lunedì 13 settembre 2021

La riforma istituzionale per Roma

Sono stato consultato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati sulla riforma istituzionale della Capitale. Di seguito potete leggere il testo dell'audizione che si è svolta il 13 maggio del 2021.


Onorevoli deputati,

è una buona notizia l’avvio della discussione parlamentare sulle istituzioni di Roma Capitale. Affinché sia proficuo il confronto tra le parti politiche è necessario, a mio avviso, il rischiaramento del discorso pubblico sulla riforma della capitale.

Nel corso di un trentennio si sono affastellate argomentazioni eterogenee, alcune fondate e altre meno. Spesso sono state avanzate soluzioni senza chiarire i problemi. Si sono contrapposte questioni di breve periodo e di lunga durata. E non si è mai trovata una sintesi tra la funzione nazionale e la forma territoriale1.

Se si eliminano i problemi inesistenti e i radicati fraintendimenti il confronto politico diventerà più trasparente per l’opinione pubblica e nel contempo si potrà concentrare intorno alle opzioni realmente differenti, al fine di trovare le necessarie mediazioni.

In tal senso propongo alcune riduzioni di complessità del dibattito.

La riforma istituzionale deve occuparsi del futuro della capitale, non della gestione ordinaria, alla quale devono adempiere le amministrazioni locali con i poteri e finanziamenti disponibili, come accade per le altre città italiane.

La soluzione migliore consiste nell’istituzione per via costituzionale della Regione Capitale, ma deve essere inserita in una riforma complessiva del sistema regionale italiano.

Nel frattempo si possono attuare e migliorare le leggi vigenti per connettere la funzione della capitale alla riforma dell’assetto metropolitano di Roma.

1. La retorica dei poteri speciali

Non mancano gli strumenti per la gestione ordinaria della città. Le disfunzioni che sono sotto gli occhi di tutti derivano in gran parte da problemi di efficienza e di efficacia nell’uso delle risorse disponibili. Chi non è in grado di risolverli spesso si giustifica invocando i “poteri speciali”, una retorica tanto efficace sul piano comunicativo quanto vuota di contenuti. Non si è mai capito di quali competenze aggiuntive avrebbe bisogno il Comune. Quando c’è stata l’occasione per definirle in sede legislativa, infatti, si è svelata l’inconsistenza della questione.

Nei primi anni Duemila furono attribuiti al Sindaco funzioni speciali per la gestione del traffico nell’ambito della legislazione sulla Protezione Civile. Dopo gli annunci in pompa magna si è persa la memoria di quelle norme, rivelatesi del tutto inutili rispetto alle funzioni già disponibili nell’amministrazione capitolina.

Più organicamente la legge così detta del “federalismo fiscale”, la n. 42 del 2009, ha indicato nell’articolo 24 una serie di competenze aggiuntive in materie molto ampie come i beni culturali, lo sviluppo economico, i trasporti, l’urbanistica ecc., rinviando la precisa definizione ai decreti legislativi, che furono poi effettivamente approvati (156/2010 e 61/2012). A distanza di un decennio anche quelle norme sono cadute nel dimenticatoio e l’unico effetto pratico è stato il cambio del nome Comune di Roma in Roma Capitale, che ha suscitato soltanto un lavorio di stampa della nuova carta intestata e di verniciatura delle fiancate delle automobili della Polizia Municipale.

Oltre l’inutilità si è rivelata però anche l’incongruenza di quell’approccio legislativo. L’applicazione dell’articolo 24 avrebbe potuto accrescere le competenze del Comune solo togliendole alla Regione e allo Stato. Al di là della praticabilità politica, non appare un’operazione corretta e utile sul piano istituzionale.

Nelle competenze sottratte la Regione dovrebbe scrivere leggi e delibere differenziate tra il capoluogo e il resto del territorio. Ritrovarsi un’istituzione regionale storpia e indebolita, però, sarebbe un danno anche per Roma. Al contrario, le città europee che hanno compiuto i “balzi della rana” nelle traiettorie di sviluppo sono state sostenute da forti e ben strutturate aree regionali, come Barcellona con la Catalogna e Monaco con la Baviera.

Inoltre, l’eventuale sottrazione di competenze allo Stato potrebbe intaccare delicate garanzie di interesse generale, come lo sviluppo della concorrenza, la tutela dei beni culturali, la trasparenza nei procedimenti ecc.

