venerdì 7 novembre 2025

Perché sono contrario alla legge per Roma Capitale

 Alla Camera dei Deputati è iniziata la discussione della legge costituzionale per Roma Capitale sulla base del testo proposto dal governo Meloni. Sono stato invitato il 4-11-2025 in audizione alla Commissione Affari Costituzionali e ho espresso il mio punto di vista critico con questo intervento.



Comincio dagli aspetti positivi.

Nella mia lunga esperienza parlamentare non ho mai visto per Roma Capitale uno spirito di collaborazione tra i partiti come si va esprimendo su questo disegno di legge costituzionale proposto dal Governo. Complimenti, quindi, ai parlamentari protagonisti del dibattito costruttivo.

Come ex-amministratore comunale apprezzo l’attenzione dedicata alla nostra città da questa prestigiosa commissione parlamentare per gli Affari Costituzionali.

Sono d’accordo anche sulle priorità assegnate ad alcune materie, per esempio i beni culturali, in questo momento sotto i riflettori per la tragedia della Torre dei Conti.

Già se ne occupò la legge ordinaria del 5 maggio 2009 n. 42 del 2009 con lo specifico decreto legislativo del 18 aprile 2012 n. 61. Era prevista una Conferenza delle Soprintendenze come sede di coordinamento e di programmazione tra lo Stato e Roma Capitale. Purtroppo nei fatti è stata svuotata di funzioni dalla resistenza conservatrice delle burocrazie ministeriali. Quando si approva una nuova legge ci vorrebbe un’accurata policy analysis, di solito poco praticata in Italia, per capire dove non ha funzionato la legge precedente e quindi evitare di ripetere gli stessi errori. Rimane aperto il cruciale problema di una gestione integrata del patrimonio culturale, a oggi purtroppo frammentato tra le competenze statali e comunali, spesso senza alcuna razionalità. Sulla questione mi permetto di richiamare alla vostra attenzione il mio disegno di legge depositato in Senato nella XVII legislatura (Atto n. 2999). Esso propone una netta distinzione tra competenze tecnico-scientifiche e indirizzi politici. Le prime sono collocate in una Grande Soprintendenza di Roma responsabile di tutti i beni oggi divisi tra Ministero e Comune; gli indirizzi politici sono concertati tra Ministro e Sindaco in un apposito Comitato Strategico della Grande Soprintendenza. 

Vengo al tema dell’audizione, il testo base (C. 2564) per la discussione sulla legge per Roma Capitale. Non condivido l’impianto della proposta e avrei preferito un modello diverso.

In un primo momento non avevo accettato il vostro cortese invito all’audizione, per non turbare il clima di concordia. Poi ho avuto un ripensamento e sono venuto. La postura critica aiuta a vedere i problemi attuativi e forse è utile sottoporli alla vostra attenzione, perché possiate affrontarli e mitigarli pur all’interno del modello che avete scelto. 

I più rilevanti problemi attuativi sono due:

1. Vulnus nel rapporto eletti-elettori

2. Complicazione del governo della città e della regione 

Il primo è già stato segnalato efficacemente in audizione dal professor Ceccanti e voglio sottolinearlo.

I cittadini romani votano per il Comune che farà le leggi, ma votano anche per la Regione che invece non potrà più fare le leggi per loro. Immaginatevi i candidati presidenti della Regione in campagna elettorale verranno a Roma, ma non potranno presentare nessun programma legislativo. Chiederanno il voto perché sono simpatici, di bell’aspetto e di buone intenzioni, per qualsiasi cosa ma non per le scelte fondamentali sul governo della capitale. Al più potranno presentare le loro proposte per le competenze amministrative. Ma proprio queste dovrebbero essere devolute in gran parte alle Province e ai Comuni. L’esuberanza amministrativa delle Regioni italiane è infatti un’anomalia dell’ordinamento, poiché la Costituzione le ha istituite soprattutto come enti legislativi.

Gli elettori romani sono circa la metà del corpo elettorale regionale e quindi saranno determinanti per l’elezione del presidente, il quale però non risponderà a loro, ma ai cittadini del resto del Lazio.

Chi governa il Lazio non si occupa di Roma, ma viene eletto anche dai romani. I cittadini del resto del Lazio si ritrovano un presidente scelto per gran parte anche dai romani, i quali però non sono interessati al suo programma.

C’è una scissione tra corpo elettorale e mandato di governo.

Viene a mancare la chiarezza del rapporto tra eletti ed elettori. Mi pare un clamoroso vulnus istituzionale. 

Secondo problema. Con questa revisione costituzionale diventerà ancora più complicato il governo di Roma e del Lazio. Per un’evidente contrasto tra le leggi e la realtà. I nuovi poteri legislativi della Capitale, infatti, verranno applicati entro un confine comunale che ormai è stato superato dall’espansione dell’ultimo mezzo secolo.

