venerdì 22 marzo 2019

La scienza e l'Europa

Nell'Aula Magna della Sapienza abbiamo discusso l'opera in cinque volumi di Pietro Greco, La Scienza e l'Europa. Dalle origini a oggi, Edizioni L'asino d'oro. Si tratta di una monumentale ricostruzione storica che integra le discipline matematiche e fisiche con la filosofia, la medicina, l'economia, la geopolitica, l'arte e la letteratura al fine di analizzare la relazione profonda tra il vecchio continente e la ricerca scientifica. L'iniziativa si è svolta il 20 marzo 2019 ed è stata curata dalla casa editrice insieme con la Fondazione della Sapienza, rappresentate rispettivamente da Matteo Fago e Antonello Folco Biagini. A discutere con l'autore ci siamo trovati Franco D'Agostino, Lucia Votano, Domenico De Masi, Piero Angela e il sottoscritto. E' disponibile il video del dibattito curato dall'editore.
Chi è interessato può leggere di seguito il mio intervento oppure ascoltarlo nella video registrazione al tempo di un'ora e venti minuti.


La scienza e l'Europa, l'opera in cinque volumi di Pietro Greco, è da leggere, da conservare e da diffondere.
Da leggere perché, nonostante la mole, è come un romanzo storico. Quando si volta pagina ci si chiede come andrà a finire. La penna di Pietro è elegante, sobria e convincente. 

Da conservare perché vi capiterà di riprenderla in mano ripensando a uno scienziato o a una scoperta. È un'opera sistematica e completa, facilmente accessibile, anche per la cura editoriale e gli indici analitici; e quindi anche l'editore merita i complimenti.
Da diffondere in tante direzioni. I cinque volumi dovrebbero trovarsi in ogni biblioteca civica. La scienza non è astrusa, anzi deve essere alla portata di tutti i cittadini. La cittadinanza scientifica è il filo conduttore degli scritti di Pietro, ma direi più in generale della sua vita.
Questi libri dovrebbero trovarsi in ogni biblioteca scolastica, perché la didattica della scienza è aiutata dalla storia. A volte agli studenti sembrano freddi i risultati scientifici, ma si può suscitare il piacere della scoperta proprio dando conto del percorso travagliato, dei sentieri interrotti, degli sviamenti che hanno preceduto storicamente la formulazione delle teorie scientifiche. E poi si può svellere la sicumera di noi moderni, ricordando il grande Eratostene che più di duemila anni fa, senza laser e senza satelliti, riuscì a calcolare con un certa precisione la dimensione della Terra.
Infine, questi libri dovrebbero trovarsi nella biblioteca del Parlamento europeo. Utilizziamo l'occasione delle elezioni di maggio. Mi permetto di avanzare una proposta ai colleghi discussant. Scriviamo una lettera a prima firma Piero Angela, il più famoso tra i presenti; a nome di tutti voi, credo di poterlo dire, per dare seguito a questa bella assemblea. Scriviamo una lettera ai candidati di tutti i partiti perché leggano e riflettano sull'opera di Greco. Già vedo un certo scetticismo tra voi, state pensando che nessuno la leggerà, ma a noi basterebbe uno solo tra loro per gettare un seme; poi gli potremmo chiedere di organizzare una nuova presentazione a Strasburgo per avviare in quel contesto un dibattito.
D'altronde, Pietro ha scritto per influire sulle decisioni politiche. Non è solo un ottimo giornalista, non è solo un raffinato storico della scienza, non è solo un apprezzato comunicatore della scienza, è anche un intellettuale impegnato, engagé si sarebbe detto una volta. 
In passato l'intellettuale engagé ha avuto un ruolo importante, ma oggi è quasi scomparso a causa del divorzio tra politica e cultura. Nella separazione entrambe hanno perso qualcosa: la politica è diventata superficiale e quindi meno credibile; la cultura ha perso influenza nella società. Al distacco gli intellettuali hanno reagito in tre modi: chi ha ripiegato nello specifico disciplinare, ed è del tutto comprensibile; chi ha preso a gigioneggiare utilizzando la spettacolarità dei media; chi si è fatto cooptare come consigliere del Principe, nell'illusione che non potendo convincere tutti i politici si potesse convincere uno solo, il più potente tra loro; ma è appunto un'antica illusione, già Platone tentò di educare il tiranno di Siracusa, ma se ne tornò ad Atene con una profonda delusione, espressa nella settima lettera che dovrebbero leggere tutti gli aspiranti consiglieri del Principe. 
Greco evita tutti questi tre modi. Non si chiude in una disciplina, anzi le utilizza tutte come gli strumenti di un'orchestra, la matematica e la fisica, ma anche l'economia, la medicina, la sociologia, la geopolitica, l'arte, la letteratura e ovviamente la storia. Non è nel suo stile gigioneggiare, anzi il suo assillo è comunicare la scienza con rigore e semplicità. Non cerca la scorciatoia del Principe - anche perché di Principi non se ne vedono in giro - ma percorre la strada più lunga: accrescere la consapevolezza dei cittadini affinché siano poi essi a convincere i politici. 
A tal fine lancia l'allarme: l'Europa è in declino perché ha voltato le spalle alla scienza. È la tesi fondamentale sviluppata nei cinque volumi dell'opera.