Da tutto ciò deriva che la retorica dei “poteri speciali” è inutile e in parte dannosa.

La funzione di capitale non è riconducibile a competenze esclusive e autoreferenziali, ma si alimenta con le buone relazioni tra lo Stato e la città. Queste possono essere sostenute da strumenti di coordinamento già presenti nella legislazione ordinaria – protocolli di intesa, patti territoriali, accordi di programma – e altri eventualmente determinati in base al comma 6 dell’articolo 24, il quale esplicitamente richiama l’esigenza di adeguati “raccordi istituzionali” tra la capitale e lo Stato.

L’approccio collaborativo è molto più vantaggioso dei fantomatici poteri speciali, poiché non è limitato ad alcune competenze settoriali ma è in grado di mobilitare tutte le funzioni dello Stato nello sviluppo di politiche urbane condivise con le amministrazioni locali, per esempio: la promozione internazionale, i beni culturali, i trasporti ferroviari, la sicurezza urbana, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, la scienza e la tecnologia, l’apertura delle scuole giorno e sera, ecc.

L’approccio collaborativo non può essere sancito dalle norme, ma deve essere curato dalle classi politiche nazionali e locali. Ciò comporta innanzitutto l’abbandono dell’atteggiamento rivendicativo molto diffuso nella politica romana dell’ultimo decennio. Anzi, bisogna ricordare anche ai candidati per le prossime elezioni che governare Roma non può mai diventare una rivendicazione municipale, ma è sempre una responsabilità nazionale e internazionale.

Qualsiasi richiesta il Comune avanzi allo Stato deve dimostrarsi valida anche nell’interesse del Paese. Allo stesso modo la politica nazionale deve capire che Roma è una risorsa preziosa per la proiezione dell’Italia nel mondo.


2. La Regione Capitale

L’obiettivo della riforma riguarda la valorizzazione della funzione di capitale e la sua collocazione nell’ordinamento delle istituzioni locali italiane. La migliore soluzione consiste nell’istituzione della Regione della Capitale, con lo stesso assetto delle altre regioni, senza ricorrere a uno status speciale. Sarebbe il presupposto per ricostruire la responsabilità verso se stessa e verso il Paese.

È la riforma necessaria per costruire il futuro di Roma, dopo l’esaurimento del vecchio modello otto-novecentesco di capitale. Questo è stato sostenuto da tre grandi rendite che però non avranno più la stessa forza nel secolo che viene: il centralismo statale è insidiato dall’alto, dal basso e di lato, dall’integrazione europea, dal protagonismo regionale e dalle liberalizzazioni dei monopoli pubblici; lo sviluppo della rendita immobiliare nella Campagna romana è divenuto insostenibile sia per l’ambiente sia per gli alti costi dei servizi a rete; la retorica del passato non basta più per il riconoscimento di Roma nell’epoca della globalizzazione.

Di tutto ciò oggi si avvertono gli effetti negativi che affaticano la vita cittadina e impoveriscono il tessuto produttivo. Come accade sempre a conclusione di un ciclo storico, si aprono domande tanto difficili quanto appassionanti: di quale economia vivrà Roma? Quale nuova forma urbana si darà? Come riuscirà a rielaborare la sua storia nella cultura contemporanea?

Le nuove sfide impongono un ampliamento di orizzonti della capitale. Non regge più il vecchio binomio Nazione-Città, bisogna costruire il futuro nella coppia Mondo-Regione. La sempre latente vocazione cosmopolita deve essere sviluppata mediante nuove relazioni internazionali nella cultura, nell’economia, nella cooperazione euromediterranea. La riconversione ecologica della Campagna romana deve essere mirata alla realizzazione di una struttura regionale di alta qualità produttiva, infrastrutturale e ambientale.

Per realizzare le nuove missioni della Città Mondo e della Città Regione occorrono i poteri regionali, in particolare la competenza legislativa, le funzioni di promozione internazionale e di pianificazione di area vasta.