Dagli anni settanta la città ha smesso di crescere e intorno si è sviluppata una delle più vaste conurbazioni europee, ampia quasi come la Grande Londra.

La parte extra-GRA del territorio comunale si è saldata con il territorio provinciale costituendo la grande Corona di Roma, innervata da crescenti connessioni urbanistiche, infrastrutturali ed economiche, come dimostrano molti studi, da ultimo quello di Roma Tre (M. Baioni, G. Caudo, Roma Grande Formato, Quodlibet 2024). Si tratta della più ampia agglomerazione della regione. Rispetto alla città intra-GRA contiene quasi la stessa popolazione di due milioni di abitanti, la metà dei lavoratori nel privato e un terzo nel pubblico; quest’ultima percentuale sembra piccola, ma è molto alta rispetto alla concentrazione delle sedi statali nella città storica. Ebbene la grande Corona di Roma verrebbe tagliata in due dall’artificiosa separazione legislativa tra Regione e Comune, con evidenti effetti negativi nella regolazione della vita pubblica ed economica.

C’è anche un problema di riconoscimento civico. Circa 800 mila romani hanno abbandonato la città consolidata e in parte sono andati a vivere oltre il GRA e nei comuni della Corona, che infatti hanno raddoppiato la popolazione. In un certo senso quei cittadini si sentono ancora romani, in gran parte lavorano in città o ne utilizzano i servizi; si sono trasferiti per tante ragioni, ma soprattutto per ridurre il costo dell’abitazione, considerando che il valore immobiliare medio in provincia diminuisce del 57% rispetto alla città. La Capitale prima li ha espulsi con il rincaro della casa e poi dirà loro che non li riconosce come suoi cittadini, poiché non potranno partecipare alla sua legislazione.

Si accentua un contrasto che è già molto forte tra l’urbano e l’extraurbano. Negli ultimi anni si è manifestato nei più diversi temi, dalla gestione dei rifiuti, alla mobilità, alle infrastrutture. Gli abitanti dell’area metropolitana hanno accumulato un certo rancore per tutta una serie di problemi che la grande città scarica verso l’esterno, mentre la classe dirigente romana ignora le esigenze dell’hinterland.

C’è una pericolosa lacerazione sociale e culturale nella metropoli. Se ne vedono gli effetti perfino nella rappresentanza politica con una forte polarizzazione tra sinistra e destra. I partiti curano il consenso nelle rispettive roccaforti elettorali, ben distinte tra l’area centrale e la vasta periferia. Ma non si vede alcun progetto politico volto a superare la reciproca estraneità e a ricomporre il senso della comune appartenenza alla città metropolitana.

Addirittura, nel mondo d’oggi questa lacerazione tende ad accentuarsi per le più generali dinamiche economiche e tecnologiche. È diventata già un grande problema europeo, basti pensare alla rivolta dei gilet gialli, in buona parte motivata contro il predominio di Parigi sull’Ile-de-France.

Il primo obiettivo di una revisione costituzionale dovrebbe essere la ricomposizione dei conflitti, e invece vengono accentuati rafforzando la città a discapito del suo intorno.

Ed è anche una grande illusione pensare di poter governare i processi reali entro i confini comunali. Non è più così da quasi mezzo secolo. I buoi sono usciti dalla stalla. Con questo testo il legislatore rivela una nostalgia per una Roma che non esiste più, quella degli anni cinquanta e sessanta. Non è la migliore postura per preparare il futuro della Capitale.

Tutte le materie attribuite ai nuovi poteri legislativi sono confinate nel perimetro comunale, ma nella realtà riguardano fenomeni ampiamente diffusi nell’area metropolitana. Come si può affrontare la politica della casa a Roma se molti romani vanno a vivere fuori città? Come si gestiscono le infrastrutture se i principali nodi sono esterni all’area comunale, gli aeroporti, il porto di Civitavecchia, la bretella Fiano-Valmontone ormai trasformata in un potente asse della logistica, dal polo Amazon di Passo Corese al centro agroalimentare di Guidonia? Come si fa economia se le industrie e i poli tecnologici sono quasi tutti nella Cintura? Come si distendono i flussi turistici dal centro di Roma se si trascurano i mirabili beni culturali regionali, dalle città estrusche, a Tivoli, all’Appia Antica verso i Castelli? E così per i beni ambientali della Grande Campagna Romana, il Tevere e l’Aniene, i laghi, gran parte del Litorale.

Tutti i processi reali si sviluppano su area vasta, ma la continuità viene spezzata sul confine comunale dalla barriera legislativa tra Campidoglio e Pisana.

