sabato 20 luglio 2013

Maledetta subalternità


Le parole che seguono sono state pubblicate oggi sull’Unità, e sono gli argomenti che avrei voluto portare al dibattito del Gruppo dei senatori. Mi ero iscritto a parlare, ma la discussione è stata troncata prima che arrivasse il mio turno. Rimane perciò una dichiarazione non pronunciata di non voto contro le mozioni di sfiducia ad Alfano - una contorta serie di negazioni che tuttavia spero possano portare a qualcosa di positivo.

Siamo il primo partito della coalizione, ma abbiamo scarsa consapevolezza della forza e del ruolo che ci competono. Altrimenti avremmo ottenuto la revoca della delega al Ministro dell'Interno. La sua rinuncia avrebbe rafforzato il governo, mentre la sua permanenza nell'incarico sarà fonte di instabilità, di ricatti e di ulteriori passaggi traumatici. È uno dei più gravi episodi della storia repubblicana. Mai si erano intrecciate in un solo episodio tante cattive notizie: uno smacco all'immagine internazionale, proprio su quella garanzia dei diritti umani che dovrebbe essere sacra in democrazia; evidenti bugie raccontate con iattanza da un ministro al Parlamento; il meschino tentativo di un politico di salvare se stesso incolpando le forze dell'ordine. Avremmo dovuto chiedere la revoca della delega prima che il ministro venisse in Parlamento, senza lasciare la decisione al buon cuore dell'interessato e del suo partito.

sabato 13 luglio 2013

Precisazione

La proposta Mucchetti è la tanto attesa norma sul conflitto di interesse. Se dovesse essere approvata, deciderebbe una volta per tutte che Berlusconi in quanto proprietario di Mediaset è incompatibile con il Parlamento. Infatti il PDL ha reagito con la consueta eleganza, parlando di esproprio proletario e minacciando le barricate.

L'equivoco è nato dall'idea che questo ddl potesse bloccare il procedimento in corso sull'ineleggibilità e quello sull'interdizione dai pubblici uffici. Tutto ciò non è nelle nostre intenzioni e non sarebbe neppure possibile tecnicamente. La commissione preposta nelle prossime settimane porterà in aula la questione di ineleggibilità ai sensi della legge del '57 che rimane vigente per questa legislatura. Quindi nell'immediato non cambia nulla e nel futuro, se la proposta fosse approvata, analoghe situazioni verrebbero valutate con norme scevre da incertezze interpretative e molto più severe nella casistica poiché riguarderebbero anche gli azionisti non totalitari. 

Ho firmato perché mi sembrava positivo che il PD, pur essendo impegnato nella coalizione di governo, ribadisse la sua volontà di colpire i conflitti di interesse. Era una buona notizia. Però se dicessi che è stata comunicata bene non sarei sincero. Capisco quindi gli interrogativi dei nostri elettori. Mi impegnerò a fare chiarezza.

Per ora, è bene che il significato autentico della questione tagli in profondità la cortina di equivoci - alcuni in buona fede, altri meno - che hanno portato alla confusione delle ultime ore: questo ddl non ha nulla a che fare con la decisione attuale da prendersi su Berlusconi, non può e non vuole intralciarla; è una misura studiata mesi fa. 
Si tratta di una proposta di coerenza, pur trovandoci in coalizione con il PDL, e soprattutto rivolta al futuro - per far sì che dalle prossime legislature vengano bloccate sul nascere candidature ambigue. Sperando di prevenire gli errori del passato.

mercoledì 10 luglio 2013

L'umiltà costituzionale


Discorso pronunciato in Senato il 9 Luglio 2013 per motivare il voto di astensione sulla legge di modifica dell'articolo 138 della Costituzione.

Signor presidente, colleghi senatori, se dovessi risultare sgradevole sappiate che non è mia intenzione. Vorrei ribaltare un famoso incipit dicendo che tutto fuorché la cortesia mi porta contro questa proposta di legge. Il mio dissenso comincia nel titolo, si alimenta nel testo e diventa totale sull’idea stessa di toccare la Costituzione. Per rispetto del mio partito non voto contro, ma nel rispetto dell’articolo 67 della Costituzione non posso votare a favore. D’altronde c’è già troppo unanimismo: si diffondono luoghi comuni che suonano veri solo perché vengono ripetuti con sicumera dall'inizio del dibattito trent’anni fa. Alcuni giovani parlamentari andavano ancora all’asilo, il mondo è cambiato, ma l’agenda è rimasta sempre la stessa. L’entusiasmo iniziale delle Bicamerali si è tramutato in una vera ossessione a modificare le istituzioni, una malattia solo italiana che non trova paragoni in nessun altro paese occidentale. È difficile credere che la nostra Carta sia tanto più difettosa delle altre da meritare questo accanimento terapeutico. È più probabile che il malanno dipenda dagli improbabili costituenti. Siamo chiamati a dichiarare che la revisione della Costituzione è oggi una suprema esigenza nazionale. 
Mi chiedo, perché? Per cosa? E in nome di chi?

mercoledì 19 giugno 2013

Cambiare con la Costituzione - Invito al seminario

Vorrei invitarvi a questo seminario promosso da un gruppo di parlamentari sulla questione costituzionale. Ci muove la preoccupazione che il procedimento di revisione possa portare a soluzioni sbagliate o dannose. A cambiare devono essere i partiti. La Carta, invece, va prima di tutto rispettata e attuata.