La Regione Capitale consentirebbe anche una semplificazione dell’assetto istituzionale assorbendo le funzioni della Città Metropolitana. I confini della nuova regione sarebbero presumibilmente più piccoli di quelli attuali e più grandi di quelli della Città Metropolitana, corrispondenti quindi a quelli della Functional Urban Area definita dallo studio Ocse-Eurostat sulla base dei processi territoriali in atto.2

La definizione dei confini, però, non può essere solo frutto di analisi tecniche e di criteri pianificatori. Alla base di una solida istituzione ci sono sempre ragioni di appartenenza motivate dalle relazioni sociali e dal sentire collettivo, le quali possono essere riconosciute solo dalla partecipazione dei cittadini alla riforma. Tutte le popolazioni del Lazio dovranno essere chiamate tramite referendum comunali, dopo un’adeguata informazione e un débat public3, a scegliere se aderire alla Regione Capitale oppure se passare alle regioni confinanti.

A compimento della riforma, la nuova istituzione potrebbe chiamarsi Regione Roma, che è sicuramente il nome più suggestivo rispetto al debole nome Lazio4. Anche per il piccolo comune della provincia far parte dell’istituzione intitolata alla città eterna sarebbe un vantaggio di visibilità internazionale. E non si perde nulla se l’immaginario di Roma viene rappresentato da un’istituzione di area vasta. Nessuno direbbe che Londra non è rappresentata dalla Greater London e dal suo sindaco.

Nel resto del territorio laziale, però, non è accettabile la formazione di una regione a ciambella, come pure è stato proposto nel dibattito5. Sarebbe una soluzione ridicola e aumenterebbe il numero delle regioni, che invece andrebbe ridotto. Bisogna porre un freno alla tendenza municipalistica della classe politica romana che rivendica i poteri regionali senza farsi carico dei problemi di assetto del resto della Regione e soprattutto alla scala nazionale. Non si può realizzare la Regione Capitale prescindendo da un ripensamento del modello italiano di regionalismo.

D’altro canto, tale ripensamento si rende necessario proprio perché è ormai matura la consapevolezza del fallimento di tutti i modelli di regionalismo degli ultimi venti anni: le incongruenze della riforma del Titolo V nel 2001, le promesse mancate del federalismo fiscale, il neocentralismo della revisione costituzionale bocciata dal referendum, il regime differenziato che aggraverebbe le divergenze del sistema di governo, già evidenziate nelle difficoltà di coordinamento delle politiche contro la pandemia.

Rimane aperta la soluzione mai perseguita in passato e l’unica possibile in un Paese segnato da storici squilibri territoriali, quella cioè di un regionalismo cooperativo con lo Stato. Per sedersi intorno al tavolo e collaborare alla definizione delle politiche nazionali può essere di aiuto la riduzione del numero delle regioni. Sarebbe l’occasione per superare l’incredibile dispersione attuale di non poche regioni di piccole dimensioni, paragonabili a quelle dei municipi romani.

Nel nuovo assetto di macroregioni, come sono state proposte nel dibattito scientifico e nei disegni di legge, si avrebbe la possibilità di istituire una Regione più piccola, ma motivata dalla funzione della Capitale.


3. La Città Metropolitana e i Comuni urbani.

La revisione costituzionale richiede tempi lunghi e implica non semplici incognite politiche. Nel frattempo, però, si può approvare per legge ordinaria una riforma non solo compatibile ma propedeutica alla successiva istituzione della Regione Capitale. Francamente non riesco a capire perché si debbano contrapporre i due momenti che invece possono essere pianificati in una visione organica e in un processo graduale di attuazione.

La legge ordinaria non dovrebbe ricominciare daccapo, ma limitarsi a portare a compimento i propositi già formulati nella legislazione vigente. Dopo la dichiarazione costituzionale della capitale contenuta nel Titolo V il Parlamento ha approvato due soluzioni normative – il già richiamato articolo 24 della legge 42/2009 e le disposizioni della legge Delrio 56/2014 – che muovono da approcci molto diversi, ma a ben vedere possono convergere in un esito comune. In un certo senso le norme vigenti disegnano alcuni punti fermi su un foglio bianco. Se li colleghiamo con un tratto di penna viene fuori la figura di un ottimo assetto istituzionale. Vediamo come si può procedere.

Ripeto, non mi convince la logica dei poteri speciali che ispira l’articolo 24. Tuttavia è una norma vigente e sarei ben contento di essere smentito se in futuro si potessero definire competenze aggiuntive conformi alle materie indicate. Comunque, lo stesso articolo, come si è visto, apre anche la possibilità di un approccio diverso: il comma 6, infatti, indica la via molto più concreta della concertazione delle politiche pubbliche tra Stato e città.