Riusciranno i cittadini a far sentire la loro voce e a invertire la tendenza su un tema tanto ampio e complesso? Tutto può succedere. Inaspettatamente, pochi giorni fa una ragazza svedese ha mobilitato milioni di giovanissimi in tutto il mondo per salvare la Terra. Non si può escludere che prossimamente un'altra ragazza scuota l'opinione pubblica per impedire che l'Europa continui a farsi del male da sola. A capo della Commissione c'è un anziano signore e insieme ai suoi pari dicono sempre le stesse inutili cose. Saranno le giovani ragazze a salvare sia il clima sia l'Europa, perché questi sono problemi generazionali ormai, sono proposte per l'avvenire e sono anche proteste verso i guasti prodotti dalla nostra generazione e dalle precedenti.
Del declino europeo in questi anni sono state date molte letture basate sulla politica economica, su quella istituzionale oppure sulla geopolitica. Tutte analisi importanti, ma incomplete. Invece, proprio la politica scientifica, cioè la chiave interpretativa più trascurata, risulta anche la più convincente. Tutto si tiene nell'argomentazione di Greco. Ogni tessera del mosaico prende il suo posto e alla fine dei cinque volumi viene da dire, ma certo è così, perché non ci avevamo pensato prima?
Sono impressionanti i dati e le date, le coincidenze e le correlazioni tra appannamento scientifico e crisi economica. È illuminante l'analisi della disunione europea che Pietro collega in modo originale con la diversità delle politiche scientifiche tra le quattro macro aree, la teutonica, l'orientale, l'anglo-francese e la mediterranea, la quale richiama prima di tutto la responsabilità dell'Italia. 
Come nella cabala un numero ha dominato il dibattito, il tre, il tre per cento. A Maastricht è diventata la soglia insuperabile del deficit in rapporto al PIL. Col piano Delors, invece, era l'obiettivo da raggiungere nell'investimento in ricerca sempre in rapporto al PIL entro il 2010. Il tre per cento del debito è stato perseguito con determinazione, a volte spietata come nel caso greco, e ha prodotto solo disunione tra i paesi e all'interno delle società. Se invece fosse stato perseguito il tre per cento della ricerca con la medesima determinazione, oggi, forse l'Europa sarebbe più unita, più ricca e più giusta. 
Per descrivere tutto ciò comunque sarebbe bastato l'ultimo volume, ma Pietro nei ha scritti altri quattro per studiare la lunga durata della questione. Non per un vezzo filologico, ma per trovare nella storia gli ammonimenti necessari alla contemporaneità.



