martedì 23 febbraio 2021

Politica e Scienza in ricordo di Pietro Greco

Radio3 Scienza mi ha chiesto di ricordare Pietro Greco nell'ambito di un ciclo di cinque lezioni dedicate alla sua memoria. 

Di seguito potete leggere il testo del mio intervento oppure ascoltare il podcast.


Buongiorno, sono Walter Tocci. Questa è una delle cinque Lezioni per Pietro che Radio3Scienza ha voluto dedicare al collega e giornalista Pietro Greco, una delle voci di questo programma, prematuramente venuta a mancare il 18 dicembre 2020. Ogni lezione ruota attorno ad un tema tra quelli che a Pietro stavano più a cuore, come quello di oggi, dedicato al rapporto tra politica e scienza.

Ho conosciuto Pietro Greco dagli scranni del Parlamento. Mi occupavo di politica dell’università e della ricerca e ho avuto il privilegio di poter contare sul suo contributo. Mi offriva proposte concrete, che subito facevo mie e riportavo nel dibattito parlamentare. Di solito venivano respinte, ma non ci perdevamo d’animo, né io né lui, e riprendevamo l’iniziativa insieme al movimento di ricercatori che in quei primi anni duemila si batteva contro gli scriteriati tagli ai fondi per la ricerca e la mortificazione di quella ricerca curiosity driven, di cui Pietro ha sottolineato sempre l’importanza. E discutevamo dei suoi scritti sul passato e sul futuro della scienza; nessuno di quei colloqui mi è rimasto indifferente, ogni volta ho imparato qualcosa di nuovo.

D'altronde, per Pietro l’elaborazione culturale era anche un contributo all’azione politica. Fin da ragazzo, come raccontano i suoi coetanei, quando si mise alla testa di una singolare mobilitazione studentesca che chiedeva di studiare di più e meglio. Poi nella vita non si è più messo alla testa, ma ha sempre contribuito alla buona politica per la scienza.

Non è stato solo un ottimo giornalista, non solo un raffinato storico della scienza, è stato anche un intellettuale impegnato. Con la sua passione civile e la capacità di comunicare la scienza in modo semplice e rigoroso, ha cercato di influire sulle decisioni politiche attraverso la strada più lunga e più dritta: accrescere la consapevolezza dei cittadini sul valore della conoscenza.

Questa strada apre una prospettiva nuova: se in passato la crescita della democrazia ha istituito i diritti civili, poi quelli politici e infine quelli sociali, oggi deve espandere anche i diritti della cittadinanza scientifica. Il contributo più originale di Greco, un vero assillo teorico della sua ricerca e una motivazione di impegno politico, è stato proprio l’approfondimento del concetto di cittadinanza scientifica. La intendeva come il diritto all’accesso alla conoscenza, come il superamento delle disuguaglianze cognitive, come il beneficio sociale della scienza nel senso originario di Bacone, come la responsabilità della cura della Terra e dei viventi, come la libertà degli scienziati dai condizionamenti politici ed economici, che è anche una garanzia per la democrazia e il benessere dei cittadini.

Quel concetto poteva sembrare astruso, non è stato adeguatamente compreso, ma ha ricevuto una conferma dalla vicenda drammatica del Covid. Da circa un anno nella vita quotidiana di miliardi di persone hanno fatto irruzione i problemi della scienza, dai quali dipendono le possibilità di salvare vite umane, scaturiscono le ansie e le speranze delle persone, discendono le sorti dei governi, le economie dei territori e le relazioni internazionali tra gli stati. All’improvviso abbiamo scoperto quanto sia importante la comunicazione corretta dei risultati della ricerca, l’autorevolezza e la trasparenza delle decisioni scientifiche, l’accesso dei ceti popolari ai frutti della conoscenza, dalle cure preventive alla didattica a distanza.

La cittadinanza scientifica è l’antidoto contro il crescente squilibrio tra Potenza a Saggezza. Potenza come capacità, prima di tutto scientifica e tecnologica, di trasformare il mondo. Saggezza intesa come capacità di regolare gli esiti e cogliere i frutti di tale trasformazione. Uno squilibrio sempre presente in tutte le epoche, ma accentuato dai grandi dilemmi contemporanei, tra sviluppo economico e sostenibilità del pianeta, tra le tecnologie della vita e la responsabilità dell'umano, tra il mondo aperto della ricerca e gli angusti interessi economici e nazionali.

Innalzare la qualità della relazione tra politica e scienza è un compito decisivo per il futuro. Ma si può imparare molto dal passato. Per Pietro Greco il terreno comune tra scienza e politica è svelato dall’analisi storica, che consente non solo di spiegare le decisioni degli Stati ma anche i concetti scientifici, i quali diventano più comprensibili quando sono descritti dalla loro genealogia di falsificazioni e scoperte.

Da tutto ciò è maturato quello che a mio avviso è il suo capolavoro, La Scienza e l’Europa, un’opera monumentale in cinque volumi che ricostruisce la storia del continente con un formidabile approccio multidisciplinare. Uno studio ambizioso, complesso, rigoroso eppure esposto con lo stile di un avvincente romanzo storico. È un testo che dovrebbe essere presente in tutte le scuole, nelle biblioteche civiche, nei luoghi della cittadinanza attiva.