Per lo sviluppo della mia proposta, però, è ancora più importante il comma 9, incredibilmente sempre trascurato, che recita: “..dall'istituzione della città metropolitana di Roma capitale, le disposizioni di cui al presente articolo si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale”.6 Alla lettera ciò significa che oggi la funzione di capitale è già collocata nella Città Metropolitana istituita il 1 gennaio 2015. Ad essa, non più al Comune, dovrebbero essere attribuiti i finanziamenti stanziati per la capitale. Inoltre, al sindaco metropolitano e non più a quello cittadino – ruoli diversi pur assegnati oggi alla stessa persona – spetterebbe il compito di interloquire con il Governo e il Parlamento, di coordinare le politiche pubbliche, e perfino di partecipare agli eventi del cerimoniale di Stato.

Il comma 9 assicura la piena convergenza dell’articolo 24 della legge 42/2009 con le norme della legge 56/2014. È il ponte che collega le diverse sponde della legislazione vigente e consente un nuovo cammino della riforma.

La legge Delrio è stata già stata attuata in parte e dovrebbe essere completata, almeno prima di approvarne un’altra.7 Lo Statuto della Città Metropolitana ha scelto a favore dell’elezione diretta degli organi, il Sindaco e il Consiglio metropolitano. È una decisione tanto rilevante da orientare tutti gli adempimenti successivi delle diverse istituzioni.

In primo luogo, mi permetto ricordare agli onorevoli deputati la necessità che il Parlamento approvi la legge elettorale per le Città Metropolitane, non solo per Roma ovviamente. È curioso questo ritardo, perché ormai in Italia si sfornano a getto continuo leggi elettorali e di solito l’ultima peggiora la precedente. Si potrebbe, quindi, andare a ritroso, ripristinando la vecchia legge provinciale, come propongono gli onorevoli Fassina e Magi. Quella soluzione consente l’elezione del sindaco a doppio turno e il riparto proporzionale degli eletti basato sui collegi, in modo da assicurare un rapporto ravvicinato con gli elettori in piccoli ambiti territoriali, evitando le preferenze che sarebbero una sciagura in una circoscrizione elettorale tanto vasta come quella della Città Metropolitana romana.8

Sul piano amministrativo la decisione assunta dallo Statuto apre un corposo processo di riforma. Purtroppo nessuna iniziativa è stata presa dal 2015 a oggi.

I Comuni della provincia dovrebbero procedere agli accorpamenti per aree omogenee, superando l’estrema frammentazione attuale di 121 amministrazioni, con evidenti miglioramenti nell’efficacia e nell’efficienza delle risorse pubbliche.

Il Comune di Roma è obbligato a effettuare “la ripartizione del proprio territorio in zone dotate di autonomia amministrativa”. Non vi è alcun dubbio che esse debbano corrispondere ai Municipi, anche mediante eventuali revisioni dei confini.

Dunque, spetta al sindaco cittadino attuare gli indirizzi del sindaco metropolitano e non dovrebbe essere difficile trattandosi della stessa persona. In base alle norme vigenti si dovrebbero potenziare le competenze dei Municipi fino quasi a raggiungere lo status di Comuni urbani. Non si tratta di proseguire sulla vecchia strada del decentramento, ma di costituire nuovi livelli di governo dotati, come dice la legge, di “autonomia amministrativa”.

Il percorso della riforma istituzionale, quindi, è già avviato, e non vale la pena cambiare di nuovo la direzione di marcia, anzi è necessario portarlo a compimento con sollecitudine. Ciò richiede però di trarre tutte le conseguenze del nuovo assetto, purtroppo non adeguatamente evidenziate nel dibattito politico e scientifico.

La prima conseguenza è il forte ridimensionamento dell’apparato centrale del Comune in seguito alla trasformazione dei Municipi verso i Comuni urbani. A conclusione del processo rimarrebbero a livello comunale solo le funzioni della pianificazione e dei grandi servizi, le quali però coincidono in gran parte con le competenze che assumerà una Città Metropolitana pienamente funzionante e legittimata dall’elezione diretta. Mantenere questo residuo della vecchia amministrazione comunale potrebbe causare sprechi, sovrapposizioni e interferenze con le nuove amministrazioni valorizzate dalla riforma, sia quella metropolitana sia quelle di prossimità.

