Fare società con la politica è il titolo del seminario organizzato dal Centro per la Riforma dello Stato e che vedrà la partecipazione di Franco Cassano, autore del libro "Senza il vento della Storia. La sinistra nell'era del cambiamento." L'appuntamento è per Giovedì 5 Marzo alle 17 presso la fondazione Basso, in Via della Dogana Vecchia a Roma.
Nel suo libro, Franco Cassano indica la questione costitutiva della sinistra nel rapporto tra progetto politico e alleanza sociale: “La sinistra non è sinistra… se non riesce a guardare in modo lucido alle mutilazioni e alle deformazioni che il suo blocco sociale ha subito nel corso di questi decenni.”
La tipica frammentazione delle società contemporanee non rende impossibile, almeno potenzialmente, la ricomposizione per via politica. È infondato l’argomento di chi ritiene obsoleta l’idea di blocco sociale. Ma certo la sua realizzazione oggi richiede maggiore sensibilità nel comprendere le trasformazioni dei soggetti sociali, dei “nuovi ceti popolari” e del “lavoro autonomo di seconda generazione”. Non si tratta di aggiungere nuove pedine al posto di quelle vecchie sulla stessa scacchiera. Occorre molto di più, “una rete limpida e stabile di alleanze tra i diversi diritti e le diverse aree sociali ad essi legate.”
A partire da queste considerazioni contenute nel libro abbiamo chiesto a Cassano e agli altri relatori, Maria Luisa Boccia, Mario Dogliani, Pasquale Serra, di sviluppare le loro riflessioni in questo seminario del Crs.
La discussione consentirà di approfondire il tema e soprattutto di chiarire alcune questioni controverse. A mo’ di esempio se ne possono già individuare alcune.
Secondo la vulgata la sinistra parte da un nucleo corposo di lavoro dipendente e allarga i suoi riferimenti agli altri strati sociali. È diffusa la convinzione che la coalizione sociale sia venuta meno a causa di un ripiegamento a favore del lavoro garantito. Ma è difficile rintracciare nelle concrete politiche socialiste italiane ed europee degli ultimi venti anni una difesa oltranzista dei diritti del lavoro, anzi si è manifestata la tendenza opposta, dalle leggi Treu al Jobs Act, dalle riforme di Schröder a quelle di Blair e Zapatero. Forse la debolezza delle alleanze non dipende da un presunto primato dell’insediamento tradizionale, anzi non discende affatto da ragioni sociali, ma più probabilmente dalla mancanza di un progetto politico unificante. D’altro canto perfino nel trentennio glorioso il Pci non era un classico partito operaio, ma aveva costruito un profilo popolare – quasi interclassista nelle regioni rosse – sulla base di un forte discorso nazionale.
Per migliorare la nostra discussione occorre allora affinare la terminologia. Se davvero è costitutivo per la sinistra, il blocco sociale non va ridotto a una mera coalizione sociale, ma è sempre una costruzione di popolo. È una narrazione storico-politica che non esiste in natura sociale perché viene prodotta della creatività del politico. Nel ventennio questa produzione è venuta da diverse parti: prima da Berlusconi come biografia del self-made man, poi da Grillo come fustigatore della Casta e infine da Renzi come Grande Rottamatore – e tutti questi immaginari popolari hanno saputo ricomporre da un certo punto di vista la frammentazione sociale. L’unica parte che non è mai riuscita a inventare un immaginario popolare è stata quella socialdemocratica. Anzi, per ammissione dei suoi capi non è mai andata al di là di uno sterile “riformismo senza popolo”.
Ha ragione allora Cassano nel dire che non basta aggiungere o sottrarre qualche pedina nella scacchiera delle alleanze. La prova decisiva per la sinistra consiste nel “fare società con la politica”, come propose il Crs dopo la sconfitta elettorale del 2008.
Certo, la costruzione dell’immaginario scivola nell’eclettismo se non si incardina su concrete esigenze avvertite come prioritarie da parte di grandi correnti di opinione pubblica. Un progetto unificante può emergere solo se è sostenuto da un’interpretazione delle forze in atto nel cambiamento della società. Ma la sinistra “senza vento della storia” ha smarrito la capacità di comprendere il mutamento e di conseguenza rischia di “scomunicare il mondo che viene”. Questa è la tesi centrale di Cassano, e non solo sua. Anzi, è largamente condivisa nella pubblicistica corrente.
