Tutte le recensioni di Roma come se si possono leggere sul sito di Donzelli.
Di seguito potete leggere la recensione di Salvatore Monni (autore insieme a Lelo e Tomassi delle Mappe della disuguaglianza), pubblicata sulla rivista Pandora. Il suo testo offre ai lettori una bellissima sintesi del libro, come neppure io sarei riuscito a scriverla.
Presidente della quinta circoscrizione (l’attuale IV Municipio, quello della zona industriale della Tiburtina, delle case popolari di San Basilio e del 5% di laureati di Tor Cervara), Consigliere comunale, Assessore, Vicesindaco, Deputato, Senatore, insomma tutto quello che non ti aspetteresti da uno che ti propone l’abolizione del Comune di Roma. Eppure, c’è anche questo in Roma come se. Alla ricerca del futuro per la capitale appena pubblicato da Walter Tocci con Donzelli Editore. 276 pagine ben scritte, che scivolano via che è un piacere e che mi sento di consigliare a chiunque abbia a cuore la città, sia esso amministratore, studioso della città o semplice cittadino. È un saggio vero quello di Walter Tocci, un libro di una ricchezza straordinaria che si batte contro la dittatura del presente e contro la nostra concentrazione troppo spesso su temi certamente importanti come i rifiuti o i trasporti, ma senza la capacità di collocare questi problemi in un’analisi più ampia sulla città e la sua trasformazione nel tempo. Il focus di Tocci prima sul passato e poi sul futuro non è un disinteresse per il presente, che è comunque spesso al centro delle sue riflessioni, quanto piuttosto il tentativo di comprenderne a fondo la complessità.
L’introduzione Il discorso pubblico su Roma pone all’attenzione del lettore la relazione tra “potere” e “discorso”, inteso quest’ultimo soprattutto come retorica nel raccontare le vicende romane. Tocci va contro lo stereotipo, la banalizzazione, lo sconforto a cui è solito il dibattito romano, per sottolineare la complessità di Roma evocando in chiave ottimistica il verso pasoliniano «non si piange su una città coloniale». Non è appunto questo il tempo di piangersi addosso, quanto piuttosto di rimboccarsi le maniche e fare qualcosa di buono per la città. Nell’introduzione merita un cenno particolare lo sguardo dedicato da Tocci all’esaurimento della rendita capitale, e in particolare la centralità statale, l’accumulazione immobiliare della campagna romana, il patrimonio simbolico dell’eredità storica. Tre rendite che hanno avuto una loro importanza nella trasformazione della città passata in soli 150 anni, pur tra tante contraddizioni, dall’essere un piccolo borgo pontificio a grande capitale europea. Ma il futuro è cosa diversa, ci ricorda Walter Tocci, e le rendite del passato sono messe in discussione dalle trasformazioni del nuovo secolo e ormai destinate all’esaurimento. Un monito, neanche troppo velato, a chi su queste rendite ancora oggi pensa di costruire il futuro di Roma.
Il resto del libro si divide in due parti: la prima tra passato e presente dove sono rivisitati gli ultimi cinquant’anni e le trasformazioni profonde per la città e per le fasce più popolari, e la seconda che dà anche il titolo al volume, Roma come se, dove Tocci prova a immaginare come sarà Roma a metà del XXI secolo. Le due parti sono solo apparentemente separate, poiché in realtà l’autore immagina il futuro partendo dal passato, ben consapevole che senza il superamento delle contraddizioni del suo passato è impossibile per Roma anche solo pensarlo un futuro.
La prima parte si divide in quattro capitoli. Il primo capitolo ha un titolo che è già di per sé un programma, L’inquieta modernità, sulle contraddizioni di una Roma città storica senza storicità, mentale senza razionalità, statale senza statualità, postmoderna senza modernità. Un capitolo che è ben riassunto dalla bella citazione di Renato Nicolini che lo chiude «che bisogno c’era di adattare Roma alla miseria di dover diventare moderna? Un insulto quando si gode della sorte di essere di più di una città moderna» (p. 53). Il secondo capitolo è dedicato alle avanguardie culturali. È davvero un bel capitolo questo che in poche pagine ricostruisce una storia sconosciuta ai più e racconta molto delle trasformazioni della città, passata in poco tempo dall’essere capitale della contestazione giovanile negli anni Settanta, alla nuova centralità della periferia negli anni Ottanta fino a uno sguardo sull’evoluzione del ruolo della Chiesa e le sue recenti trasformazioni dal convegno sui mali di Roma alla nuova spiritualità di Papa Francesco. Il terzo capitolo Si fa presto a dire popolo è dedicato alla mutazione del popolo romano dovuto principalmente alla rivoluzione dei consumi che ha cancellato le differenze antropologiche che caratterizzavano il dopoguerra fino a tutti gli anni Settanta. Niente più popolo comunista o democristiano, il popolo si somiglia ormai un po’ tutto e la sua trasformazione è ben sintetizzata dal “salotto” della De Filippi. Il quarto e ultimo capitolo della prima parte, Il riconoscimento di Roma, è dedicato alla sua lingua, il romanesco. Tocci osserva la mutazione del linguaggio sempre più contaminato con i dialetti soprattutto centro meridionali dei nuovi romani che ne fanno una lingua meticcia. Con la scusa della trasformazione della lingua, Tocci in questo capitolo racconta la trasformazione delle borgate romane e lo fa anche con aneddoti ripresi dalla sua lunga esperienza nelle sezioni di periferia come funzionario del PCI.