All'inizio del terzo millennio le classi dirigenti europee percepirono qualcosa di epocale, ma è accaduto esattamente il contrario del previsto. Non solo non è stato raggiunto l'obiettivo di Delors nel 2010, ma la Cina è balzata in avanti nell'investimento in ricerca e l'Europa ha perso il primato della scienza che aveva conquistato quattro secoli prima nella rivoluzione seicentesca. 
Quel primato scientifico, diciamoci la verità, non è stato usato sempre bene. Certo ha portato molti benefici all'umanità intera, ma è servito anche a diffondere le guerre, le schiavitù e i colonialismi. In questo secolo probabilmente il primato si sposterà in Asia. Viene da domandarsi, come sarà la scienza asiatica? Sarà molto diversa da quella europea nella sua essenza, starei per dire nei fondamenti nei suoi fondamenti metafisici. Se non altro per un aspetto apparentemente marginale. La scienza europea è cresciuta nella lotta secolare con la religione. Nella contrapposizione ha fondato la propria razionalità ma è rimasta anche contaminata. Si può argomentare che il concetto di legge scientifica sia una secolarizzazione della figura del Dio legislatore. L'idea di comunità scientifica, come ha dimostrato Robert Merton, è la secolarizzazione dei principi monastici: il distacco dalle cose mondane, il comunitarismo degli adepti, l'universalismo delle idee.
La scienza asiatica non ha conosciuto il conflitto religioso, almeno non in questa misura, non ha tra i suoi esempi Ipazia e Galileo. Quindi non è vaccinata contro l'ortodossia e potrebbe usare il primato peggio dell'Europa.
Ecco il primo ammonimento: il monopolio non è mai una cosa buona per la scienza. L'Europa, proprio per la sua storia, dovrebbe garantire la molteplicità delle potenze scientifiche. 

Al secondo ammonimento sono dedicati il quarto e il quinto volume che propongono una lettura originale del lungo Novecento. Non breve, lungo perché esiste una connessione tra il declino di oggi e la crisi di Otto-Novecento, all'apice della potenza scientifica europea, con la seconda rivoluzione industriale e la prima globalizzazione. Fu una crisi da successo. Come dice Pietro: "L'Europa non riuscì a governare i frutti del suo rapporto privilegiato con la scienza" (vol. 4, p. XI). Da quella vetta cominciò il grande turbamento, che poi sfociò nell'irrazionalismo, nelle dittature e nelle guerre. Non a caso la metà del quarto volume è dedicata alla storia della Germania, culla di quella rivoluzione scientifica e tecnologica. Oggi come allora la questione tedesca è il cuore del problema: quando la Germania esprime la sua potenza l'Europa rivela sua debolezza, e viceversa.
Nel Novecento europeo emerge lo squilibrio tra Potenza a Saggezza. Potenza come capacità, prima di tutto scientifica e tecnologica, di trasformare il mondo. Saggezza intesa come capacità di regolare gli esiti e cogliere i frutti di tale trasformazione. Questo è l'ammonimento più attuale. Oggi si manifesta la massima divaricazione tra Potenza e Saggezza, tra sviluppo economico e sostenibilità del pianeta, tra produzione tecnologica della vita e responsabilità dell'umano, tra democrazia della rete e nuovi monopoli cognitivi, tra l'apertura del mondo e le guerra permanente. 
La risposta che propone Greco è lo sviluppo al massimo grado della democrazia della conoscenza, ma sa bene che non è una passeggiata su un prato fiorito. Ci sono asperità da superare, squilibri da capire e da combattere. La così detta società della conoscenza oggi alimenta i saperi della Potenza, ma non diffonde in pari misura i saperi della Saggezza, che sono pur sempre saperi, seppure diversi da quelli della scienza, li potremmo chiamare apprendimento sociale della conoscenza.
Se non si ricompone la frattura, l'età della conoscenza continuerà a mostrare anche il rovescio della medaglia di un'età dell'ignoranza, come si vede nei nuovi irrazionalismi, nei fondamentalismi, nei razzismi, negli autoritarismi del nostro tempo. 