Nell’ultimo mezzo secolo i rapporti tra Regione e Comune sono stati sempre difficili, anche quando erano governati dagli stessi partiti. Con l’attuale cesura di competenze si rischia di peggiorare la situazione.

Per le potestà legislative “concorrenti” le divergenze saranno contenute, almeno si spera, dalle leggi nazionali di cornice. Ma per le competenze così dette “residuali” la conflittualità sarà senza limiti.

Preoccupa soprattutto la politica della mobilità. Prendiamo l’esempio delle tariffe dei trasporti, regolate per legge. L’area laziale è stata la prima in Italia a dotarsi del titolo di viaggio integrato, il Metrebus, che consente al cittadino di passare dal treno, alla metro, all’autobus senza aggravio di costo. Per demolire questo sistema tariffario bastano piccole divergenze legislative tra Regione e Comune. Inoltre, la rete dei trasporti è un sistema unitario e integrato. Se un’amministrazione interviene solo su una parte determina sul resto della rete effetti imprevisti e indesiderati. E come farà la futura legislazione comunale a fronteggiare i 600 mila pendolari che tutte le mattine entrano in città?

Questi problemi si presentano in forma più acuta proprio nel Lazio, ossia la Regione italiana con la più marcata forma centripeta: il grande magnete di Roma che attrae ed espelle attività. È impossibile per la Regione governare il suo territorio se non è in grado di regolare il magnete. E chi governa il magnete non sente la responsabilità di regolare gli effetti sull’area regionale.

A complicare il sistema decisionale ci sono poi le dinamiche politiche. A governare il territorio saranno potenzialmente quattro leader eletti direttamente dal popolo. È già così per la Regione, il Comune di Roma e i Municipi urbani e i comuni provinciali. In base alla citata legge del 7 aprile 2014 n. 56 anche la Città Metropolitana potrebbe avere il Sindaco a elezione diretta, come già deciso nel suo Statuto.

Tra i tanti leader ci saranno conflitti, veti, trabocchetti, poiché la politica è sempre più in balia di personalismi, populismi e litigiosità. Sarà sempre più difficile prendere decisioni. Però dobbiamo augurarci uno spirito di collaborazione e una ricerca di faticose nonché lunghe mediazioni, come si vede attualmente nei buoni rapporti tra il presidente Rocca e il sindaco Gualtieri. Quindi, nel caso positivo di collaborazione la fatica decisionale rimarrebbe la stessa di oggi; nel caso negativo, invece, si avrebbe un sicuro peggioramento. Il grado di conflittualità di questa proposta di legge si riassume nella disequazione maggiore o uguale a zero.

In ogni caso diventerebbe quasi impossibile gestire la Città Metropolitana. Caso unico in Italia, sarebbe un’amministrazione costretta ad applicare due diverse legislazioni, quella regionale in una parte del territorio e quella comunale nell’altra.

Infine, non può sfuggire un aspetto politico. L’attuale governo propone con la legge costituzionale un passo indietro rispetto alla legge ordinaria del 2009 n. 42, approvata su impulso del governo di allora, che aveva lo stesso orientamento politico di oggi. Infatti, il comma 9 dell’articolo 24 di quella legge, prevedeva di assegnare all’istituenda Città Metropolitana le funzioni di Roma Capitale. Se si fosse operato in continuità, i poteri legislativi, evidentemente connessi al ruolo Capitale, oggi si sarebbero dovuti collocare in capo alla Città Metropolitana.

Inoltre, secondo la già citata legge n. 56-2014 si potrebbero trasformare in Comuni i Municipi di Roma, anche modificando gli attuali confini.

La legislazione degli ultimi venti anni, in parte ancora vigente, aveva tracciato una coraggiosa strada di riforma istituzionale per Roma, seppure in modo incerto e a tratti confuso.

A mio avviso era la strada giusta e andava perfezionata e portata a compimento con il superamento dell’attuale Comune di Roma, il quale è paradossalmente troppo grande e troppo piccolo. Troppo grande rispetto ai servizi locali alla persona e troppo piccolo rispetto ai processi reali dell’area vasta. Entrambi i problemi si risolvono da un lato con la trasformazione dei Municipi in Comuni e dall’altro con il rafforzamento della Città Metropolitana con le funzioni di Capitale della Repubblica, come previsto appunto dalla legge del 2009. Tutto ciò si può attuare con un testo normativo di poche righe, operando per emendamenti alla legge n. 56-2014, come ho proposto in un apposito disegno di legge presentato nella XVII legislatura (Atto Senato 2214).

Per quanto riguarda i poteri legislativi la soluzione più semplice ed efficace consiste, in una seconda fase, nel conferire lo status di regione alla Città Metropolitana anche con opportune modifiche dei confini attuali, in base alle adesioni volontarie dei comuni.

