martedì 14 ottobre 2025

La mappa mentale delle consolari di Roma

Ho partecipato a un dibattito al MAXXI sul tema delle vie consolari. Di seguito potete leggere il mio intervento, che è stato pubblicato anche sulla rivista DIAC

 

A Roma è tornata la fiducia nel cambiamento. Abbiamo ormai alle spalle lo spirito depressivo degli anni passati. Ci sono tanti progetti in corso e tanti altri in discussione, per iniziativa della giunta - proprio oggi l’assessore Veloccia ha presentato il piano per il Tevere - e anche per l’impegno della società civile, come si vede in questo convegno.

A mio avviso, però, tra le tante, l’idea delle consolari è la più preziosa, la più efficace e la più nuova. 

1. Più preziosa perché antica: la loro raggiera è la più duratura forma territoriale di Roma, dalla protostoria ai giorni nostri. In una lotta infinita tra l’uomo e l’ambiente, ogni secolo ha impreziosito i tracciati con nuove opere e ha modificato il paesaggio, le infrastrutture, le produzioni, le case.

Ciascun itinerario è come un rotolo di papiro che basta srotolarlo per leggere nelle diverse direzioni la plurimillenaria trasformazione della Campagna Romana. Il Novecento è stato il secolo più ingeneroso, poiché ha sfiancato le consolari, senza mai prendersene cura; le ha utilizzate nella grande espansione edilizia per sostenere almeno due cambi di scala, quello urbano e quello metropolitano, le ha logorate, le ha stravolte e in alcuni tratti perfino cancellate: la Tiburtina a ponte Mammolo non c’è più, è stata sostituita da un viadotto sopra un parcheggio.

Occorre dimenticare il Novecento per riconciliarsi con la lunga durata di Roma. 

2. È l’idea più efficace perché in grado di modificare in profondità l’immaginario e la vita quotidiana di gran parte dei romani. Vi propongo un gioco di immaginazione delle nuove consolari come viali scanditi da grandi alberi e una ricca vegetazione, con spazi pedonali ampliati e arricchiti dall’arredo urbano, gli slarghi e i crocicchi trasformati in piazze distinte da installazioni artistiche, le piste ciclabili, le facciate dei palazzi restaurate o colorate, una suggestiva illuminazione notturna e i giochi d’acqua per ricordare che siamo a Roma nella città delle mille fontane, non solo in centro storico.

Sarebbe una svolta. Oggi queste strade sono corridoi tra centro e periferia attraversati con indifferenza dai pendolari; rappresentano quella che Carlo Levi chiamava la Roma fuggitiva. Le nuove consolari diventerebbero invece gli spazi più pregiati della vita quotidiana, dove è piacevole fermarsi e ritrovarsi come cittadini. E l’effetto non sarebbe solo locale, anzi cambierebbe la percezione della città nel suo complesso. Si otterrebbe il massimo risultato a costi relativamente bassi.

Si potrebbe cominciare con un grande concorso internazionale dell’immagine urbana, con il compito di disegnare non solo architetture, ma visioni, percezioni, paesaggi, orientamenti, stili e modi d’uso ecc. Il progetto vincitore potrebbe essere subito attuato in alcune parti con primi interventi pubblici e poi tramutarsi in Linee Guida volte a promuovere la coerenza progettuale di tutte le successive trasformazioni pubbliche e private.

L’attuale sfiancamento non è stato determinato da un progetto malefico, ma da una secolare e capillare rincorsa a ribasso di tanti interventi piccoli e grandi, settoriali e frammentati, provvisori e definitivi. Si può capovolgere questa tendenza promuovendo un processo graduale alla ricerca di un equilibrio a rialzo della qualità delle relazioni e dell’immagine urbana.

Nel contempo si potrebbero pianificare operazioni più strutturali.

Prima di tutto è necessario il pieno sviluppo della cura del ferro, che è la condizione necessaria per restituire le strade alla vita urbana, liberandole dal soffocamento automobilistico. Quindi, non solo ferrovie e metropolitane, ma anche nuovi tram, per esempio sulla Tiburtina e la Nomentana, e rinnovamento di quelli esistenti sulla Casilina e sulla Prenestina. E poi ricostruzione del sottosuolo per modernizzare tutte la cablature e realizzare parcheggi lineari per i residenti, fino a progetti più complessi; per esempio, nel tratto extra-GRA della Casilina la metro C è sovradimensionata rispetto ai bassi carichi di domanda degli insediamenti delle casette di tufo del primo abusivismo; potrebbero essere demolite per realizzare moderni centri urbani intorno le stazioni, a saldo zero, cancellando le altre previsioni edificatorie nell’Agro. 

3. Infine, è l’idea più nuova perché pone al centro del dibattito il tema della forma urbana di Roma, dopo una lunga dimenticanza e anche un esplicito rifiuto maturati nel mainstream delle politiche urbane. Una malintesa rigenerazione esalta gli interventi puntuali e vorrebbe archiviare qualsiasi visione a grande scala. L’edilizia pretende di sostituire l’urbanistica, proprio mentre i contesti spaziali diventano decisivi per affrontare i temi del nostro tempo: la riconversione ecologica, la transizione digitale e la frammentazione sociale.

