perché suggellato da un ridicolo evento gastronomico davanti
a Palazzo Montecitorio. L’accordo conteneva la scelta, a mio avviso sciagurata,
di cancellare gli investimenti che venivano dalla vecchia legge 396-1990 per
spostare tutte risorse solo sulla spesa corrente, con i risultati che sono
sotto gli occhi di tutti. Dopo cinque anni, infatti, l'effetto di tutto questo
apparato normativo è stato soltanto il cambiamento della carta intestata del
Comune; sulle automobili dei vigili urbani non c'è più scritto «Comune di Roma»
ma «Roma Capitale». I cittadini non hanno visto altro miglioramento che questo. (Applausi dai Gruppi PD e SCpI).
Infine,
per quanto riguarda l'aspetto storico, in queste aule di Roma Capitale si è
discusso con ben altro cimento nei diversi momenti della vita nazionale. Sono
andato a rileggermi il dibattito che portò nel 1990 all'approvazione della
legge n. 396, per merito - lo dico al senatore Calderoli - di un grande
lombardo che amava Roma: Antonio Cederna. Quella legge parlava dell'area
archeologica centrale, dei Fori, della Regina
viarum, dei musei, della cultura, dei grandi fiumi, del Tevere, delle reti
di trasporto, del ruolo internazionale di Roma. Quella legge indicava grandi
idee per la capitale. Il testo all’esame oggi, invece, non contiene né scelte,
né principi, né valori, ma solo procedure, norme e burocrazie.
Signor
Ministro, lei è uno studioso di diritto e sa che il linguaggio di una legge è
anche una misura della sua efficacia. Quando si tratta, quindi, di questioni
altamente simboliche - e la capitale lo è certamente - il linguaggio
legislativo dovrebbe avere quella chiarezza, quella lungimiranza, quella
ieraticità che si confanno all'argomento. Questo - mi consenta - sembra invece
un regolamento di condominio, pieno di commi, di rinvii, di incisi, di dettagli
amministrativi. Non gliene faccio una colpa, ma segnalo un'inadeguatezza che in
futuro dovremo superare.
Se
confronto l’approdo di oggi con la produzione legislativa precedente mi torna
in mente il fulminante giudizio che Giacomo Puccini diede a un giovane compositore
che gli sottopose il suo spartito: «Ciò che è bello non è nuovo e ciò che è
nuovo non è bello».
Detto
questo, però, come parlamentari abbiamo il dovere di discutere nel merito anche
questi provvedimenti. Sicuramente è migliorata la norma sui poteri di ordinanza
in capo al sindaco per l'emergenza traffico: vengono attenuati e posti sotto il
controllo di un documento di indirizzo del Governo e - a me sembra necessario,
almeno lo auspico - anche dell’Assemblea capitolina. Però, Signor Ministro (anche
qui mi rivolgo soprattutto allo studioso di diritto), è surreale che il Governo
di un grande Paese debba perdere tempo ad occuparsi degli indirizzi della
politica del traffico di una sola città. Se quei poteri abbisognano di una
compensazione tanto forte significa che sono proprio sbagliate le norme del Sindaco
commissario per il traffico. D'altronde Veltroni le ha usate bene, ma negli
ultimi anni sono state applicate soprattutto per derogare alle gare d'appalto e
alle conferenze dei servizi. Oltre tutto, dopo gli eccessi di Bertolaso, si era
convenuto che i poteri commissariali dovessero riguardare soltanto le calamità naturali,
e il traffico non lo è. Per esperienza personale, so che quello dell'assessore
al traffico è un mestiere difficile, ma certo non mancano nel nostro Paese le
leggi per esercitarlo. Agli amministratori che chiedono sempre nuovi poteri per
avere l'alibi della loro inefficienza il buonsenso popolare romano risponderà
con l’atavica ironia: «Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala».
Infine,
sui fondi per i trasporti il decreto legislativo conferma il principio di
assegnazione diretta alla città di Roma. Ora si aggiunge un «d'intesa con la
Regione Lazio» e siamo sicuri che dalla nuova Giunta Zingaretti verrà pieno sostegno
e collaborazione alla città. Anche sul piano degli investimenti
infrastrutturali si aggiunge l'espressione «d'intesa con il Ministro
dell'economia». Questo Ministero ha mostrato negli ultimi anni un'inutile
esuberanza: per ogni provvedimento chiede la firma del decreto attuativo, ma,
come ha dimostrato ieri benissimo il collega Sangalli, poi non riesce ad esercitare
tutti i poteri che chiede. Il Ministero dell'economia è diventato un grande
collo di bottiglia nell'amministrazione dello Stato.
Infine,
avremmo preferito la prima versione del decreto legislativo, che stabiliva una
procedura automatica di trasferimento dei poteri di Roma Capitale alla nuova
Città metropolitana, ma lo ha impedito un'impuntatura dall'attuale sindaco di
Roma.