Quindi, non solo declino economico, non solo disunione tra i popoli, ma c'è qualcosa di più profondo, un ripiegamento dello spirito europeo, che si chiude in se stesso, teme lo straniero e gira le spalle al futuro. Mi domando se ci sia una correlazione, una coevoluzione direbbe Pietro, tra perdere la fiducia nel futuro e respingere in mare i migranti. Questi fuggono dalla guerra e dalla fame, attraversano sofferenze indicibili, e quando approdano, se approdano, nei loro volti si vede la fiducia nell'avvenire, proprio quella fiducia che sembra indebolita nel continente. L'Europa è oggetto di futuro per chi viene, ma non è soggetto di futuro per chi ci vive. 
Quando si perde la tensione verso l'avvenire viene a mancare anche il rapporto con il passato. È sintomatico il distacco dell'Europa dal Mediterraneo. Basti pensare ai nomi attribuiti alle missioni di controllo dei mari: la prima si chiamava Mare Nostrum, poi si è chiamata Frontex. Il Mediterraneo non è una frontiera, non è un limes, è l'origine della civiltà europea. 
E ce lo ricorda proprio la storia scientifica raccontata da Greco. In questo piccolo mare fiorisce la grande scienza ellenistica e approda, attraverso la via della Seta, la conoscenza indiana e cinese. Poi tutto confluisce nella preziosa traduzione e nel sincretismo degli Arabi, e sottolineo sincretismo pensando a oggi. Infine, la riscoperta della scienza antica in Italia per merito del figlio di un mercante pisano, il Fibonacci, e l'imperatore Federico II, massima espressione di quel crogiuolo di civiltà. La scienza si sviluppa nelle penisola in modo peculiare insieme alla letteratura con Dante e alle arti figurative con Brunelleschi, confluendo in quella visione integrale dell'uomo che fu il Rinascimento italiano. All'apice di questa storia Galilei, figlio dell'Umanesimo nell'interpretazione di Greco, consegna il testimone della scienza moderna dall'Italia all'Europa. 
Se oggi il tema cruciale è la frattura tra Potenza e Saggezza diventa ancora più attuale ripensare al ruolo originale che la civiltà italiana ha svolto nella storia della scienza europea, non solo per la connessione tra Mediterraneo e continente, ma soprattutto per la visione integrale e umana della conoscenza. La Saggezza come misura della Potenza trova una rappresentazione mirabile nel verso dantesco citato da Greco, è come raccogliere le briciole del "pane degli Angeli". 

In questo racconto c'è la responsabilità e il compito di noi italiani. Non dovremmo abdicarlo, anche se sembra così arduo rispetto agli affanni e alle miserie del presente. E non dico altro. 
Dovremmo tutti fare qualcosa nel nostro piccolo per rielaborare modernamente questa tradizione. Mi permetto di dare un consiglio, spero mi si perdonerà l'invadenza dell'ospite, alla Fondazione della Sapienza che ha organizzato questa bellissima giornata per impulso del suo presidente, il professor Folco Biagini.
Due professori del nostro ateneo sono ricordati da tutti gli scienziati europei tra i massimi protagonisti della politica scientifica continentale: Edoardo Amaldi, l'inventore e il realizzatore del CERN, il luogo delle più importanti scoperte e invenzioni del secondo Novecento europeo; e Antonio Ruberti, l'indimenticabile  rettore della Sapienza, il miglior ministro italiano della Ricerca e poi a fianco di Delors come fondatore dello spazio europeo della ricerca, che ha prodotto tanti risultati fino all'istituzione di ERC, il migliore centro di promozione della scienza europea. 
Il successo di questo incontro suggerisce di ripetere con periodicità iniziative simili. Si potrebbero istituire le Giornate di Amaldi e Ruberti per chiamare studenti e professori da tutto il continente a discutere del futuro della scienza e dell'Europa.