Sono quattro i capitoli anche della seconda parte dedicati alla Roma del futuro, quasi a sottolineare la stessa importanza che ha e che deve avere per la città il culto del passato come quello del futuro. Il quinto capitolo è dedicato alla Città Mondo e alla doppia sfida che ne consegue: da un lato la capacità di accogliere i migranti che arrivano da altri “mondi” e dall’altro la capacità di rigenerarsi attraverso queste nuove energie per affrontare le profonde trasformazioni in corso. Un richiamo forte in questo capitolo è al ruolo euro-mediterraneo della città e all’importanza che il nostro mare avrà nel futuro di Roma e del Paese. Forse questo è il capitolo più geopolitico, per la capacità di guardare anche a come altri attori (la Cina prima tra tutti) entrano in gioco in campi che abbiamo sempre considerato esclusiva nostra. Lo sguardo alle trasformazioni non impedisce a Tocci una certa autocritica come quando osserva che «non sono i migranti a toglierci i servizi pubblici, ce li siamo tolti da soli seguendo politiche fallimentari in parte anche di sinistra» (p. 141). Il sesto capitolo è dedicato alla Città Regione, e qui Tocci sviluppa ulteriormente una riflessione che è già presente in alcuni suoi lavori precedenti, in particolar modo sottolineando come il nome Roma venga ancora oggi utilizzato per «una conurbazione che ha profondamente modificato una geografia secolare». Sono tantissimi i consigli per i futuri amministratori di Roma, che speriamo sappiano farne tesoro: dal recupero del sogno di Cederna per il centro storico, ai progetti che riguardano il Tevere, al recupero del litorale fino alla cura del ferro, suo storico obiettivo ai tempi della giunta Rutelli. Il settimo capitolo L’intelligenza sociale è dedicato alle grandi opportunità che arrivano dalle trasformazioni della città, per esempio dalla fine della centralità dell’automobile nella vita dei romani, fino alla riconversione ecologica delle case comunali e dell’ATER. Forse questo è il capitolo più visionario del libro, quello dove Tocci cerca di intercettare e leggere i cambiamenti in corso. Infine, nell’ottavo capitolo Il Governo sottolinea la forte necessità di un cambio di governance della città fino ad arrivare addirittura a proporre l’abolizione del Comune di Roma. Sia chiaro, osserva l’autore, che il mal governo della città, il collasso a cui è arrivata non è un problema di soldi e non è un problema di mancanza di poteri. Lo ripete spesso del resto Tocci che i grandi sindaci della capitale mai si sono lamentati di queste “piccole” cose, perché quello che è permesso al sindaco di una qualsiasi città italiana non è permesso al Sindaco di Roma. Il punto è piuttosto l’inadeguatezza del municipalismo romano sia a promuovere la proiezione internazionale della città sia a «governare la grande corona» (p. 225). In questo capitolo Tocci si addentra nei dettagli istituzionali con la maestria dell’amministratore pubblico che per buona parte della sua vita ha vissuto dentro questi meccanismi.
È un libro generoso quello di Walter Tocci, è un libro dove è possibile toccare con mano in tutte le 276 pagine il suo profondo amore per una città che lo ha visto rivestire negli anni diversi ruoli. Emerge con forza nella lettura del libro sia il funzionario politico che lo studioso della città, un passaggio quest’ultimo attraverso il quale l’autore consegna alla nuova generazione una testimonianza importante e soprattutto una raccomandazione su come procedere per il futuro, per il quale se «non si immaginano le cose grandi poi viene meno anche la tensione per realizzare le cose piccole» (p. 42)
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