Siamo
alla vigilia di un rendiconto elettorale: saranno i cittadini a valutare
l'operato del sindaco. Ma in questa sede, per quanto ci riguarda e ci compete,
posso dire che ha pesato molto negativamente il suo atteggiamento rivendicativo
e di continua conflittualità istituzionale, fino al punto di entrare in collisione
con la Regione Lazio, che pure era amministrata da una giunta
dello stesso colore politico. Non ci nascondiamo che ci troviamo qui ad
approvare con urgenza il decreto legislativo perché contro queste norme pende
addirittura un ricorso alla Corte costituzionale da parte della Regione Lazio.
In
generale questo atteggiamento rivendicativo danneggia la nostra città. Anche
quando dovesse ottenere risultati positivi, nella misura in cui sottovaluta l’interesse
nazionale e rinuncia al consenso delle altre città, fa male a Roma perché
intacca il suo prestigio e la sua autorevolezza di capitale. Governare Roma non
è una rivendicazione municipale, è una responsabilità nazionale.(Applausi
dal Gruppo PD). Quando si fa qualcosa a Roma bisogna certo curare l’interesse
dei cittadini romani, ma sempre avendo in mente che quelle realizzazioni
debbono essere percepite dall'intera comunità nazionale come un arricchimento
di tutti, come una risorsa in più per tutto il Paese.
La legge
per Roma capitale dovrebbe occuparsi prima di tutto della sua funzione
culturale, ma in questo testo non ve n'é traccia. Eppure, oggi la sua storia -
la memoria custodita nei musei, negli archivi, nelle piazze, nelle chiese, nei
monumenti, nell’archeologia - si trova ad un passaggio d'epoca con il nuovo
mondo della cultura digitale. La tensione creativa tra antico e moderno, tra
memoria e invenzione, tra custodia e innovazione dovrebbe fare di Roma un
centro internazionale di produzione culturale e artistica, dalle scienze
umanistiche ai saperi contemporanei, non solo come studio, come fruizione, ma
anche come nuove opportunità di creazione di lavoro. Questo era il senso della
legge proposta da Antonio Cederna.
La
capitale non è soltanto il luogo in cui risiedono i Ministri, non è soltanto
una somma di norme e di procedure come quelle che stiamo qui approvando; una
vera capitale è soprattutto un centro di trasformazione della cultura, un luogo
che contribuisce all'elaborazione e al miglioramento dello spirito nazionale,
che raccoglie cioè tutte le energie del Paese e le porta ad un più alto livello
di maturazione. Così nella storia hanno funzionato Parigi o Londra. Nella
capitale ciò che è particolare diventa universale, ciò che è implicito diventa
esplicito, ciò che è ancora grezzo nelle energie vitali di un Paese viene
raffinato in un nuovo e più alto sentire della Nazione.
Consentitemi,
colleghi senatori, di concludere con una riflessione storica che riguarda tutti
noi.
Quando
Roma divenne Capitale, al governo del Paese c'era una destra di rango europeo,
la grande Destra storica postrisorgimentale. Ad occuparsi di questi argomenti
erano personalità di grandissimo livello, in primis Quintino Sella che volle chiedere
consiglio sul da farsi a Theodor Mommsen. Il grande storico di Roma antica gli
rispose: «Caro Sella, non si governa Roma senza avere una grande idea». Credo
che quell'ammonimento sia valido soprattutto per noi, per la nostra generazione,
una generazione evoluta, ricca di tecnologie e di saperi, ma che oggi non è
all'altezza, purtroppo, di quelle aspirazioni e di quelle suggestioni. Quintino
Sella parlava appunto di Roma come grande capitale della cultura, definendola,
nel suo linguaggio aulico, come luogo in cui si dispiega il “cozzo delle idee”,
cioè uno dei centri pulsanti di dibattito e di produzione della cultura
nazionale.
Siamo
nani e non siamo neppure saliti sulle spalle dei giganti, ma almeno mantenere
la memoria dei momenti migliori può servire a tutti: alla sinistra, al centro,
alla destra. Non faccio qui un discorso di parte, ma rivolgo un auspicio all’intera
assemblea. Ricordarci della memoria dei giganti può rinfocolare la speranza che
in futuro le nuove generazioni sappiano esprimere nuove classi dirigenti capaci
di costruire la capitale come risorsa per l’unità e il progresso della nazione,
che sappiano pensare il destino di Roma nell’orizzonte dell’Italia e del mondo.
Seduta
del 3 Aprile 2013 – Dichiarazione finale di voto a nome del Gruppo PD
Walter
Tocci
Buon intervento, bello il richiamo a Sella. Mi chiedo a chi, oggi, Mommsen potrebbe indirizzare il suo consiglio. E, soprattutto, chi sarebbe in grado di farsene carico, tra i nostri candidati alle primarie a Sindaco di Roma.
RispondiEliminaNon era Puccini, bensì Rossini. Fuochino...
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