La seconda conseguenza è il dualismo politico-amministrativo che in seguito all’elezione diretta si potrebbe creare tra la Città Metropolitana e il Comune. In molte materie nascerebbero contenziosi di competenze e interdizioni delle decisioni. Sul piano politico il sindaco metropolitano e quello cittadino - a quel punto ruoli attribuiti a persone diverse - inevitabilmente tenderebbero a conquistare spazi di potere e di visibilità, come è già evidente oggi nei conflitti permanenti tra la Pisana e il Campidoglio. Roma può vivere con due papi, ma non con due sindaci.

Per evitare questi effetti negativi si deve completare la legge Delrio, realizzando un passo successivo perfettamente coerente con la sua logica istituzionale, ma nascosto dalle incertezze politiche che ne condizionarono l’approvazione.

L’attuazione coerente della legge 56/2014 implica l’eliminazione del Comune di Roma. Solo togliendo questo macigno si apre la via istituzionale per la crescita dei Comuni Urbani e il pieno sviluppo della Città Metropolitana.

D’altro canto non si perde nulla, poiché la vecchia amministrazione comunale è ormai fuori scala rispetto ai processi di cambiamento e alle esigenze della popolazione. È troppo grande e nel contempo troppo piccola. Nonostante l’ampiezza del suo territorio, è piccola rispetto alle trasformazioni demografiche, economiche, logistiche e ambientali che ormai investono gran parte dell’area regionale. Eppure è troppo grande rispetto alla gestione amministrativa della vita dei quartieri e dei servizi alla persona.

In seguito all’eliminazione del Comune tutte le tessere trovano posto nel puzzle istituzionale.

I Comuni Urbani migliorano il governo di prossimità e il rapporto con i cittadini.

I Comuni Provinciali migliorano la qualità amministrativa tramite gli accorpamenti per aree omogenee.

La Città Metropolitana organizza il governo strategico dell’area vasta e svolge la funzione di capitale secondo il comma 9 dell’articolo 24 della legge 42/2009.

Essa si scioglierà a sua volta nella Regione Roma quando sarà approvata anche la legge costituzionale, in perfetta continuità tra i due tempi della riforma della capitale.


4. Non mancano i soldi per la gestione ordinaria, sono crollati gli investimenti

Il crollo degli investimenti pubblici è la causa principale della crisi della città: la mancanza di futuro, le occasioni perdute, il ritardo tecnologico, il collasso delle manutenzioni, la fragilità del territorio, gli autobus in fiamme e i rifiuti per strada, ecc.

Si tratta di una tendenza italiana – secondo alcuni osservatori il principale fattore del declino del Paese9 - ma è molto più intensa a Roma che in altre città. Ed è frutto di un’incredibile collaborazione tra le amministrazioni statali e locali, che sembrano andare d’accordo solo per spingere in basso la capitale. Il fare e il non fare, la volontà e l’inconsapevolezza, i programmi e le emergenze, tutto contribuisce a un processo univoco e inesorabile che toglie risorse agli investimenti e aumenta la spesa corrente.

Per farsene un’idea basta ricordare gli esempi dei due fondi statali per la funzione di capitale, uno per gli investimenti e l’altro per la spesa corrente.

Il primo fu istituito dalla legge 396 del 1990, una legge organica che scaturì da un costruttivo confronto tra i partiti durato per tutti gli anni ottanta e venne approvata in un impegnato dibattito parlamentare con la partecipazione dei massimi esponenti politici e di prestigiosi intellettuali come Antonio Cederna.10 Essa ha portato buoni frutti alla città sostenendo la realizzazione di opere importanti come l’Auditorium, il tram 8 e la ferrovia S. Pietro-Cesano, con una media di circa 200 milioni di investimenti l’anno.11 È stata però cancellata nel 2012, quasi di sottecchi, inserendo un comma scellerato, n. 6, nel decreto legislativo n. 61 in attuazione dell’articolo 24 della legge 42/2009. Per inciso, basta il confronto tra le modalità di approvazione e quelle di abrogazione della legge per riassumere la decadenza della legislazione negli ultimi trenta anni. La decisione non suscitò alcuna discussione pubblica, anzi ottenne incredibilmente il consenso della giunta comunale di allora e nessuna delle successive amministrazioni ne ha chiesto il ripristino.12

Una sorte opposta, nello stesso periodo, ha avuto il fondo statale per le spese correnti della capitale (Polizia Municipale, nettezza urbana, illuminazione pubblica, acqua, ecc.): nel 1990 era di soli 30 milioni ma successivamente è arrivato a 540 milioni, una somma ritenuta sufficiente dalle stime degli uffici comunali.