La storia della scienza mostra più chiaramente il Mediterraneo come l'origine della civiltà europea. A tal fine Pietro Greco riprende gli studi di Lucio Russo sulla “rivoluzione dimenticata”, cioè lo straordinario fiorire della scienza in epoca ellenistica, che produce mirabili risultati, come la misura, con errore solo del 3%, della circonferenza della terra da parte del grande Eratostene. Poi quel patrimonio di conoscenze confluisce nella preziosa traduzione e nella rielaborazione motivata dal sincretismo degli Arabi, e sottolineo la parola sincretismo contro il presunto fondamentalismo di oggi. Infine, la riscoperta della scienza antica in Italia per merito del figlio di un mercante pisano, Leonardo Fibonacci, detto anche Bigollo, cioè giramondo, epiteto quanto mai significativo. La scienza, ci spiega Pietro, si sviluppa nelle penisola in modo peculiare, profondamente connessa alla letteratura con Dante e alle arti visive con Giotto, Piero della Francesca, Brunelleschi, confluendo in quella visione integrale dell'uomo che fu il Rinascimento italiano. All'apice di questa storia Galilei, figlio dell'Umanesimo, consegna il testimone della scienza moderna dall'Italia all'Europa.

Quel primato scientifico è stato uno dei vettori dell’espansione della cultura europea nel mondo. Ha portato molti benefici all'umanità intera, ma diciamoci la verità, non è stato usato sempre bene, è servito anche a diffondere le guerre, le schiavitù e i colonialismi.

Tra Ottocento e Novecento, all'apice della potenza scientifica europea, con la seconda rivoluzione industriale e la prima globalizzazione, ci fu la crisi da successo. Come dice Pietro: "L'Europa non riuscì a governare i frutti del suo rapporto privilegiato con la scienza" (vol. 4, p. XI). Da quella vetta cominciò il grande squilibrio tra Potenza e Saggezza, che poi sfociò nelle dittature e nelle guerre. E poi il testimone dello sviluppo scientifico, anche a causa delle forzate emigrazioni intellettuali, passò all’altra sponda dell’Atlantico.

Alla fine del secondo millennio le classi dirigenti europee rilanciarono l’ambizione del vecchio continente a diventare protagonista della crescita delle conoscenze. E con il piano Delors presero l’impegno di raggiungere entro il 2010 la quota di investimento in ricerca al 3% del Pil. Non solo l'obiettivo è stato largamente mancato, in particolare nel nostro paese, ma a quella data si è verificato il sorpasso da parte della Cina e l'Europa ha perso il primato che aveva conquistato quattro secoli prima con la rivoluzione galileiana.

Questa rinuncia alla leadership scientifica indebolisce lo sguardo verso il futuro. Ciò spiega il declino europeo meglio di altre analisi, pur fondate ma incomplete, di tipo economico, istituzionale e geopolitico.

E forse spiega qualcosa di più profondo, un certo ripiegamento dello spirito europeo, che si chiude in se stesso, gira le spalle al futuro e respinge in mare i migranti. Questi fuggono dalla guerra e dalla fame, attraversano sofferenze indicibili, e quando approdano, se approdano, nei loro volti si vede la fiducia nell'avvenire, proprio quella fiducia che sembra indebolita nel continente.

Quando si perde la tensione verso l'avvenire viene a mancare anche il rapporto con il passato. L'Europa oggi vede il Mediterraneo come il suo confine e non la sua origine. Eppure Mare Nostrum non è un limes, è l’arché della civiltà europea, come spiega lo studio storico di Greco.

Il crescente squilibrio tra Potenza e Saggezza rende attuale la riflessione sul ruolo che la civiltà italiana ha svolto nella storia della scienza europea, non solo per la connessione tra Mediterraneo e continente, ma soprattutto per la visione integrale e umana della conoscenza. La Saggezza come misura della Potenza trova una rappresentazione mirabile nel verso dantesco, tanto amato da Pietro, del raccogliere le briciole del "pane degli Angeli".

E forse proprio la tragedia del Covid può essere la molla che inverte la dinamica del declino. I segnali positivi non mancano, in primis la svolta della politica europea che torna a progettare il futuro con il programma Next Generation Eu. E le incredibili risorse che quel piano mette a disposizione della rinascita italiana. Nel suo ultimo articolo Greco ha colto l’occasione per proporre di spendere 50 miliardi su tre obiettivi. Primo, il potenziamento dell’università per portare la quota dei giovani laureati dall’attuale 25% al livello europeo del 40%. Secondo, aprire le porte dei laboratori a centomila giovani ricercatori portando gradualmente l’investimento in ricerca alla media europea del 2%. Terzo, finanziare per cinque anni centomila giovani imprenditori nelle alte tecnologie, nella riconversione ecologica e nella cura dei beni sociali. Se anche uno su dieci avrà successo, avremo cambiato il paesaggio produttivo italiano e creato nuovi lavori di qualità.

L’ultimo articolo dovrebbe illuminare le menti di quelli che discutono in queste ore il programma del prossimo governo. È ancora utile l’opera di Pietro, egli cammina accanto a quelli che hanno a cuore la cittadinanza scientifica.

Quell’infausta mattina, dopo aver saputo della improvvisa sua scomparsa, ha suonato il postino per consegnarmi l’ultimo libro che aveva appena pubblicato: si intitola Quanti, è un affascinante racconto della rivoluzione quantistica. Me lo aveva spedito perché facessi una presentazione. Ho pensato fosse un saluto di Pietro dal cielo. Mi è sembrato di vederlo lassù, con un sorriso sornione, che mi diceva, ne parleremo insieme. Anche io, anche noi, restiamo in colloquio con lui, con i suoi studi e le sue proposte. E soprattutto con i sogni che ha lasciato a noi da realizzare.

1 commento:

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