Cambiare con la Costituzione - seminario sulla questione costituzionale

Relazioni di  Luigi Ferrajoli, Giovanni Bachelet
Renato Balduzzi, Ida Dominijanni, Carlo Galli.

Martedì 25 giugno ore 19.00, Sala Capranichetta, 
piazza Montecitorio 125 


Alcuni di noi hanno espresso molti dubbi sul percorso di riforma costituzionale appena avviato. Dubbi sul metodo che, a nostro avviso, rappresenta un oggettiva anomalia rispetto alle procedure indicate dall'art. 138 della Costituzione. Non ci convince poi l’ampiezza del mandato che prefigura un progetto di riforma complessiva, anziché puntali e circoscritti interventi sui singoli punti critici della seconda parte della Carta. Un approccio che di fatto evoca un potere costituente, invece che un più legittimo potere di riforma costituzionale, che verrebbe esercitato da un Parlamento non eletto con questa finalità.

Seminario sul finanziamento dei partiti

Vorrei invitarvi a partecipare al seminario di studio sul tema: 

"Finanziamento dei partiti: lo scettro al cittadino",

promosso dai senatori Paolo Corsini, Massimo Mucchetti, Walter Tocci e dai deputati Pippo Civati, Marianna Madia.


Sarà l'occasione per discutere la nostra proposta di legge. Faremo tesoro di osservazioni e critiche per la stesura finale del testo, prima di presentarlo alla Camera e al Senato. Sentiamo l'esigenza, infatti, di un'ampia consultazione su una questione ormai dirimente per ricostruire la fiducia dei cittadini verso i partiti.   

lunedì 17 giugno 2013

Ascoltando i giovani di OccupyPD



Mi sono proprio divertito all'assemblea di OccupyPD a Bologna. Un modo intelligente di discutere: nei gruppi di lavoro sono stati approfonditi diversi argomenti, poi portati a sintesi per fasi successive nell'assemblea plenaria. Tutti i partecipanti hanno preso la parola e la discussione ha elaborato precise proposte per costruire un partito aperto e creativo. In due parole si potrebbero riassumere così: le primarie non solo di domenica, anche nei giorni feriali; non solo per votare qualche volta i candidati ma per partecipare tutti i giorni alle decisioni; non solo per acclamare il leader di turno, ma per far contare la forza di milioni di cittadini.


mercoledì 5 giugno 2013

Cambiare il PD, non la Costituzione


Intervento alla Direzione Nazionale del PD del 4 Giugno 2013.

Fare pace con la realtà è il primo compito del PD. Circa la metà del popolo italiano rifiuta o disprezza la classe politica. È un sommovimento dell'opinione pubblica senza precedenti nella storia repubblicana. Si sciolgono come neve al sole le appartenenze ideologiche che avevano resistito al passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Milioni d cittadini cercano nuovi riferimenti politici ma non li trovano.
Come se non fosse successo niente dal PD arriva un segnale piatto. Le parole, le incertezze e gli errori sono quelli di sempre. Nella relazione di Epifani non trovo risposte ad un sommovimento di tale portata storica.

Non annunciamo una buona notizia dai tempi delle primarie. Continuiamo a ripetere stancamente diagnosi e terapie di venti anni fa. Ci siamo uniti al PDL per dire che la crisi politica non dipende dai partiti ma dalle istituzioni. Abbiamo statalizzato la responsabilità della politica. La figuraccia per il Quirinale è stata attribuita alle regole per l'elezione, con le quali però in passato sono stati scelti presidenti come Einaudi e Pertini. L'ossessione di cambiare le regole con la promessa di riformare la politica dura ormai da venti anni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: sono peggiorati sia lo Stato sia i partiti; mai erano giunti tanto in basso nella stima dei cittadini.
Ogni volta che abbiamo modificato la Costituzione ci abbiamo dovuto ripensare: dal Titolo V, allo ius sanguinis del voto all'estero, al pareggio di bilancio che a un anno di distanza già vorremmo derogare. Guai peggiori sono stati evitati per merito degli elettori che nel 2006 bocciarono la legge costituzionale scritta dagli stessi autori del Porcellum. L'unico baluardo è venuto dai presidenti di garanzia come Scalfaro, Ciampi e Napolitano. Mi sconcerta la leggerezza con la quale si ritiene possibile demolire questo ultimo bastione e aprire la strada del Quirinale ai più forti populismi che ci siano in Europa. Due comici nel nostro paese hanno raggiunto quasi il 50% dei voti, non scherziamo col fuoco.

giovedì 30 maggio 2013

Diamo ai cittadini le scelte di finanziamento dei partiti


La riforma del finanziamento dei partiti è un passaggio ineludibile per migliorare la credibilità della politica. L’unica via che può legittimare un contributo pubblico è il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte di finanziamento. Ed è possibile solo se viene assicurata la massima trasparenza sull’utilizzo delle risorse e sui rapporti con i poteri economici e mediatici. 