Alla funzione di capitale, quindi, lo Stato non riconosce più un finanziamento per opere strategiche, ma non lesina sul rimborso degli straordinari dei vigili urbani. È un paradosso rispetto alle altre capitali europee sostenute, invece, da grandi programmi infrastrutturali di interesse nazionale.

È sintomatico che negli stessi anni il fondo investimenti sia stato azzerato e quello per la spesa corrente sia aumentato di quasi venti volte. La medesima tendenza, infatti, ha segnato tutte le altre politiche locali e nazionali, come si può verificare con alcuni esempi.

Per quanto riguarda la spesa corrente le risorse disponibili nel bilancio comunale sono compatibili con la gestione ordinaria della città. Nonostante il lamento di diversi politici romani i contributi ordinari dello Stato sono più alti rispetto a tutte le altre città italiane. Il livello pro capite dei trasferimenti statali e regionali è di 334 euro, a Milano 329, Torino 232, Napoli 172, Bologna 149, Firenze 116.13

Le aliquote fiscali e alcune tariffe, per esempio quella dei rifiuti, sono ai livelli massimi nazionali.

D’altro canto, occorre ricordare che Roma è svantaggiata dai criteri di riparto dei trasferimenti che fanno in gran parte riferimento al numero degli abitanti, ma non alla superficie urbanizzata, la quale è tanto estesa da contenere le prime nove grandi città italiane. Questa enorme dispersione territoriale determina alti costi di gestione in tutti i servizi a rete - dai trasporti, ai rifiuti, alla manutenzione stradale, ecc. - non adeguatamente considerati nei fabbisogni standard definiti a livello nazionale. È però una responsabilità storica tutta in capo alle classi dirigenti romane aver esteso in modo abnorme per oltre un secolo i tessuti urbani favorendo l’appropriazione privata della rendita immobiliare a discapito dei beni pubblici. E ciò dovrebbe dimostrare almeno la necessità di fermare l’espansione edilizia nella campagna e recuperare la città esistente.

Comunque, le risorse attualmente disponibili per la spesa corrente non sono neppure pienamente utilizzate, a causa di una crescente inadeguatezza attuativa della macchina comunale. L’ultimo bilancio consuntivo del 2018 ha fatto emergere la considerevole cifra di 545 milioni non spesi: è come se non fosse stato utilizzato per un anno il contributo dello Stato al funzionamento della capitale.

Ancora più grave, però, è la scarsa efficienza e la debole efficacia della spesa: ai cittadini sono erogati servizi di gran lunga più poveri in quantità e qualità rispetto alle risorse impegnate. Un caso clamoroso si trova nella principale voce di spesa: il contratto di servizio per il trasporto è finanziato dal Comune per produrre una percorrenza totale di autobus di 101 milioni di Km in un anno, ma l’Atac ne offre ai cittadini solo 80 milioni, e con la ben nota bassa qualità .

Per quanto riguarda gli investimenti comunali c’è stata una grave penalizzazione nel 2008 in seguito al parziale commissariamento del bilancio. La presa in carico da parte dello Stato del ripiano dei vecchi mutui ha ampliato i margini di utilizzazione della spesa corrente su obiettivi non sempre commendevoli. Quando questa si espande è sempre difficile tornare indietro. Infatti, lo squilibrio non è stato riassorbito negli anni successivi e si è creata un’anomalia strutturale nella dotazione delle risorse in conto capitale rispetto alle altre città. La quota degli investimenti rispetto alle spese totali a Roma è solo il 4%, mentre a Napoli il 20%, Firenze 17%, Torino 14%, Milano 12%, Bologna 9%.14

Nonostante la bassa dotazione, anche in questo settore del bilancio pesa negativamente la cronica incapacità della macchina amministrativa di utilizzare le risorse disponibili: nella contabilità del 2019 risultano ben 824 milioni che non hanno trovato attuazione in opere pubbliche.

Inoltre, c’è la difficoltà del Comune nell’utilizzare i finanziamenti disponibili dalla legislazione statale. Emblematico è il caso dei trasporti su ferro. Da tre anni lo stanziamento di 425 milioni per la manutenzione straordinaria delle metro A e B non è stato ancora messo in opera, nonostante le quotidiane chiusure di stazioni e scale mobili. Nei bandi di finanziamento statale per la cura del ferro l’amministrazione comunale non ha presentato nuovi progetti di metropolitane, a differenza di altre città, e di conseguenza ha ottenuto solo il 12% delle risorse, invece Torino il 22% e Milano il 43%.