D’altronde, la stessa cultura urbanistica sembra aver perso fiducia e interesse per la forma della città dopo gli insuccessi della vecchia pianificazione. Che si riassumono in una causa principale: l’aver proposto disegni astratti, senza alcun riferimento alla realtà. Sono state spesso anche generose utopie, descrizioni di mondi compiuti e perfetti, che però si tramutavano in eterotopie, insediamenti eterogenei e privi di relazioni. L’Asse Attrezzato Direzionale di Piccinato si è tramutato nell’Asse Attrezzato dell’Abusivismo sul Grande Raccordo Anulare. I grandi quartieri di 167, nati con la promessa di una nuova vita sociale, sono stati realizzati su grandi stradoni che impediscono le relazioni spaziali e umane.

Di questi fallimenti novecenteschi Roma costituisce una specie di summa. Eppure, all’inizio dell’era moderna proprio da Roma è venuta la migliore definizione della Forma Urbana, intesa come un disegno dall’alto che riesce a coniugarsi con la visione dal basso. Gli assi disegnati dai progettisti di Sisto V delineavano una nuova struttura della città facilmente percepita dai viandanti che si orientavano verso i grandi obelischi.

Oggi nella capitale solo le consolari riescono a coniugare alto e basso nella visione. La raggiera è l’unica struttura ancora riconoscibile a grande scala nell’amorfa conurbazione dei coriandoli edilizi. Nel contempo essa costituisce per il viandante la decisiva mappa mentale, intesa alla maniera di Kevin Lynch.

Al flaneur che si è smarrito nella periferia è sufficiente approdare su una consolare per ritrovare l’orientamento, per capire dove si entra e dove si esce dalla città, dove dirigersi per andare da una consolare all’altra ecc.

La conferma di questo profondo radicamento nell’immaginario viene anche dalla toponomastica. Solo a Roma quasi tutti i quartieri dell’espansione novecentesca prendono nome dalle consolari che l’hanno resa possibile. Se chiedi a qualcuno dove abita ti dice al Tiburtino, al Salario, al Prenestino, all’Aurelio e così via.

Le consolari, quindi, sono anche strutture narrative della forma urbana. Nella lunga durata hanno narrato i fasti imperiali, e poi la pietas medievale, l’intelligenza rinascimentale, la gloria barocca, fino a decadere nella miseria edilizia della modernità novecentesca. Eppure sono ancora strutture vive e potrebbero raccontare qualcosa di meglio nel secolo che viene.

Questa mappa indica il nuovo racconto possibile. 
 
 
 
 
 
 
  
La raggiera qui non è più al servizio dell’espansione edilizia, ma annuncia il riconoscimento di ciò che è più prezioso per la vita e la cultura della città, le grandi reti ecologiche dell’area metropolitana e i tesori di memoria che la storia ha depositato intorno a quei tracciati.

Il progetto per il Centro Archeologico Monumentale (CArMe) contribuisce a questa finalità attivando nuove relazioni tra l’area archeologica dei Fori e i beni culturali della città metropolitana. In particolare richiamo due iniziative calibrate proprio sulla raggiera.

La prima riguarda la regina delle consolari, l’Appia Antica, la Regina Viarum. È uno dei luoghi più belli del mondo, ma è di difficile accessibilità. Realizzeremo un grande anello di mobilità intermodale a scala metropolitana, mettendo a frutto le infrastrutture esistenti. Dalla stazione Termini in treno si arriva in nove minuti alla stazione di Torricola, la quale oggi sembra uscita da un film western - come nei film di Sergio Leone si aspetta la sparatoria tra i cow boy - ma è già iniziata la riqualificazione ad opera di Ferrovie Italiane e diventerà più funzionale e accogliente. A pochi passi si trova il tratto in basolato della Regina Viarum e si può tornare verso il centro a piedi o in bici oppure con un bus elettrico chiamato Archeobus. Arrivati al Circo Massimo si incontra l’Archeotram col quale si torna al punto di partenza a Termini. 
 
 
 
 
 
 
 

Un moderno sistema di mobilità integrata, che chiamiamo ArcheoMetrebus, ci aiuta a riconoscere la relazione storica e paesaggistica tra i Fori e l’Appia. Il grande triangolo di natura e storia dal vertice del Campidoglio fino ai Castelli Romani, salvato dall’espansione edilizia novecentesca, può costituire l’incipit di una nuova storia della Campagna Romana, non più intesa come un vuoto da riempire col cemento, ma un pieno di vita, di cultura, di paesaggio, di benessere e di economia urbana.

La seconda iniziativa consiste nel gemellaggio tra il CArMe e un’area archeologica per ciascun Municipio. Non solo in senso simbolico, ma con adeguate connessioni tra centro e periferia, garantite dalla cura del ferro e dalla riscoperta della raggiera delle consolari come nervatura culturale della città.

Tra le aree municipali, il miglior esempio è costituito dal sito archeologico di Gabi, il quale può essere collegato, con un breve percorso ciclo-pedonale, al capolinea esterno della metro C, a Pantano, e quindi ai Fori con il nuovo capolinea interno disponibile dal dicembre del 2025. Il visitatore del Colosseo, quindi, può concedersi una nuova esperienza arrivando in metro a Gabi e poi tornando in città con le piste ciclabili della Prenestina e della Casilina che attraversano le reti ecologiche e altri preziosi luoghi storici, come il Parco di Centocelle, la Villa Gordiani e il Parco dell’Est della grande necropoli rinvenuta sulla Collatina durante i lavori dell’Alta Velocità. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

In tal modo si accorcia la distanza temporale e mentale tra i Fori e la città di Gabi, la più lontana nella storia, in quanto città preromana, e nel territorio poiché collocata al confine estremo del Comune.

Tutto ciò tenta di coinvolgere i cittadini nella riscoperta della città antica, come leva per la trasformazione della città di oggi.



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