Questa soluzione, però, comporterebbe il superamento dell’attuale regione Lazio. E sarebbe possibile solo nel quadro di una più ampia riforma costituzionale volta a istituire regioni più grandi e una più piccola per la capitale. L’idea delle macroregioni è circolata nel dibattito istituzionale da almeno un trentennio e il Senato impegnò il Governo a studiarne la fattibilità, mediante un’apposita risoluzione approvata nel 2014 in occasione della revisione costituzionale del Governo Renzi, poi bocciata dal referendum. Questa riforma sarebbe più utile e meno lacerante dell’ipotesi oggi in voga del così detto regionalismo differenziato. Avrebbe il vantaggio di eliminare diverse piccole regioni che hanno una popolazione inferiore rispetto ai Municipi romani. Ma soprattutto un numero ristretto di grandi regioni renderebbe più agevole una serrata concertazione di politiche nazionali e locali. Dopo aver inseguito per decenni gli opposti estremismi di un minaccioso neocentralismo e di un federalismo impossibile in un paese spaccato tra nord e sud, sarebbe il momento di seguire l’approccio migliore e quasi mai praticato, cioè la faticosa ma efficace cooperazione di programmi e obiettivi tra Stato e Regioni, sull’esempio tedesco. 

Le riforme istituzionali della Capitale sono molto difficili. Ho proposto alcune soluzioni e ve ne sono altre possibili, ma se si vuole davvero migliorare il governo locale comunque bisogna mettere in discussione sia la Regione sia il Comune. Entrambi sono fuori misura rispetto alla realtà di oggi, dopo la grande trasformazione di scala dell’ultimo mezzo secolo. Nell’ultimo trentennio si è presa consapevolezza del problema, ma si è risposto alla difficoltà con rinvii ed elusioni, con trucchi nominalistici - come scrivere Roma Capitale sulle insegne – oppure con soluzioni minimali, come la legge del 2009, che non ha caso è già stata dimenticata.

Stavolta la proposta del governo aggira la difficoltà inventando un’anomalia nell’ordinamento italiano, un ircocervo istituzionale ovvero un Comune Legislatore. Probabilmente, sull’esempio romano altre grandi città italiane rivendicherebbero poteri legislativi contro le rispettive Regioni, facendo emergere una conflittualità latente da tempo. Non è saggio scaricare l’incapacità di riforma della Capitale sull’intero assetto istituzionale del Paese, intaccandone gli essenziali requisiti di semplicità, di chiarezza e di leggibilità delle molteplici attribuzioni di competenze.

Sarebbe molto più prudente ammettere l’impossibilità in questa fase di riformare la Capitale e lasciare ai posteri il cimento.

Ciò non comporterebbe rimanere con le mani in mano. Non andrebbe sprecato l’attuale clima di concordia tra i partiti e tra le amministrazioni regionale e comunale.

Si potrebbe orientare queste disponibilità verso una Grande Riforma Amministrativa della Capitale, con un programma condiviso e convergente tra le diverse istituzioni.

La Regione dovrebbe devolvere molte competenze amministrative per concentrarsi sulla qualità della legislazione.

Lo Stato dovrebbe coordinare le diverse politiche ministeriali verso un ambizioso Progetto Capitale, per esempio: utilizzare i canali diplomatici per la proiezione internazionale di Roma nell’interesse dei cittadini e dell’intero Paese; rielaborare l’impronta fisica di un secolo e mezzo di amministrazione statale, mediante la riqualificazione di palazzi, caserme, depositi, terreni; prendersi cura della memoria di buona parte della cultura occidentale depositata negli archivi oggi abbandonati in capannoni di periferia; innalzare la sicurezza della città superando la tendenza delle forze dell’ordine al mero contenimento della criminalità e sviluppando potenti capacità investigative per smantellare le centrali del malaffare, ecc.

Le grandi aziende ancora pubbliche – Ferrovie, Poste, Enel, Eni, Leonardo, Aeroporti di Roma dovrebbero concertare un vasto programma di investimenti per la modernizzazione della città.

Infine, in accordo con il Campidoglio, si potrebbe assumere l’amministrazione romana, la più grande del Paese, come laboratorio nazionale della Riforma Amministrativa, sperimentando nuovi modelli organizzativi, procedure innovative, qualificazione delle risorse umane, applicazioni tecnologiche a larga scala, ecc.

In questo modo nessuno potrebbe mettersi la medaglietta storica per aver cambiato la Costituzione. Il Progetto Capitale concertato tra le istituzioni locali e nazionali sarebbe un cambiamento meno aulico, ma certamente molto più efficace per la vita della città e il prestigio della Capitale.


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