martedì 8 dicembre 2020

Sul significato del "come se"

Alcuni amici mi hanno chiesto di chiarire il significato del titolo, forse un po' ermetico, del libro. Chi avrà l'occasione di leggerlo troverà la spiegazione in tutto il testo, in particolare nell'Introcuzione e nella premessa della seconda parte. Comunque, pubblico quest'ultima nel blog per gentile concessione dell'editore; è il brano (pp. 117-9) che apre l'esposizione delle proposte. Buona lettura.


Proviamo a immaginare come sarà Roma a metà del secolo. 

Può sembrare troppo lontana la meta di paragone con l’oggi. Ma per la città eterna alcuni decenni sono ben poca cosa. D’altronde i suoi difetti più gravi vengono da lontano e non ci si può illudere di superarli in un breve lasso di tempo. 

Può sembrare un inutile volo pindarico che elude le soluzioni semplici e immediate. Tuttavia, proprio l’esperienza recente dovrebbe aver chiarito che non si realizzano né le grandi né le piccole cose senza una visione di lungo periodo. Che non vuol dire rinviare le soluzioni a un domani imprecisato, ma significa definire una meta per poter iniziare il cammino. I buoni progetti per il futuro, anche quando non sono fattibili, forniscono un quadro di coerenza per le scelte di oggi. 

Può sembrare un menare il can per l’aia invece di applicare le soluzioni già previste da tanto tempo. Quando però si attraversano passaggi storici, come l’esaurimento della città coloniale, sono proprio le politiche del passato che impediscono di uscire dalla crisi. 

Può sembrare un intento volontaristico che non corrisponde ai processi reali, ma con la crisi mondiale del Covid irrompe l’esigenza di cambiare il modo di vivere in comune, come accade solo dopo le guerre e le dittature. 

Può sembrare vano l’esercizio progettuale se si ritiene che in realtà contino solo le persone chiamate a governare. Però sono sotto gli occhi di tutti i ripetuti fallimenti dell’ideologia della personalizzazione. Prima che i leader realizzino i progetti, sono le idee condivise socialmente a creare nuove leadership. Solo quando crescono le ambizioni collettive si afferma una nuova classe dirigente. 

Allora immaginiamo come se a Roma si fosse già affermata una classe dirigente capace e autorevole e discutiamo delle politiche per la rinascita della città1. Le pagine seguenti sono un esercizio di immaginazione del come se annunciato nel titolo del libro. Dovremmo, quindi, prendere confidenza con la molteplicità dei significati di questa espressione. Ce ne vengono esempi dai più diversi contesti storici e culturali. 

Abbiamo già incontrato il come se di Leon Battista Alberti che è una postura del progetto di città. Ancora una volta, però, è il cinema a proporci un’immagine folgorante del come se con il Jeeg Robot che in virtù dei suoi superpoteri si innalza dalle sofferenze di Tor Bella Monaca e vola sopra la città eterna. Non sappiamo se il regista si è ispirato alla nietzchiana volontà di illusione che svelle le certezze della volontà di potenza, seminando il dubbio del come se. D’altronde, non è necessario dimostrarne la certezza, poiché il come se è solo una kantiana idea regolativa che a prescindere dalla sua verità orienta la nostra ragione pratica, come accade con l’idea dell’esistenza di Dio2. A me è molto caro il significato teologico incastonato nella Lettera ai Corinzi – «quelli che piangono come se non piangessero» – che capovolge il senso comune anticipando la rivelazione del nuovo Regno. 

Più semplicemente l’esercizio del come se è solo un atto d’amore per Roma, che libera lo stupore dalla gabbia della giustificazione logica. In analogia con le parole rivolte da un cantautore romano alla persona amata: «potrei sorprenderti, potremmo fare come se / come se avessi tutto il tempo per decidere»3


Riguardo alle politiche, già nell’Introduzione si è indicata la transizione necessaria. Alla coppia nazione-città, protagonista della fase coloniale, subentra la coppia mondo-regione. Il doppio ampliamento della scala del riconoscimento definisce il campo di gioco della capitale nel secolo che viene. L’esito non è scontato. Nelle nuove dimensioni si possono accumulare ulteriori arretratezze, e le avvisaglie non mancano, come vedremo. Oppure si possono attivare nuovi itinerari di crescita civile e di qualità ambientale, come si cercherà di prefigurare di seguito. 

Il capitolo iniziale, infatti, è dedicato alla Città Mondo, come ipotesi di rielaborazione del carattere internazionale di Roma. Che comporta una doppia sfida nelle opposte direzioni del mondo che viene e che va: da come saprà accogliere i migranti dipenderà la prosperità sociale dei prossimi decenni; nel contempo le sue produzioni culturali ed economiche dovranno assumere la dimensione globale come misura di qualità. 

Nel capitolo successivo le proposte si misurano con l’enorme salto di scala della Città Regione. La chiamiamo ancora Roma, anche se ormai la sua espansione ha reso incomprensibile sia il livello metropolitano sia quello urbano. C’è un doppio riconoscimento da elaborare nella campagna e nella città: la prima non più come materia prima dell’edificazione ma come risorsa vitale dell’organismo metropolitano; la seconda come spazio pubblico che genera e alimenta le relazioni tra i luoghi e le persone. 

Le forme di elaborazione del riconoscimento sono esaminate nel settimo capitolo, «L’intelligenza sociale», e nell’ottavo relativo alle istituzioni per il governo della capitale. Si parte dall’ipotesi che le risorse della civitas siano più ricche dell’attuale assetto dell’urbs. Mettere a frutto questa eccedenza è la condizione essenziale per la rinascita della città. E tutto ciò, però, ha bisogno di una riforma che non solo innalzi l’efficacia di governo ma promuova il più essenziale dei riconoscimenti, quello tra i cittadini e le istituzioni. 


1 Non a caso negli ultimi tempi crescono gli studi prospettici, tra i quali il più completo: D. De Masi, Roma 2030. Il destino della capitale nel prossimo futuro, Einaudi, Torino 2019. 


2 Mi riferisco qui alle interpretazioni proposte all’inizio del Novecento di H. Vaihinger, La filosofia del come se, Ubaldini, Roma 1967 delle filosofie di Nietzsche (Al di là del bene e del male) e del Kant dei Prolegomeni ad ogni futura metafisica: «Noi siamo costretti a guardare il mondo come se fosse l’opera di un supremo intelletto e volere..: come un orologio.. sta all’orologiaio.. così il mondo sensibile.. sta allo Sconosciuto, che dunque così io certo non conosco in ciò che esso è in sé, ma pur conosco in ciò che esso è per me, cioè riguardo al mondo di cui sono parte»; Laterza, Roma-Bari 1996, p. 239. 


3 Nella canzone di Daniele Silvestri, Come se, traccia 13 dell’album Acrobati, 2016. 






2 commenti:

  1. Caro Walter, non vedo di leggere il tuo libro, anzi direi quasi di studiarlo... poi se mi citi anche una canzone de “Il Presidente”.
    Speriamo di vederci presto dal vivo.

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