venerdì 9 ottobre 2015

Sulla riduzione del numero delle Regioni


Ieri sono intervenuto in Senato per proporre la riduzione del numero delle Regioni. Purtroppo il governo non ha accettato il mio emendamento, ma si è limitato ad accogliere un generico ordine del giorno privo di cogenza normativa. Di seguito le motivazioni e il testo.

L'emendamento propone di istituire una commissione bicamerale per la riduzione del numero delle Regioni. Sarebbe la vera riforma da realizzare, una priorità per il Paese attesa da tanto tempo. Invece, il provvedimento al nostro esame si limita a rimestare l'esistente, rendendo ancora più complicato e conflittuale il rapporto tra Stato e Regioni.

Le sfide della globalizzazione richiedono un modello istituzionale più compatto. È necessario un sistema-paese unito e cooperativo. La crisi italiana dell'ultimo ventennio deriva in grande parte dalla frammentazione delle decisioni e da comportamenti divergenti tra i diversi soggetti istituzionali. La riduzione del numero consentirebbe una migliore integrazione tra politiche nazionali e progetti locali. Sarebbe il modo migliore per rafforzare la proiezione internazionale di entrambi i livelli.

D'altronde gli attuali confini regionali sono in molti casi incongruenti o fuori scala. La popolazione di alcune Regioni è pari a quella di Comuni di media grandezza. Per altre non esiste una chiara identità, ma non voglio suscitare campanilismi, parlo della mia - il Lazio - che è un'invenzione amministrativa, cui non corrisponde un carattere unitario sul piano storico, geografico ed economico. Alla riconfigurazione dei confini regionali dovrebbe poi accompagnarsi un forte accorpamento dei Comuni, il cui numero andrebbe almeno dimezzato, accelerando un processo di integrazione già in atto seppure in modo frastagliato. L'insieme di queste riforme renderebbero più coesa e compatta la forma territoriale dello Stato italiano.

Questa sarebbe l'unica risposta possibile al fallimento del federalismo. L'impostazione seguita nell'ultimo ventennio, infatti, si è rivelata inefficace e dannosa proprio perché assecondava la tendenza alla divaricazione del Paese. Il disegno di legge Boschi risponde a questa crisi con lo sguardo rivolto al passato, ritornando al vecchio centralismo. Le norme al nostro esame, infatti tolgono poteri alle Regioni e compensano il ceto politico locale con il pennacchio del Senato. Al fallimento del federalismo invece bisognerebbe rispondere con un nuovo modello statuale, tanto autonomistico nel territorio quanto cooperativo nell'interesse nazionale.

Purtroppo non si è potuto approfondire l'argomento nella Commissione Affari Costituzionali. L'anno scorso in prima lettura e stavolta in seconda proprio la revisione del Titolo V - che è la parte tecnicamente più complessa del provvedimento - non ha avuto un'adeguata trattazione a causa dell'interruzione dei lavori imposta dalla volontà del Governo di andare direttamente in aula. Con questo emendamento ci sarebbe un supplemento di istruttoria affidato a una commissione bicamerale che dovrebbe approfondire le possibili soluzioni, ascoltare tutti i soggetti interessati e proporre una vera riforma regionalista al Parlamento.

Il testo dell'emendamento 39.76 si trova a pag. 18 dell'allegato ai documenti della seduta odierna del Senato: http://goo.gl/bb35pS

1 commento:

  1. Assolutamente d'accordo con lei. Resta comunque il nodo degli Statuti speciali che sarebbero da abolire (se non fosse impossibile in Italia intaccare posizioni di rendita). Grazie di provarci.
    http://ilsaltodirodi.com/2015/01/14/accorpare-le-regioni-un-passo-fondamentale-ma/

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