La Rivista junghiana di Psicologia Analitica ha organizzato un convegno a Roma il 12 aprile di questo anno su un tema di grande interesse: La Psiche Politica. Cura dell'Anima e Passione sociale. L'occasione è stata la presentazione del numero monografico e sono intervenuti studiosi di diverse discipline oltre ovviamente agli psicoanalisti, tra i quali Andrew Samuels, il più importante esperto junghiano del tema. I cari amici della Rivista mi hanno chiesto di portare il saluto introduttivo, anche a nome dell'Amministrazione Comunale. Di seguito il breve testo del mio intervento.
Il tema è tanto complesso e perfino sorprendente che suscita in me un certo sgomento. Appena ho letto il titolo mi sono sentito inadeguato a introdurre la discussione.
Per sopperire alla carenza ho cercato di chiamare a raccolta tutte le mie forze, moltiplicando per tre i miei ruoli in questo incontro. Quindi, vi parlerò, brevemente, prima come rappresentante del Comune di Roma, poi come anziano militante politico e infine come amico della Rivista.
1 – Come rappresentante comunale, innanzitutto, rivolgo il benvenuto a tutti i convenuti, agli organizzatori e ai relatori. In particolare porto il saluto del Sovrintendente Parisi Presicce e dell’assessore Smeriglio che hanno patrocinato l’iniziativa, concedendo l’uso della sala in questa bella architettura di Richard Meier che contiene l’Ara Pacis di Augusto, in una vibrazione creativa tra antico e contemporaneo.
Un particolare benvenuto va al nostro ospite d’eccezione Andrew Samuels. Gli auguro una buona permanenza nella nostra città. Arrivando qui, ha già ottenuto, come junghiano, un successo analitico, poiché ha superato il suo maestro. Jung, infatti, non riuscì mai a mettere piede a Roma, pur desiderandolo ardentemente, pur essendo un viaggiatore attento e curioso, come sottolinea Thomas Singer nella rivista.
Nei ricordi dice: “Ho viaggiato molto nella mia vita e sarei andato volentieri a Roma, ma sentivo di non essere all’altezza dell’impressione che questa città mi avrebbe fatto”.
Poi racconta il turbamento del passaggio nei pressi della capitale, durante il viaggio in nave da Genova a Napoli. E infine confessa che in vecchiaia decise finalmente di intraprendere il viaggio, ma gli mancarono le forze al momento di acquistare il biglietto.
Temeva l’intensità spirituale della memoria dell’antico. Avvertiva il carattere perturbante delle rovine.
Noi romani, invece, per abitudine evitiamo questa esposizione spirituale, ricorrendo a una vera e propria rimozione del perturbante. Con le recinzioni che chiudono in gabbia le rovine affinché non siano di turbamento per la vita urbana. Con la retorica della Città Eterna che soffoca l’autenticità di una memoria vissuta nel contemporaneo. Con la rendita economica che sfrutta i monumenti per surrogare la mancanza di più ingegnose imprese produttive.
Ora però si volta pagina. Con il progetto CArMe, che ho l’onore e l’onere di coordinare su incarico del Sindaco, stiamo realizzando un grande anello pedonale, potete vedere il primo tratto a San Gregorio: una Passeggiata Archeologica che abbraccia tutti i monumenti – dai Fori, al Colosseo, al Palatino al Circo Massimo – per riscoprire una prossimità dell’antico, una confidenza con la memoria urbana, un reincanto delle rovine nella vita quotidiana, un riconoscimento dei cittadini del mondo tra loro e verso i luoghi storici.
A sostenere questa ambizione progettuale c’è un apologo di Freud. Nel Disagio della Civiltà cerca un’allegoria fisica della psiche e la trova proprio nel paesaggio archeologico romano. Nel quale, dice, coesistono le stratificazioni materiali della storia plurimillenaria; proprio come nella psiche convivono i ricordi di tutta una vita.
L’apologo incoraggia la trasformazione di Roma. Se, infatti, da una buona terapia psicoanalitica emerge una personalità nuova, più consapevole e aperta alla vita, allo stesso modo da un buon progetto urbano può scaturire, proprio nella rielaborazione dell’antico, una città più aperta al futuro.
Se i due fondatori della psicoanalisi, Freud e Jung, hanno avuto un rapporto così intenso con le rovine, cioè con questo paesaggio mentale plasmato dalla storia, come dice Stefano Carta, vuol dire che Roma è la città più adatta a ospitare l’incontro tra Psiche e Politica. Ecco il miglior augurio che posso fare al vostro dibattito.