Infine, nel decennio 2009-18 anche gli investimenti diretti dello Stato e delle grandi aziende partecipate sono crollati, circa dieci volte, da 488 a 45 euro/abitante, raggiungendo una somma totale di 2493 euro/abitante, circa tre volte più bassa dei 7175 di Milano.15 La diminuzione dell’investimento statale è stata più forte a Roma che nel resto del Paese, come è evidente per esempio nella politica della conoscenza: sono stati finanziati progetti strategici nelle grandi città italiane – Human Technopole a Milano, IIT a Genova, Istituto per l’Intelligenza artificiale a Torino, Scuola Normale a Napoli – ma nessuna iniziativa ha riguardato la capitale, nonostante le sue rilevanti risorse scientifiche e tecnologiche.

Da tutto ciò si evince la necessità di superare lo squilibrio tra investimenti e spesa corrente.

La città riceve dallo Stato cospicui trasferimenti per la gestione ordinaria, a cominciare proprio dal fondo dedicato alla funzione di capitale. Spetta alle amministrazioni locali utilizzare con efficienza ed efficacia queste risorse per migliorare i servizi urbani, senza chiedere trattamenti di favore rispetto agli altri comuni italiani.

La riforma istituzionale, invece, deve promuovere un impegno coordinato delle amministrazioni locali e statali per la capitale del futuro. In tale direzione il ripristino del fondo di Roma Capitale della legge 396/90 può essere l’inizio di una nuova concertazione tra tutte le istituzioni per un grande programma di investimenti. I finanziamenti del programma europeo Next Generation saranno il primo banco di prova. Per non perdere l’occasione storica, però, occorre al più presto rafforzare e qualificare tutte le strutture tecniche preposte all’attuazione delle opere.

In conclusione mi permetto di riassumere le diverse proposte in una sorta di agenda della legislazione per Roma.

1. Legge costituzionale per l’istituzione della Regione Capitale nel contesto di una riforma nazionale del regionalismo.

2. Legge elettorale per le Città Metropolitane, non solo per Roma.

3. Eliminazione del Comune di Roma tramite un processo graduale di crescita dei Comuni Urbani e della Città Metropolitana, come attuazione conseguente della legge 56/2014.

4. Rielaborazione e arricchimento delle parti migliori dell’articolo 24 della legge 42/2009: i “raccordi istituzionali” adeguati allo sviluppo di politiche di concertazione tra lo Stato e la Capitale previsti al comma 6; l’attribuzione della funzione di Capitale alla Città Metropolitana prevista al comma 9.

5. Ripristino del fondo di finanziamento della legge 396/1990 come avvio di un più generale rilancio degli investimenti per la capitale.




NOTE

1Per un approfondimento delle analisi e delle proposte rinvio al libro appena pubblicato per Donzelli: Roma come se, pp. 215-60


2 Istat, Forme, livelli e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia, appendice 1, 2017.


3 Introdotto in Francia nel 1996 con la legge Barnier e ora recepito anche in Italia dal Codice degli appalti e regolamentato con il dpcm del 10 maggio 2018, n. 76, ma limitatamente a opere pubbliche puntuali e non per le riforme istituzionali.


4 «[…] non esiste qualcuno il quale si presenti ad altri dichiarandosi laziale, mentre invece c’è chi si dichiara siciliano, o romagnolo, trentino o toscano: vale solo nel gergo degli appassionati del calcio la qualifica “laziale” […]. E lì ci si ferma»: A. Caracciolo, La regione storica e reale cit., in A. Caracciolo (a cura di), Il Lazio, Einaudi, 1991, p. 6.


5 Fondazione Luigi Einaudi, Lazio senza Roma, giugno 2000.


6Il comma 9 ha avuto una sorte travagliata: è stato cancellato dall’articolo 18 della legge 95 del 2012 che abrogò illegittimamente le provincie, un testo scritto con palese ignoranza giuridica proprio dal “governo tecnico” di Monti. L’illegittimità fu ovviamente dichiarata dalla Corte con la sentenza n. 220 del 2013. Secondo un orientamento consolidato della stessa Corte l’eliminazione di un’abrogazione fa rivivere la norma originaria. Successivamente sono intervenuti sulla materia i commi 101-3 della legge 56/2014, anch’essi piuttosto confusi, ma non in conflitto esplicito con l’attribuzione della funzione capitale alla Città Metropolitana. A mio avviso, quindi, si deve ritenere vigente il comma 9, e in ogni caso si potrebbe ripristinarne e arricchirne il contenuto nella nuova legge qui in discussione.