5 commenti:

  1. Caro Walter, come sempre interessante e profondo il tuo commento ai cinque libri di Pietro Greco sulla “Scienza e l'Europa”. Non credo che li leggerò (cinque volumi! Uno in più del Capitale). Le ragioni sono diverse e le ho ricavate da quello che tu dici. In breve:
    1. – De minimis: le quattro aree (teutonica (?), orientale, anglo-francese e mediterranea) mi paiono assai poco fondate storicamente: ma davvero queste aree hanno dispiegato politiche scientifiche omogenee al loro interno?
    2. – La definizione di scienza mi sembra generica e profondamente “ideologica”, come si sarebbe detto un tempo: esiste forse una “scienza tout court”, scollegata dalla storia che l’ha prodotta? Che significa dire che l’Europa deve riconquistare il “primato scientifico” che è stato suo nei secoli passati. Di quale primato si tratta? Del primato dell’Illuminismo?
    3. – “L'Europa non riuscì a governare i frutti del suo rapporto privilegiato con la scienza" (vol. 4, p. XI). Da quella vetta cominciò il grande turbamento, che poi sfociò nell'irrazionalismo, nelle dittature e nelle guerre.” Invece li governò molto bene, quei frutti, visto che se ne servì per conquistare il mondo che si può dire sia oggi tutto occidentale (mutatis mutandis, anche la Cina). Che cos’è “il grande turbamento” se non il conflitto tra il nascente imperialismo americano e i vecchi imperi europei, quello germanico continentale che quello ultramarino anglo-francese? Conflitto, dunque, non turbamento. Le guerre sono forse frutto dell’ignoranza e dell’” irrazionalismo”? Se questa è la tesi, che ingenuità!
    4. – Da tutta l’opera di Greco si respira un’aria di un neo-illuminismo, che riecheggia lo scontro tra Sarastro (la scienza, la luce, il bene) e la Regina della Notte (l’irrazionale, il buio, il male) e che non basta a spiegare quel che oggi siamo. Abbiamo piuttosto bisogno di tornare a studiare “scientificamente” la storia, senza intingerla continuamente nell'astrattezza di principi morali – o scientifici! - assoluti e di batterci per l'unico primato possibile, che è quello politico (che per me è identico a culturale).
    Scusa la mia rozzezza. Un abbraccio.
    Claudio.

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  2. Caro Claudio, le tue osservazioni, e ancora di più le tue critiche, sono sempre motivo di riflessione per me. Non vorrei però averti dato un'impressione sbagliata dell'opera di Greco, magari a causa dell'oratoria del discorso o di inevitabili semplificazioni rispetto alle oltre duemila pagine scritte dall'autore. Certamente un pericolo illuminista è sempre dietro l'angolo quando si scrive una storia della scienza, però il merito di Pietro è proprio nel connettere profondamente la ricerca scientifica con tutte le discipline, dalla filosofia, all'economia, alla sociologia, all'arte, in una lettura storica integrale.
    La perdita del primato scientifico è invece intesa in senso molto pratico e in relazione a un evento di grande portata che mi pare sia stato quasi ignorato dalla pubblicistica. Ricorderai l'obiettivo Delors di investimento in ricerca del 3% sul Pil entro il 2010; ebbene, non solo non è stato raggiunto, ma proprio in quella data l'Europa è stata superata dalla Cina e soprattutto è scesa sotto la media mondiale, per la prima volta dopo quattro secoli. Ma era già accaduto che perdesse il primato rispetto agli Usa, sul piano economico, politico e anche scientifico, certo non a causa dell'irrazionalismo, ma in un conflitto storico che si può leggere nella coppia terra-mare, come ricordi nel tuo intervento. Tuttavia, fa bene Greco a sottolineare che proprio all'apice della formidabile rivoluzione scientifica otto-novecentesca emerge una "crisi delle scienze europee", come la chiamò Husserl. Non fu una semplicistica dialettica tra luce e tenebre, si trattò di una fase feconda della cultura europea. In particolare, dal lato della critica alla scienza, e ancor di più alla tecnica, scaturì il grande pensiero conservatore tedesco di Heidegger e Schmitt - non riconducibili solo alle sciagurate adesioni al nazismo - che ha attraversato il Novecento e rivive sotto mentite spoglie in tanti aspetti della cultura postmoderna.
    Insomma, non voglio dissuaderti dal proposito comprensibilissimo di non leggere i cinque volumi, ma ci tengo a dirti che il tuo auspicio a studiare "scientificamente" la storia è molto vicino all'opera di Pietro Greco.

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