2 – Come anziano militante politico mi rincuora il professor Samuels quando dice che l’attivismo fa bene all’anima. Però senza esagerare, poiché nella lunga durata può anche soffrirne, mi viene da fare questa precisazione pensando ai miei 50 anni di politica a tempo pieno.
Ho frequentato il Soggetto Politico dagli anni Settanta, nel momento ascendente dell’assalto al cielo, nell’impeto razionale del cambiamento. Ma quella volontà di potenza era pur sempre insidiata dal tema dell’Inconscio, come un’ombra imprevedibile, una critica destabilizzante, una rivolta della corporeità, un incalzare del desiderio. E tutto ciò veniva spiattellato a noi giovani maschi dalla rivoluzione femminista, non solo nelle piazze ma anche nelle relazioni amorose.
Nonostante queste differenze, però, a ripensarci oggi, il Politico e l’Inconscio erano legati da un comune principio di emancipazione collettiva e personale che ha segnato la modernità del Novecento.
Se prima hanno vissuto insieme l’ascesa, oggi invece sono appaiati nel declino. Il Politico ha smarrito la capacità di futuro nell’immanenza del governo economico della vita. Analogamente l’esperienza dell’Inconscio è stata travolta dalla così detta “evaporazione del padre”, dall’immanenza disincarnata del mondo digitale e perfino in sede teorica la psicoanalisi è insidiata dalle neuroscienze e dal cognitivismo.
“Il consapevole fare della Psiche e il responsabile fare del Politico oggi sono scomodi per un Ego asserragliato nelle sue paure, osserva Daniela Palliccia, approfondendo uno spunto di Ida Dominijanni.
Il paziente “mondo” ha scambiato per benessere i sintomi dell’eccitazione maniacale, aggiunge Anna Maria Sassone.
Allora mi domando: dopo questo movimento comune di ascesa e declino del Politico e dell’Inconscio ci sarà pure un rimbalzo? Non so dire se e quando, posso solo sperarlo. E nel caso chi sarà il primo a risorgere?
Non credo possa essere il Politico. Da anziano militante non vedo a breve un’inversione di tendenza. Il leader “sufficientemente buono” auspicato da Samuels non è ancora nato.
Possiamo invece immaginare che la rinascita venga dalla Psiche. Ma non so portarvi argomenti razionali in tal senso. Posso solo richiamare due splendide fantasie contenute nella rivista.
Il sogno di Carolyn Bates che accoglie in analisi un’anziana signora, intelligente e istruita, la personificazione della Democrazia Americana finalmente disponibile a fare i conti con le proprie paure e con i lati oscuri della sua storia - il razzismo, lo schiavismo - e desiderosa di ricomporre le sue lacerazioni.
E l’utopia di Roberto Finelli di una psicoanalisi popolare che, attraverso un radicale ripensamento dell’istituzione scolastica, riesca a fecondare una nuova immagine del Mondo.
3 – Infine, parlo come amico della rivista e di molte care persone che se ne prendono cura. Pur frequentando con piacere tanti analisti non sono mai andato in analisi. Se e quando accadrà proprio questa resistenza sarà il tema da affrontare per primo.
Per lo stesso motivo una quindicina di anni fa resistetti quando l’amico Paolo Aite, tra i fondatori e a lungo direttore della Rivista di Psicologia Analitica, mi chiese di scrivere Le Confessioni di un Politico, come meditazione personale sulla lunga durata del mio attivismo.
Andai da lui deciso a dire di no, ma rimasi spiazzato. Mentre mi parlava, con quella libertà e freschezza di cui nella rivista ha portato testimonianza Pina Galeazzi, la sua proposta si innalzava sopra il mio rifiuto, poi assumeva le sembianze di un’imprevista possibilità e infine si trasfigurava in una mia intima necessità.
Paolo è venuto a mancare lo scorso anno, ma è indimenticabile la sua capacità di trasfigurare le cose del mondo nelle rivelazioni della vita.
Di trasfigurare una foglia, un albero, un paesaggio in un movimento dell’anima.
Di trasfigurare una costruzione sulla sabbia in un colloquio tra analista e paziente, come spiega qui Romano Madera.
Di trasfigurare un sorriso in una parola ancora non detta e un inciampo in una scoperta.
Di trasfigurare, cioè, la vita stessa in una rivelazione della Grazia.
Si, proprio la Grazia evangelica, come si esprime nella semplicità del gioco dei bambini, che ha costituito sempre il suo stile di vita.
Parafrasando l’idea del tempo in Agostino, potremmo dire la Grazia è il concetto teologico più difficile da definire, ma noi che abbiamo avuto il privilegio di conoscere Paolo sappiamo cos’è la Grazia di un’amicizia.
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