Eppure rimane un dubbio: nella concreta vicenda politica degli ultimi venti anni è prevalso il rifiuto o l’apologia del cambiamento? Si può ragionevolmente sostenere che la sinistra italiana ed europea hanno condotto una lotta di resistenza alle tendenze dominanti? La crisi del socialismo europeo e in particolare mediterraneo non viene certo dall’aver demonizzato la globalizzazione, ma forse dall’averne accettato acriticamente tutte le favole. Nella grande Crisi i socialisti sono stati avvertiti da ampie fasce di elettorato come una variante interna all’establishment. Per questo alcuni partiti sono stati spazzati via e altri hanno perso le elezioni. Le nuove formazioni politiche che superano il 30%, come Podemos e Syriza, usano un linguaggio insolito che riscopre la parola popolo.
La crisi europea è infatti di natura politica prima che economica. È la più grave frattura tra elite e popolo mai vista prima nella storia europea. Si apre una divaricazione tra logica di sistema e forma di vita, tra le dottrine macroeconomiche e il rancore che ribolle nella società, tra l’algida tecnocrazia e il vitalismo quotidiano. La “costruzione del popolo” di cui parla Cassano alla fine del libro, allora non è solo una chiave analitica intellettuale, ma diventa una stringente necessità per salvare il progetto democratico dell’unità europea. Non si può ricomporre la frattura tra elite e popolo senza mettere in discussione l’attuale assetto dei poteri politici, istituzionali ed economici. Dare potere a chi non ce l’ha, è un mestiere antico della sinistra che riemerge come forza del cambiamento.
Di questo e altri temi discuteremo nel seminario con l’autore e gli altri relatori. Seguirà un dibattito a cui siete tutti invitati a partecipare.
Caro Walter
RispondiEliminasono d'accordo con le tue considerazioni finali; trovo stucchevole continuare a discutere sul fatto se le sinistre ( e con questo intendiamo i gruppi dirigenti di partiti chiusi dentro le strutture del potere nazionale o localistico) siano state di ostacolo al cambiamento o subalterne al cambiamento credendo e spacciando spesso le favole liberiste: per me è chiaramente vera la seconda (e mi pare di capire anche per te).
Questo ci porta alla necessità di definire, con qualche dettaglio e senza tergiversare ancora in quale punto degli ultimi decenni si è incrinato il percorso di democratizzazione e di capacità politica basate sulle idee socialiste e progressiste.
Io ne vorrei individuare uno preciso e senza girarci intorno: la inaccessibilità per i soggetti sociali e culturali portatori di innovazione di idee e di pratiche sociali che sono stati tanti e numerosi dagli anni 70 in poi dei partiti politici di sinistra di allora e,in modo ostinato e caparbio nonostante le spinte sociali, nelle loro successive incarnazioni fino al capolavoro costituito dal PD.
Cioè dobbiamo parlare concretamente su come deve essere costituito un partito politico di sinistra per essere STRUTTURALMENTE, e non saltuariamente ed in modo propagandistico, uno strumento per portare dentro la politica e quindi nella competizione per l'egemonia le risorse culturali, le competenze le idee e le energie del modo dei lavori e dei cittadini democratici, progressisti, ambientalisti ecc..
Perchè di questo stiamo parlando: che nel momento del più duro attacco alle ragioni e agli interessi del mondo del lavoro e dei valori costituzionali gli strumenti costruiti da generazioni di lavoratori , intellettuali, e cittadini impegnati come i partiti di sinistra ed i sindacati si sono dimostrati del tutto inadeguati e svuotati del rapporto con la loro committenza sociale e culturale.
Su questo argomento si sono spesi fiumi di inchiostro ma il fossato ha continuato ad allargarsi per errore o per dolo.
Per affrontare finalmente questo argomento dobbiamo assumere che le risorse di idee e di volontà di mobilitazione e cambiamento ci siano nella società (del resto non è questo l'insegnamento fondamentale del marxismo: la politica nelle istituzioni non può cambiare veramente quello che nella società non sia già cambiato..?) e che occorre costruire uno strumento partito adeguato allo scopo di metterle in condizione di esercitare in modo organizzato ed efficacie il proprio ruolo.
MOBILITAZIONE COGNITIVA (E MOBILITAZIONE DEMOCRATICA), SPERIMENTALISMO DEMOCRATICO, COMPETIZIONE PER L'EGEMONIA: questi dovrebbero essere i target di in modello di partito ( che non ha niente a che fare con il PD ma che del PD si deve riprendere le energie e le idee tenute in ostaggio da un gruppo dirigente nazionale ceduto alle oligarchie economiche e da un gruppo dirigente locale appiattito sulle dinamiche del potere amministrativo) che possa superare questo ritardo storico prima che la democrazia si permanentemente mutilata dal potere attuale.