La proposta che abbiamo elaborato in un gruppo di lavoro composto da deputati e senatori del PD individua tre strumenti: contributo pari all’uno per mille del gettito Irpef da ripartire secondo le indicazioni dei contribuenti; credito d’imposta per le libere donazioni private; rimborso parziale delle spese elettorali effettivamente sostenute. Per rendere credibile quest’ultimo aspetto della proposta il PD dovrebbe rinunciare volontariamente alla parte di rimborsi elettorali non spesi per la campagna elettorale 2013. Sono escluse, quindi, tutte le forme di finanziamento diretto dello Stato che non siano legittimate dalla scelta dei cittadini.

Pur trattandosi di un testo normativo compiuto, è una proposta aperta che ha lo scopo di promuovere una discussione e un confronto con altre ipotesi possibili. Organizzeremo un seminario di discussione invitando esperti del settore e tutti i soggetti interessati all’argomento. Solo dopo aver acquisito pareri ed eventuali critiche trarremo le conclusioni scrivendo un testo definitivo e lo depositeremo alla Camera e al Senato. Abbiamo anche inviato la proposta al Presidente Letta apprezzando la sua volontà di procedere rapidamente alla riforma.

Infine, una considerazione che ci riguarda. I meccanismi previsti nel disegno di legge aiuterebbero la nostra organizzazione a ritrovare un rapporto stretto con i propri elettori, non solo per ottenere le risorse economiche, ma per rafforzare la partecipazione politica. Nessuna di queste norme potrebbe funzionare se rimanesse l’attuale organizzazione. La proposta implica un nuovo PD centrato sul popolo delle primarie, capace cioè di mettere a frutto giorno per giorno la disponibilità di milioni di elettori coinvolgendoli nelle decisioni e nell’ampliamento dei consensi. Da questo assunto discendono scelte radicalmente diverse nell’uso delle tecnologie, nelle modalità di comunicazione, nel rapporto centro-periferia, nella relazione tra eletti ed elettori.
Non si tratta solo di norme di finanziamento. Chiedere ai cittadini il sostegno significa renderli protagonisti dell’azione politica. È compito del partito che ha deciso di chiamarsi democratico.

mercoledì 29 maggio 2013

Siamo in tanti con i dubbi sulla revisione costituzionale


Dei miei dubbi sulla revisione costituzionale ho discusso ovviamente con i colleghi parlamentari. All'inizio con qualche titubanza, perché temevo di trovarmi isolato nella critica, ma poi mentre parlavo con uno si avvicinava un altro e a poco a poco ho scoperto che siamo proprio in tanti a non accettare che si metta mano con tanta leggerezza alla nostra bella Costituzione. 
Ho proposto a due colleghi di scrivere un testo per rappresentare la posizione comune che poi ciascuno di noi avrebbe interpretato a suo modo nel voto: a favore o contro oppure come me non partecipando. Col documento in mano ho saltellato sui banchi del Senato per tutto il pomeriggio, mentre mi tenevo in contatto con i colleghi della Camera, per raccogliere le adesioni. Sono proprio contento del risultato finale. Il documento indica tutte le cose che non vanno nella mozione, i rischi che bisogna evitare, i moniti ai nostri rappresentanti nelle commissioni. Che a firmarlo siano stati alla fine una cinquantina di parlamentari del PD è una garanzia per tutti. Ci sarà un'attenta vigilanza sui passaggi successivi e vi terremo informati. Riporto di seguito il testo del documento.

Dubbi sulla revisione costituzionale


Discorso pronunciato all'assemblea dei Senatori del 28 Maggio 2013.

Sono trent’anni che parliamo di riforme istituzionali. È cambiato il mondo ma l’agenda è rimasta sempre la stessa. L’elenco delle cose da fare si è sfilacciato e rimpicciolito, ma campeggia in tutti i programmi di governo. Certo, non c’è più l’entusiasmo iniziale delle tante Bicamerali. In compenso si è tramutato in ossessione.

Il dato saliente del trentennio è il fallimento dei partiti, dei vecchi e dei nuovi, della Prima e della Seconda Repubblica. La classe politica, però, ha oscurato questa causa della crisi di governabilità e l’ha attribuita alle istituzioni. È riuscita con una sorta di transfert psicanalitico a spostare il proprio trauma sulla forma dello Stato. Ha rimosso la propria responsabilità per attribuirla alle regole. In nessun altro paese europeo si è manifestata una simile ossessione, per il semplice motivo che i partiti, pur in difficoltà per ragioni generali, non hanno mai perduto la legittimazione.
Se non si decide, non è colpa mia ma dello Stato che non funziona. Questo è il motto del politico, a tutti i livelli, dal governo nazionale all’ultimo dei municipi. Di questo alibi è riuscito a convincere i giornalisti e i politologi – grandi esperti di semplificazioni – e tramite loro l’intera opinione pubblica. Quando la politica è in crisi non perde affatto la capacità di convincimento del popolo, bensì si ritrova ad applicarla alle divagazioni invece che ai problemi reali.