7Purtroppo si è affermata la tendenza ad approvare sempre nuove leggi, senza neppure attendere che le precedenti siano applicate e soprattutto valutate negli esiti positivi e negativi. In tanti campi della legislazione, a cominciare dagli Enti Locali, ci vorrebbe una moratoria della legislazione, conservando per un po’ di tempo le norme esistenti anche se non appaiono perfette, consentendo però alle amministrazioni di adattarsi e semmai correggere le disfunzioni in via operativa.


8 F. Marchianò, La competizione elettorale intrapartitica nelle comunali di Roma. Voto di preferenza e micropersonalizzazione, comunicazione al xxix convegno della Società italiana di scienza politica, Arcavacata di Rende, 10-12 settembre 2015.


9P. Ciocca, Tornare alla crescita, Donzelli, 2018.


10 La legge 396/90 aveva disposto una serie di interventi sul tessuto urbano ed extra-urbano della città di Roma, al fine di adeguarne l'assetto e le strutture all'assolvimento del ruolo di capitale della Repubblica. In particolare: la conservazione, la valorizzazione e il restauro del patrimonio artistico-monumentale; l'esecuzione di alcuni interventi di risanamento ambientale, di recupero urbano e di riqualificazione delle periferie, l'adeguamento dei servizi di trasporto e delle infrastrutture per la mobilità urbana e metropolitana anche mediante la definizione di un sistema di raccordi intermodali; la qualificazione delle università, dei centri di studio e di ricerca nonché la creazione di nuove strutture; la costituzione di un polo europeo dell'industria dello spettacolo e dell'informazione e la realizzazione di un sistema congressuale-espositivo; l'adeguata sistemazione delle istituzioni internazionali operanti in Italia e aventi sede nella capitale; nonché disposizioni in relazione alle espropriazioni (art. 7).


11 Il bilancio delle attività promosse dalla legge si trova nella Relazione trasmessa al Parlamento il 15 luglio 2002, Doc.LXXXIV, n. 1 - http://leg14.camera.it/_dati/leg14/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/084/001/pdfel.htm


12Oggi sarebbe impensabile una legge organica per Roma Capitale come la 396/1990, priva di rinvii a decreti legislativi, elaborata a lungo, alimentata da opinioni diverse, proiettata al futuro. Tutte le norme sulla capitale approvate negli anni Duemila sono contenute in singoli articoli di testi più generali, non più in un provvedimento interamente dedicato alla questione. La legislazione è ormai ridotta a contenitori omnibus di norme frammentate, eterogenee e improvvisate, che infatti vengono modificate dopo pochi mesi. Questa pioggia incessante di piccole gocce normative è la causa principale del collasso delle amministrazioni nazionali e locali. Eppure non viene mai messa in discussione. Per l’approfondimento del problema rinvio al mio saggio: Dal troppo al niente della mediazione politica, in “Costituzionalismo.it”, n. 2/2017.


13 Addirittura il vantaggio della capitale è maggiore di come appare in questi numeri se si considerano due anomalie: a) la Regione Lazio finanzia i trasporti romani molto meno rispetto a quanto facciano le altre regioni con i rispettivi capoluoghi. Ciò significa che nel valore totale di 334 euro/abitante il contributo dello Stato è relativamente ancora più alto; b) l'amministrazione comunale riceve, tramite la gestione commissariale dei vecchi mutui, un finanziamento aggiuntivo di circa 300 milioni, che non appare nel dato pro capite di 334 euro. Nel confronto con le altre città, tuttavia, gli alti livelli di trasferimenti vengono in parte compensati nel totale delle entrate da un basso livello di risorse autonome, a causa della vasta evasione delle tariffe, delle sanzioni amministrative, dei tributi e dei proventi patrimoniali.


14M. Causi, Il bilancio del Comune di Roma e la città, pubblicato online dall’Associazione Roma Ricerca Roma.


15A. Bassi, Investimenti pubblici: Milano riceve più risorse di Roma, in “Il Messaggero” del 17 novembre 2019.

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